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Il modellino di una chiave antica

Dai tesori dell’antiquario Eugenio di Castro

Contenuto nell’ultima edizione della “Strenna dei Romanisti”, vi è un lungo racconto: Il modello è indispensabile“, a firma di Francesca di Castro, su un oggetto che ha attraversato secoli, inciso, carezzato, celato in molte nobilissime mani dai più diversi caratteri: nobili, artigiani, prigionieri, per grazia di un antiquario noto ed esperto, il nonno della scrittrice, Eugenio di Castro.

Il racconto inizia con un commento di Corrado Ricci a proposito della vastissima varietà di arti liberamente esercitate in Italia, dalla grande arte propriamente intesa alla cosiddetta arte minore, che nulla ha da invidiare alla prima, a parte la destinazione d’uso e, talvolta, la piena dedizione dell’artista all’opera che sottintende una vera e propria filosofia.

Continuando la narrazione, Francesca riporta che agli oggetti d’uso bellissimi Augusto Pedrini dedica una sorta di almanacco, secondo la materia di solito usata che è il ferro. L’uomo dice inoltre che, soprattutto per i piccoli oggetti, come le chiavi, era abitudine farne inizialmente modelli per lo più in legno, per correggerli eventualmente, o per riprodurne molte chiavi uguali .

Francesca di Castro, ammiratrice delle raccolte  del nonno Eugenio, sodale del Gruppo dei Romanisti e celebre antiquario, considera quanto possono aver importanza i modelli per l’arte minore, e racconta anche la lunga e tortuosa strada per la costituzione di un centro di raccolta di questi modelli e di altri “pezzi” di arte, sfociata, dopo molte vicissitudini, al San Michele, ex Riformatorio.

Francesca descrive minutamente fra gli oggetti antichi del nonno un modello in legno di chiave dalle ardite volute raffiguranti animali fantastici e rivelatrice, come costituzione complessiva, di una chiara impronta classica, ma di quel classico ardito ed interpretato che fu l’arte antica nelle mani degli uomini del Rinascimento, o poco dopo.

Camminando nella traccia della sua cultura, Francesca ritrova dopo lunga indagine l’oggetto, che sarebbe  la chiave di uno degli Strozzi, Leone, che fece un museo di rarità del bel palazzo ora Fondazione Besso di Roma, descritta nel l'”Arcadia” di Crescimbeni. La, chiave è matrice di quella in ferro conservata a Londra, nel Victoria and Albert Museum, fatta dal “Guillermo  franzese” mastro d’arte di Francesco I°. Ma non basta: la bellissima Diane de Poitiers l’avrebbe adoperata per raggiungere nell’appartamento il suo regale amante. Gli Strozzi avrebbero in seguito accompagnato Caterina de’Medici, nobile figlia dei loro amici, alle nozze con Henri d’Orléans, tramite il potente Filippo (Giovanni Battista), Tesoriere del Papa officiante, Clemente VII°, ed avrebbero anche loro alloggiato in quelle stanze, usando quella chiave.

Filippo Strozzi l’ avrebbe riportata in Italia e, compiaciuto per l’eleganza dell’oggetto, avrebbe ordinato una copia a Benvenuto Cellini, che l’esegui’ in legno, ma che da allora più nessuno la vide. Sembrava solo una fantasia, fino a che Francesca non l’ha ritrovata  studiando a lungo le carte e gli oggetti del nonno, aprendo una scatola moderna, meravigliosamente scolpita, di legno, e siglata con le iniziali del suo avo.

E qui il réportage si fa commovente: l’augusto antiquario avrebbe  avuto una scatola in dono quando era all’Asinara reduce dal Terzo Reggimento Bersaglieri, come uomo di fiducia dello Stato Maggiore, per sovrintendere al campo di prigionia degli austro-ungarici. Purtroppo in quella zona di li a poco scoppiò un epidemia di colera ed il Sergente bersagliere, impietosito dalle sofferenze dei poveretti e nel desiderio di portar conforto ai prigionieri ebrei, chiese al Comandante di poter usare un magazzino a Cala Reale per far celebrare per essi lo Jom Kippur. Sembrava inizialmente che chi vi giungesse fosse in un numero limitato di credenti, ma presto il sergente si accorse che il magazzino non poteva contenerli tutti, che parteciparono dunque alla ricorrenza stando fuori dalla costruzione, chi sdraiato, chi in ginocchio.

Al termine del rito Eugenio di Castro fu circondato da prigionieri che lo ringraziarono di cuore e gli baciarono le mani, ed uno, l’ungherese Popper, compose e scolpì la scatola che donò al militare in segno di gratitudine. L ‘oggetto, a testimonianza di un sentimento di stima e di riconoscenza imperituro, ha raggiunto la progenie del bersagliere, che giustamente se ne gloria.

Marilù Giannone