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Il Primato di Roma Eterna e la Russia

LA RUSSIA IERI E OGGI e l’imponente eredità della MADRE ROMA CAPITOLINA  
Appunti sull’età profonda della civiltà nell’anno 2.772 dal mito della fondazione della Città Eterna

Raffaele Panico *

L’anima del contadino russo e italiano erano simili nella sopportazione del lavoro e della guerra, la Grande Guerra, in terre dure segnate dalla fatica e dove i confini sono estesi lungo migliaia di chilometri terrestri, con popoli al Sud e altrettanto lungo chilometri di coste nella piccola Italia con altre genti che ancora dalla stessa area premono alle frontiere dell’Europa marittima.

Il qui ed adesso, hic et nunc dei latini, è una fiamma ancora accesa nella filiazione di Roma Eterna, ora che l’antico potere Romano è traslato dai tempi della falsa Donazione di Costantino, con tanto sangue versato in Europa ante litteram. Europa, così com’è giunta a noi dai nostri padri è un’entità spirituale che si è realizzata solo dopo l’apparire dell’invasione islamica e la divisione del Mediterraneo in parti due, cosa che avvenne non con il dualismo Roma e Bisanzio, cristianità d’Occidente e d’Oriente, papato e patriarcato, bensì con l’apparire della Mezzaluna che taglierà in due le sponde del Mare Nostrum, mare di Roma portatrice di pace e speranza col motto se vuoi la pace prepara la guerra. Il segno, la croce punitiva come afflizione umana era la stessa, il sentimento solo si è mutato dalla pietas antica alla compassione cattolica in pietà. Le Torri d’avvistamento, lungo le migliaia di km di coste, delle navi corsare dei saracini sono l’indubbia testimonianza di due mondi contrapposti. È una storia che corre si è accennato anche attraverso i confini dati dai russi, lungo migliaia di chilometri, oltre gli Urali nella Russia asiatica, in tutte le Russie.

Una serie di vedute a “volo d’uccello”, possono spiegare avvenimenti ciclici della storia degli europei, costellata di traditori e tradimenti che rendono popoli tanto liberi, già nella loro anima, nel palpitare della vita quotidiana, in poveri sudditi e in ultimi arrivati. E nonostante questi tradimenti queste genti d’Europa vanno sempre risollevandosi e migliorando la loro condizione. Già nella seconda metà dell’800 si diceva è meglio fare l’operaio in Inghilterra che essere un re in Africa, un capo tribù pellirosse nelle Americhe e così via. Nonostante, negli ultimi cento anni, la nostra società contemporanea, ha subito due guerre terribili, la guerra fredda e scontri prima impensabili. È stata la dialettica e il sistema delle idee europee che hanno generato sistemi in feroce antagonismo, a cui istituzioni hanno fatto riscontro contro altre istituzioni derivate dallo stesso ceppo, dalla stessa radice comune: Roma, latina, Italia romana, Gallia romana, Germania romana Iberia romana, Africa romana e il Levante dall’Egitto all’Anatolia, Tracia, Grecia, Epiro. Dalmazia, Pannonia e Rezia e il cerchio si chiude con Augusta Treviri… E la Terza Roma, dopo la caduta di Bisanzio, la capitale di tutte le Russie, degli zar e dei Presidenti dei Soviet, oggi cosa fa? Una, sola la Russia, la sua anima, la sua luce, la sua civilizzazione, guarda al vitalismo e alla memoria di Madre Roma?

Le opposizione tra popoli si sommano e si moltiplicano ai sistemi politici e giuridici, e i sistemi oggi sono ancora frastornati, traballanti, incerti dopo lo scontro tra il capitalismo anglo-americano e i sistemi nazional-popolari segnati tra le due guerre mondiali prima dagli italiani fino al 1934, e poi dal 1933 dai tedeschi ancora una volta traditori che inneggiavano ad Arminio, il tradimento del 9 d.C. (a cui aggiungere anni 753 dalla fondazione di Roma) che annientarono nella foresta le Tre legioni del generale romano Varo. La storia regola i conti e loro stessi annientati, sì “annientati” da una guerra di provocazione e sterminio dapprima contro il sistema atlantico ad Ovest, e poi contro il sistema russo-bolscevico ad Est: il conflitto 1939-45, che ha regolato i conti del conflitto precedente 1914-18, e ha portato alla guerra fredda prima, alla decolonizzazione e poi alla caduta della Cortina di Ferro. Il sistema ereditato da questi cent’anni è ora fuori controllo. Si è rivolto su se stesso, contro se stesso. Dapprima in Italia, nel 1976, due partiti politici coagularono la ferita portata ai popoli europei (e extra-europei, con i popoli degli USA e dell’intera URSS) pensando ad una figura retorica, il compromesso, detto in Italia appunto “compromesso storico”. Altro non è stato che una incerta confusa sintesi, in cui figurano sciolti, liquefatti, elementi di tesi contrapposte.

Là dove prima le nazioni trasformavano la loro politica interna col capitalismo della concorrenza, l’Europa marittima dal Baltico fino all’Adriatico, altrove, nell’Europa continentale, l’altra metà della terra del continente, la Russia, la Bielorussia, l’Ucraina fino a giungere all’Artico al Nord e al Pacifico nell’estremo Est, si è assistito al capitalismo da monopolio o di Stato, pianificato da pochi gruppi di potere o dirigenti del partito, come in URSS e suoi Stati satelliti. Mentre il primo sistema raggiunge il suo culmine in Inghilterra e Francia, un secondo sistema si è sviluppato come rampollo soprattutto in America del Nord.

È in America che è opportuno studiare il movimento che ha portato la democrazia autoctona dei Padri fondatori, un fatto locale, apprezzabile, stimabile anche per lo spirito di libertà di religione, che ha condotto gli americani dalla cosiddetta libertà di religione, poi religione della libertà, ma senza patria senza nazione senza un’anima. La libertà, degli europei pronti a farci uccidere pur di mantenerla come bene supremo dell’intelletto, libertà che è la donna della statua di New Yook, un simbolo femminile, dell’intera Europa nostra, che lì accolse la volontà, di segno maschile, di portare il seme della civiltà di tutte le nazioni europee al Nuovo continente. La Libertà è come la Donna ed è soggetta attiva a umori e capricci, ci fa sognare ci dà il primo vagito il respiro ne vale sempre la pena di amarla fino anche a dare tutto di noi stessi. Senza la libertà-donna, eterno segno femminile, noi non sappiamo sognare, non amiamo e non siamo uomini, ma solo larve ed apparenze. Così è, che la traversata dell’Atlantico verso la libertà di religione, libertà prima vietata nel Vecchio continente, massacrato dalle guerre di religione, fino all’attuale plutocrazia della “democrazia d’esportazione” esaltata dalla pretesa religione della libertà, a ben vedere non funziona per niente fuori del dualismo Vecchio e Nuovo continente (e l’Australia, la Nuova Zelanda). Passaggi che ci hanno guidato e che non sono solo politici, ossia dettati dalle rivoluzioni americana e francese, ed istituzionali, ma segnati forse di più dalla concentrazione della produzione industriale, la gestione del lavoro, di chi lo ha guidato, fin poi alla sostituzione dei finanzieri agli industriali nella gestione delle imprese, divenute multinazionali e infine alla separazione progressiva della proprietà e dell’autorità: l’economia criminale in cui oggi viviamo.

Sempre le parti contrapposte si sono affrontate, anche a muso duro, con la faccia feroce che accompagna tutte le cose umane, altro che le “balle” del compromesso, della condivisione, del ponte fra le genti, della porta di casa aperta. Notiamo infatti che grazie a un processo di lotta e antagonismo sociale tra il proletariato e la borghesia abbiamo ottenuto grandi benefici fino agli anni Ottanta del secolo scorso. Proletariato e borghesia che in parte conducevano la stessa lotta comune contro l’antico regime. Dopo la vittoria sull’aristocrazia, la grande borghesia, l’alta borghesia, ha posseduto il capitale industriale ed è divenuta essa forza conservatrice, avendo anche l’autorità per sostenere il gioco. A quel punto l’impulso al progresso viene sempre più focalizzato dal proletariato urbano, e in Italia, ad esempio, anche rurale. Oggi la nazione, il principio di potenza immenso che muove la nazionalità negli scacchieri geopolitici, la parte sana e non il becero nazionalismo anni Venti del secolo XX, cioè la Giovine Italia e la Giovine Europa di Giuseppe Mazzini, è simile a quei figuri invalidi di guerra, con una stampella e con una gamba persa. Gli europei hanno perso prima Giuseppe Mazzini dopo il 1945, e poi anche Carlo Marx una volta caduto il muro di Berlino nel 1989. Solo gli inglesi ci provano ancora come nazione ma storpiano il pensiero di Mazzini, essi da soli non ce la possono fare nello scacchiere mondiale, già ai tempi di Churchill, figuriamoci oggi. Già gelosi della penetrazione russa nel mar Mediterraneo nell’800, hanno fatto un’espansione imperiale impressionante su lontane terre divise da oceani (le Americhe, l’Oceania e l’Asia e l’Africa) lasciando ai russi di giungere fino all’Alaska poi da questi venduta agli Stati Uniti, indipendenti dalla Madre patria Inghilterra. Gli inglesi, attenti all’emergere dei popoli extraeuropei rispetto agli statunitensi tanto faciloni, un secolo dopo, e forse più che indolenti ingenui, e più sinceramente disarmati psicologicamente e malati di inedia, gli inglesi avevano già chiamato i loro fratelli d’Europa (e il Giappone) contro il Celeste Impero con la guerra delle Nove Potenze.

Entrava via via Marx nella storia, di lì a pochi anni con la rivoluzione bolscevica di Lenin, con l’importanza e l’attenzione alla concentrazione del capitale, per il determinismo economico e sociale, per la necessità del proletariato di conquistare il potere politico con la rappresentanza. Allora si trascurava dai contemporanei la capacità autarchica, autarchia già nell’anima russa per la possibilità di realizzare il socialismo in un Paese solo. Una formula che riuscirà a Stalin grazie all’errore di due dilettanti, uno a capo dell’Italia, e poi l’altro, sua diletta e malvagia copia, a capo della Germania. Il socialismo realizza a suo modo una progressiva unità del Mondo, è ben al di sopra del piano locale. E l’unità del mondo è un concetto caro al filosofo giurista tedesco Carl Schmitt che amava il modello Italia dei primi anni Trenta.

Ma una differenza c’è eccome, in queste grandi figure, e cioè la concentrazione del potere economico e finanziario avviene sempre, in ogni società grazie a una sorta di super-classe, più numerosa, rispetto al terzo stato (rivoluzione francese), o al quarto stato effigiato dal dipinto di Pelizza da Volpeda che, a ben vedere possiede un solo passo, un solo sentire e colore, un’unica appartenenza che è legata alle istituzioni da cui discende il popolo, che a ben vedere è Nazione in marcia e che funziona, per così dire, da contraltare a chi li guarda e verso cui loro si muovono in massa. Tra il Quarto Stato, il proletariato i lavoratori e il grande capitalismo c’è il sentire della Nazione, che è una potenza mistica, a cui tutti sono formati e informati. È una potenza sempre giovane la Nazione perché è fatta ed è trattata quasi come intreccio inscindibile già dal racconto del mito e della poesia dei popoli fanciulli, rappresentata o dal Mito di Roma, o dalla Divina Commedia, persino da un Pinocchio di Collodi, o una favola dei fratelli Grimm o dal mito del Santo Graal, o come in Guerra e Pace di Leone Tolstoj. Marx non ebbe forse sensibilità d’analisi della potenza del nazionalismo che, come sempre nel mondo, tra le due guerre avrebbe trovato potenza in Italia, e in Germania, che a ben vedere in pochi anni ebbero la supremazia come sistema e annientarono tutto o quasi tutto, meno che la Russia. Disconosciuta, proscritta Russia, allora forse perché base elementare dei sentimenti comuni e quotidiani, legati alla bandiera all’inno e all’idea di patria, questa potenza ha la capacità aggregativa o disgregativa. È l’unità compatta come nel dipinto di Pelizza da Volpedo che decide sempre le sorti tanto in guerra che in pace di nazioni etnicamente totali come lo erano la Germania, l’Italia e il Giappone: cadere e rialzarsi subitaneamente e il cerchio si chiude.

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*Raffaele Panico, Laureato alla Sapienza nel 1995 col massimo dei voti in Lettere Moderne,  si è formato a Roma e Napoli fruendo di borse di studio presso le Biblioteche dell’Ateneo romano e dell’Istituto Italiano per gli studi filosofici di Napoli; ha successivamente frequentato a Roma un master su “I diritti umani nella realtà contemporanea” presso la Libera Università S.Pio V.
Come giornalista è stato direttore de L’Avanti, redattore de L’Umanità e del quotidiano Rinascita; come ricercatore ha partecipato in convegni di carattere storico/culturale presso La Sapienza, Roma Tre, Archivio di Stato di Latina, Centro Italiano per gli Studi Storico-Geografici;  come autore ha pubblicato una meritoria relazione su Fiume, testi  sulla “Dalmazia, regione dimenticata e il territorio pontino”, su Niccolò Tommaseo, Gabriele D’Annunzio, la cultura italiana ed europea, ottenendo specifici riconoscimenti   dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento informazione ed editoria) per l’anno 2003 e 2005.
Nel 2002-2003 è stato tra i promotori presso le Istituzioni della Repubblica per l’istituzione della “Giornata del Ricordo” per il 10 febbraio in memoria delle vittime delle Foibe, e per una storia Giuliano-Dalmata.
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