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Il rapporto tra Thanatos ed Eros; la sessualità dei pazienti oncologici

COME L’AMORE AFFRONTA IL TUMORE:
DALLA SFERA SESSUALE A QUELLA SENTIMENTALE

 «Se ti chiedessi dell’arte, probabilmente mi citeresti tutti i libri d’arte mai scritti. Michelangelo? Sai tante cose su di lui: le sue opere, le sue aspirazioni politiche, lui e il Papa. Le sue tendenze sessuali. Ma scommetto che non sai dirmi che odore c’è nella Cappella Sistina. Non sei mai stato con la testa rivolta verso quel bellissimo soffitto. Mai visto! Se ti chiedessi delle donne? Probabilmente mi faresti un compendio delle tue preferenze. Potrai persino aver scopato qualche volta. Ma non sai cosa vuol dire svegliarsi accanto a una donna e sentirsi veramente felici. E se ti chiedessi della guerra, probabilmente mi getteresti Shakespeare in faccia: “ancora una volta sulla breccia, cari amici”. Ma non ne hai mai sfiorata una. Non hai mai tenuto in grembo la testa del tuo migliore amico vedendolo esalare l’ultimo respiro mentre con lo sguardo chiede aiuto. 
Se ti chiedessi sull’amore, probabilmente mi diresti un sonetto. Ma guardando una donna non sei mai stato del tutto vulnerabile. Non ne conosci una che ti risollevi con gli occhi sentendo che Dio ha mandato un angelo sulla terra solo per te. Per salvarti dagli abissi dell’inferno. Non sai cosa si prova a essere il suo angelo. Avendo tanto amore per lei, vicino a lei, per sempre. In ogni circostanza. Incluso il cancro. Non sai cosa si prova a dormire su un lettino d’ospedale tendendole la mano perché i dottori vedano nei tuoi occhi che il termine ‘orario delle visite’ non si applica a te ».

Il compianto attore statunitense Robin Williams (nella foto), in grado di far sognare grandi e piccini con le sue toccanti ed esilaranti performance recitative, dall’alieno arrivato sul pianeta terra con un’astronave a forma di uovo della situation comedy a sfondo fantascientifico Mork & Mindy al professore idealista ed empatico del cult-movie L’attimo fuggente di Peter Weir, in Good Will Hunting dà il meglio di sé.

Forte dell’ottima sceneggiatura, redatta a due mani dagli amici per la pelle Matt Damon e Ben Affleck, il suo personaggio, un insegnante di psicologia alle prese con la slavata alterigia del bulletto geniale Will, gli impartisce una lezione incentrata sull’importanza dell’amore. Messo a durissima prova dal sopraggiungere dell’infausta malattia. Non è semplice scrivere sull’argomento. Il filo che unisce arte ed esistenza diviene una magra consolazione dinanzi agli inappellabili diktat della Vita. La speranza è l’ultima a morire ed è importante che chiunque abbia contratto un tumore, un cancro, una forma di leucemia acuta, combatta con tutte le energie a disposizione, specie la forza d’animo, contro l’atroce ospite indesiderato. Una malattia comparata a un sequestro di persona da chi ha davvero assistito l’altra metà della mela lungo un percorso purtroppo non a lieto fine. Tuttavia, al di là delle sentenze emesse con assoluta e algida esattezza tanto dalla scienza quanto dall’ordine naturale delle cose, occorre lottare. Lo sa bene l’ex calciatore Gianluca Vialli (nella foto) che ha scritto il libro 98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili proprio a tal fine, allo scopo anche di fungere a esempio, dedicando l’ultimo capitolo all’esperienza diretta.

La diagnosi che scopre il Linfoma di Hodking è dura come un macigno: sembra un’appellabile sentenza. Un tiro meschino del destino, specie quando accade agli sportivi abituati a tener cura del corpo. Lo strumento delle prove di abilità applaudite dagli appassionati. Con buona pace degli insensibili dietrologi, che tirano in ballo i sospetti di doping posti in luce oltre vent’anni fa dal risentito allenatore Zdeněk Zeman, il Gianluca Nazionale ha guardato il nemico negli occhi. Anche se corrispondesse ad amara realtà, attribuita alle casistiche in mesti casi come questi, il significato della canzone di Gianni Morandi, Uno su mille ce la fa, varrebbe ugualmente la pena provarci. Con ogni fibra del proprio essere. Certamente la varia tipologia dei tumori innesca dei distinguo fondamentali. Un conto sono quelli che colpiscono i tessuti fibrosi, di supporto, la cartilagine; un altro quelli intenti ad aggredire impietosamente il sangue e il midollo osseo. Individuare le cause è una necessità ancor oggi avvolta in un’inopportuna incertezza. Tuttavia, lontano dalle secche dell’enfasi di circostanza rea d’ingenerare inutili aspettative e impossibili inversioni di tendenza, è lecito porsi alcuni interrogativi almeno. Il summenzionato amore può costituire sul serio un antidoto contro le cause che incitano d’improvviso le cellule a riprodursi senza accertamenti né verifiche tali da impedire agli organi di rivoltarsi contro l’intero ente materiale? Lo spirito conta più della materia, nei fatti anziché nelle astrazioni? E cosa s’intende per amore? Ha senza alcun dubbio a ché vedere col desiderio, con l’indispensabile corrispondenza, benché il cruccio del sentimento rigettato rappresenti l’ispirazione massima delle poesie più commoventi. Pure la mancanza, e quindi l’obbligo di colmarla, rientra nel concetto caro ai filosofi sin dai tempi antichissimi. Allorché, nella mitologia greca, Eros, figlio di Afrodite, o Venere per i romani, e Zeus, giunse, per così dire, ‘a fagiolo’. Il saggio Aristofane fornisce, in quest’ottica, nella commedia Gli uccelli, i lumi migliori: «All’inizio c’erano solo Chaos, Notte (Nyx), Oscurità (Erebus) e Abisso (Tartarus). La Terra, l’Aria e il Cielo non avevano esistenza. In primo luogo la Notte oscura posò un uovo senza germe nel seno delle profondità infinite delle Tenebre, e da questo, dopo la rivoluzione dei lunghi secoli, scaturì il grazioso Amore (Eros) con le sue scintillanti ali dorate, rapide come i turbini della tempesta. Si accoppiò nel profondo Abisso con il caos oscuro, alato come lui, e così nacque la nostra razza, che fu la prima a vedere la luce

Disquisire, però, del rapporto tra Thánatos (dalla lingua greca θάνατος, ossia “Morte“) ed Eros, oltre ché dell’immancabile corrispettivo in SPQR della divinità, Cupìdo (Desiderio), contribuirebbe ad allontanarci ancora dal problema. Visto che trae partito dal noto testo saggistico di Sigmund Freud, Jenseits des Lustprinzips (Al di là del principio di piacere). Nondimeno se proferire verbo alla carlona, ovvero cianciare a vanvera di psicologia, serve a poco – nell’ambito dei congegni che stabiliscono l’orrida comparsa del tumore nonché l’accrescimento dalla sede d’origine – parlare di una psicologa nello specifico trascende le mere teorie sulla pulsione di vita e sulla pulsione di morte. Si chiama Noemi Pinna (nella foto): raccontarne l’iter aiuta a capire il confronto, tutt’altro che evanescente, dell’amore col tumore.  

Instancabile operatrice a sostegno del progetto “PIROGA“, concepito dall’Associazione VIC – Volontari In Carcere e concretizzato con l’apporto della Fondazione Charlemagne, Noemi crede profondamente in quello che fa: dall’impegno profuso presso l’istituto penitenziario di Rebibbia, per soccorrere sul piano pratico i detenuti incapaci di vincere da soli l’angoscia della privazione, all’attività di psicosessuologa. I galloni li ha conquistati sul campo, lottando per la vita. La sua tesi di laurea, “Sessualità nel paziente oncologico e percorsi di consulenza sessuale”, manda a carte quarantotto qualsivoglia disciplina di fazione, ogni divergenza di opinione sulla permeazione dei vasi ematici o il passaggio del tumore dallo stadio iniziale alla malaugurata invasione. Non in virtù di una capacità di scrittura particolarmente erudita, benché degna d’ampia considerazione, al pari della modalità comunicativa ad appannaggio del cinema, bensì sulla scorta della fragranza dell’inconfondibile schiettezza. Discorrere con lei, pure per chi antepone l’egemonia dello spirito sulla materia e i valori ereditati dalla tradizione sul livellamento ugualitario dei progressisti, equivale a una boccata d’ossigeno. Il coraggio è sempre una dote da mettere in luce per i giornalisti che, nelle vesti di divulgatori intenti a esercitare una sorta di agire etico col peso informativo dell’immunoterapia e dell’ipertermia a essa congiunta, intendono dare un contributo, magari modesto, alla conoscenza dei trattamenti, per uscire dal tunnel dell’anticamera della morte, insieme al cosiddetto stream of consciousness. Il flusso di coscienza per Noemi è stato qualcosa di più importante ed eminentemente urgente di una semplice tecnica narrativa. Il ricordo recente del ciclo di chemioterapia, con la nausea, il vomito, il drastico calo delle difese immunitarie inclini ad accrescere l’esplicito disagio, le è servito per compenetrarsi nelle ansie degli infermi che si sentono sbalzati di sella dalla sorte. Il sorriso furbetto muta segno quando ci pensa sù per sollevare di scatto le palpebre, accendere lo sguardo, snudare l’anima e dimostrarsi degna figlia di suo padre, Ireneo, che le ha insegnato a non mollare mai. Non punta l’indice, però, contro nessuno. Preferisce giocare a carte scoperte. Ponendo l’accento sul desiderio riconducibile nella vita di coppia e nel sesso che sublima il desiderio. Occuparsene mentre gli organi si ribellano è un’impresa ostica. Se non impossibile. Col senno di poi, sostengono gli esperti del ramo, prima di affrontare una trafila di cure che può nuocere al pavimento pelvico, è utile ricevere una specifica consulenza ginecologica. Nell’imparare a riconoscere i segnali del corpo, quando è attuabile, nella fase preventiva, risulta altrettanto fondamentale, durante le indispensabili ed estenuanti cure, carpire quelli legati alla genitalità. La piena conoscenza degli strumenti necessari a riprodursi, che controllano anche la sfera dell’appetito carnale, con buona pace dell’arcinoto turpiloquio fondato sugli abusi terminologici e della mercificazione dei film hard, rappresenta l’audacia maggiore. Nell’unire teoria e prassi. La secchezza vaginale, dovuta alla lubrificazione invalidata dai trattamenti in grado tuttavia di sconfiggere il diffondersi del male attraverso il sistema linfatico, è uno dei molteplici ostacoli da sormontare. Alla terapia del dolore segue la necessità di agire in termini operativi ed esaustivi sulla mente delle pazienti oncologiche. La perdita dei normali cicli, con lo spauracchio, tra i tanti, della precoce menopausa, farebbe tremare le vene e i polsi, citando il sommo Poeta, se i complessi frangenti comportati dalla malattia non divenissero oggetto di studio costante. La paura di veder inasprite, se non compromesse, la libido e la speranza di restare incinte, viene analizzata con scrupolo da Noemi. La gestione delle terapie, che talvolta trasforma la sessualità in una questione di lana caprina in rapporto all’istinto di conservazione, acquista notevole rilievo grazie all’accertamento relazionale. Aver affrontato l’arduo, accidentato percorso col protettivo fidanzato Yuri, bravo ad accettare le alterazioni temporanee e transitorie con la calma delle persone sagge, consapevoli che il calo del desiderio connesso all’inevitabile snervamento non deve mai regredire nel senso d’inadeguatezza, le ha permesso di tenere alta l’autostima necessaria ad approfondire il severo trattamento di cure. Anche per quel che concerne gli uomini colpiti dalla malattia, e costretti a prendere atto della debolezza corporea allo scopo di risalire a galla dopo un’odissea ai limiti spesso della sostenibilità psicofisica, la situazione è poco allegra: i farmaci chemioterapici deteriorano gli spermatozoi, creano antipatiche reazioni cutanee, colgono in contropiede il linguaggio del corpo fiaccandone le risposte. Eppure l’intimità di coppia, con la rilevanza del dialogo sugli scudi, consente di riprendere il discorso. Vivere il sesso con piacere e accettazione di ciò che passa il convento, nel momento in cui i limiti imposti sembrano inammissibili, incentiva il processo di crescita ascetica ed emozionale. Nessuno è in odore di santità, intendiamoci, ma è vero che quello che non uccide rende più forti.

Il parlato filmico, con Good Will Hunting di Gus Van Sant come punto di riferimento, torna in veste di best practice. Lo psicologo impersonato da Robin Williams, che spiega cosa sia il tessuto intimo di una coppia, colpisce al cuore, alla mente e allo stomaco: «Mia moglie scoreggiava quando era nervosa. Aveva una serie di meravigliose debolezze. Aveva l’abitudine di scoreggiare nel sonno. Una volta lo fece in modo talmente forte da svegliare il cane. Si svegliò anche lei. “Sei stato tu?” “Sì, sì”. Non ebbi il coraggio. Oh Signore! Will, è morta da due anni e questo è quello che mi ricordo: momenti stupendi. Sono queste le cose che più mi mancano: le piccole debolezze che conoscevo solo io. Anche lei ne sapeva di belle sul mio conto: conosceva tutti i miei peccatucci. La gente queste cose le chiama imperfezioni, ma non lo sono: sono la parte essenziale. Poi dobbiamo scegliere chi fare entrare nel nostro piccolo strano mondo».

A Roma si suol dire che i fatti della pentola li sa il coperchio. In modo certo meno incisivo del suddetto parlato cinematografico, che prende le debite distanze dagli eccessi iperletterari da una parte e dalle semplificazioni popolaresche dall’altra, l’aforisma coglie nel segno. La complicazione testuale non giunge in soccorso nell’ambito della penuria di testosterone o della brama di paternità minacciata dalla perdita di equilibri dovuta alla debilitante terapia. Conta riconoscere, parlandone senza remore, le rispettive esigenze. Di conseguenza il timore di veder danneggiati i nervi sensibili e la dilatazione dei vasi sanguigni, per via degli effetti collaterali, cede il posto all’intesa cementata dalla consapevolezza di aver fatto entrare “l’angelo giusto” nel proprio “piccolo strano mondo”. L’attitudine a guardare al bicchiere mezzo pieno, invece ché a quello mezzo vuoto, specie quando la coppia non paga dazio all’imperativo di coniugare la vita all’imperfetto, garantisce la fondatezza dell’ottimismo. I nodi vengono al pettine per merito altresì dell’esperta psico-oncologa Sharon L. Bober (nella foto) in Sexuality in adult cancer survivors: challenges and intervention.

Sopravvivere ad angiomi maligni, quei pochi, o a una delle numerose tipologie di tumori, deve necessariamente innescare la fiducia nell’avvenire. Mens sana in corpore sano? In questi casi la mente, rimasta lucida grazie all’idonea vigoria d’animo, aiuta il corpo ad alleviare la fase, comprensibile, di disadattamento. L’indagine sulle complicazioni fisiche è il propellente per scongiurare l’impasse di costruire deleteri castelli di carta. Non si tratta perciò di dire a nuora perché suocera intenda, né di gettarsi dietro le spalle gli strascichi del traumatico test: bisogna parlare chiaro e tondo ed evitare di rimuovere il ricordo. In quanto rappresenta una fonte preziosa per soccorrere il prossimo ed estendere il livello di empatia. La paura di rimbalzare da uno stato d’animo all’altro, di mettersi di traverso di fronte alla strada della felicità, di cedere alla rassegnazione e ad acute tensioni, esacerbate dalle notizie da elettroshock frammiste ai residui di un’autocrate malattia, che ha picchiato duro, lascia spazio, in tal modo, al fermo rifiuto di arrendersi. L’interazione tra “corpo biologico” e “corpo psicologico” serve ad aiutare i pazienti oncologici quando il morale è sotto i tacchi ed ergo un contatto, una carezza, qualunque cosa solleciti un eventuale amplesso, diventa un elemento centrale dell’esperienza di coppia. La comprensione, che prevale sul pessimismo della gente con lo sguardo fisso nel vuoto, cementa da vicino l’irrinunciabile complicità. Da cui è più facile ripartire per perpetuare la specie, a discapito dei conflitti insolubili. A Dio piacendo. Nel frattempo è bello riscontrare nelle Sacre Scritture, per la precisione nel “Cantico dei Cantici”, l’influenza del linguaggio del corpo della coppia sui brani elegiaci ispirati all’Onnipotente per l’umanità: «Oh figlia di principe quanto sono belli i tuoi piedi nei sandali. Il tuo ombelico è una coppa rotonda dove non manca mai il vino. Il tuo ventre un mucchio di grano circondato da gigli. Le tue mammelle sono grappoli d’uva. Il tuo respiro ha il profumo delicato delle mele».

MASSIMILIANO SERRIELLO

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