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Il pericolo della desertificazione

La grande distesa desertica che ricopre un terzo della superficie terrestre si è formata per interazione tra la terra e il clima nell’arco di milioni di anni. Le regioni aride, abitate da più di due miliardi di persone, si sono estese e ridotte a seconda della diffusione della vegetazione e delle piogge, e dell’uso più o meno corretto che l’uomo ha fatto della terra. I deserti possono essere caldi o freddi, sabbiosi o costituiti di rocce e ghiaia e costellati qua e là da piante ma in tutti i casi sono caratterizzati dal fatto di essere secchi.

Forse il caso di desertificazione più noto della nostra epoca si è verificato negli anni trenta, quando le grandi pianure degli Stati Uniti si sono trasformate nella cosiddetta Dust Bowl in seguito alla siccità e allo sfruttamento eccessivo dei pascoli. In quel periodo più di tre milioni e mezzo di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case e la loro vita. Oggi le tempeste di sabbia che spazzano il deserto del Gobi in Cina investono Pechino e i paesi circostanti, tra cui la Corea del Sud. Le più grandi arrivano persino in America settentrionale.

L’aumento della popolazione e l’impatto del bestiame sulle terre che confinano con i deserti ha accelerato la desertificazione e in alcune zone i nomadi cercano di fuggire dal deserto ma a causa dei loro sistemi di utilizzo della terra, finiscono per portarselo dietro. Non è vero che la siccità sia responsabile della desertificazione. Certo, la condizione di aridità è comune ai luoghi a rischio, ma come sostiene l’USGS (United States Geological Survey) una terra gestita correttamente può riprendersi da un periodo di siccità con il ritorno delle piogge. Nel 1973 la siccità iniziata cinque anni prima nel Sahel, in Africa occidentale, e i metodi di utilizzo del terreno, hanno provocato la morte di più di centomila persone e di dodici milioni di capi di bestiame, nonché la disgregazione delle strutture sociali, dai villaggi fino al livello delle nazioni.

Quando un territorio è compromesso e si trasforma in deserto, non può più sostentare tutta una serie di piante e animali: diventa, in poche parole, inutile per la vita. I deserti distruggono la biodiversità e impediscono la coltivazione del suolo, determinando carestie. Nel 2008 il costo del grano è aumentato del 130% rispetto all’anno precedente e quello della soia dell’80% in seguito al degrado delle terre agricole disponibili. In Africa quasi il 75% della terra è considerato arido ed è a rischio di desertificazione a causa dell’aumento dell’agricoltura. Nel 1950 nel continente vivevano 227 milioni di persone e 273 milioni di capi di bestiame; poco più di mezzo secolo dopo la popolazione ammonta a quasi un miliardo e i capi di bestiame a più di ottocento milioni.

Oggi, tuttavia, la grande frontiera della desertificazione è la Cina. Più di un quarto della terra è degradata o ridotta a distese di sabbia e ghiaia, effetto combinato del clima secco, di centinaia di anni di coltivazione eccessiva e di una domanda smisurata di acqua e suolo, dovuta a uno sviluppo economico più rapido di quello del resto del mondo. In Cina il numero di capi di bestiame è cresciuto velocemente, ma la terra disponibile per il pascolo è diminuita. Gli scienziati cinesi hanno segnalato che tra il 1950 e il 1975 circa 1550 km2 all’anno si sono trasformati in deserto. All’inizio del secolo la cifra è salita a 3625 km2. Nella seconda metà del secolo circa ventiquattromila villaggi nella Cina settentrionale e occidentale sono stati abbandonati in parte o del tutto perché invasi dalla sabbia.

Per fermare o rallentare la desertificazione e i suoi effetti, gli agricoltori dovrebbero adottare metodi di gestione della terra più corretti e usare l’acqua in modo più sostenibile. Potrebbero inoltre piantare semi resistenti alla siccità nelle aree più sfruttate: una buona soluzione per riuscire a sfamarsi e nel contempo tutelare il suolo. In alternativa si potrebbero utilizzare delle barriere fisiche. Le autorità cinesi hanno piantato un muro di alberi lungo più di 4830 chilometri dalla periferia di Pechino fino alla Mongolia, per tentare di proteggere le città dalle tempeste di sabbia provenienti del deserto del Gobi. Nel 2011, in una riunione della UNCCD (United Nation Convention to Combat Desertification), è stata approvata la realizzazione di una barriera di alberi lunga ottomila chilometri e larga quattordici e mezzo da Gibuti, nel corno d’Africa, fino a Dakar, in Senegal, nella speranza di bloccare la desertificazione del Sahel.

Anche le moderne tecniche agricole possono contribuire allo scopo di combattere la desertificazione. I metodi tradizionali prevedono l’aratura del terreno e la semina, un sistema che è andato bene per generazioni ma altera la struttura del suolo e ne agevola l’erosione da parte della pioggia e del vento. L’agricoltura senza aratura ha contribuito in qualche modo ad arginare il problema: con questa tecnica gli agricoltori inseriscono semplicemente i semi nel terreno. Molti paesi l’hanno adottata, tra cui gli Stati Uniti, il Brasile, l’Argentina e il Canada.

Coprendo le dune di sabbia con grossi massi o petrolio, si altera il flusso dei venti e si evita lo spostamento della sabbia. Applicando grate di paglia sulla loro superficie si può ridurre la velocità del vento. I cespugli e gli alberi che vengono piantati in queste grate vengono protetti dalla paglia finché non attecchiscono, afferma la USGS. Nelle aree in cui c’è acqua disponibile per l’irrigazione i cespugli piantati sopravvento nel terzo inferiore delle dune le rendono più stabili. Diminuiscono inoltre la velocità del vento alla base ed evitano uno spostamento considerevole di sabbia. I venti più forti in cima appiattiscono le dune e consentono di piantarvi degli alberi.

Le autorità cinesi hanno in progetto di investire miliardi per combattere la desertificazione: intendono piantare alberi, trasferire milioni di persone, limitare l’allevamento di bestiame e l’agricoltura, ma ammettono che potrebbero volerci trecento anni prima di ottenere un effetto significativo. Ci sono dunque le soluzioni per bloccare il degrado del pianeta e, a quanto sembra, anche una certa volontà politica. Il grande interrogativo è se riusciremo a rispettare i provvedimenti, generazione dopo generazione, per tutto il tempo necessario a risolvere il problema.

Nicola Sparvieri

Foto © Unimer

Desertificazione, Lotta alla desertificazione, Rimboschimento