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Il “Rischio Paese” al tempo del Coronavirus

UNA VICENDA CHE HA FATTO EMERGERE
UN “PAESE A RISCHIO” 

di Giuseppe Pino

Se da un lato, ma senza esagerare, possiamo sostenere che cultura e profilazione di rischi emergenti sono settori molto presidiati, in particolare nel comparto Impresa 4.0, altrettanto non possiamo dire per altri ambiti.  Fra questi rientra il sistema sanitario nazionale. Non tanto intrinsecamente, in sé: anzi, ben presidiato e sempre in costante aggiornamento. Annoveriamo bravissimi professionisti in materia.
Quanto, a differenza, si deve fare ammenda nel segnalare ritardi su tutte le complicanze indirette generate nel contesto socio-economico del Paese. Non più di competenza medica, ma di cui sono immediata concausa. La vicenda coronavirus ha fatto emergere il problema: ovvero la mancanza propedeutica di strumenti preventivi.

Che di fatto, al momento, non ci sono e si stanno affannosamente ricercando (predisponendo) nell’evolversi degli accadimenti e circostanze, rincorrendo ora dopo ora. Peggiore situazione non poteva accadere. Proprio su questi aspetti vorrei brevemente concentrare l’attenzione. Perché, invece, su quelli clinici possiamo vantare metodologie di risk management fra le più avanzate al mondo.
Lo scenario muta radicalmente quando ci troviamo ad affrontare gli impatti sul sistema economico-finanziario generati da potenziali calamità sanitarie. Se abbiamo fatto passi da gigante nel saper delineare scenari di crisi in contesti di calamità naturali ed infrastrutturali (anche se talvolta siamo bravissimi a profondere incredibili energie – la macchina dei soccorsi – nell’emergenza, spesso e volentieri siamo deficitari negli interventi di breve-medio termine), direi quasi totalmente impreparati a fronteggiare “seconde emergenze”.
L’evolversi, in questi giorni, del diffondersi del contagio da coronavirus, sta portando alla ribalta (anche dell’opinione pubblica) una falla nel sistema “prevention” nell’affrontare “emergenze riflesse” di elevato impatto sociale e finanziario. Senza nulla togliere (o, meglio, distogliere) all’emergenza principale: nel frangente preservare la salute pubblica. Perché questo? Domanda legittima, semplice, pur nella banalità. Forse anche irriverente, viste le circostanze.

Ma una risposta tecnica (ancor prima che legittima) c’è! Mancano studi e ricerca. Siamo completamente sprovvisti di modelli matematici e calcoli attuariali capaci di disegnare andamenti, e soprattutto effetti a caduta, nel momento in cui si mettono in atto azioni “innaturali” su territori, comunità, attività. Dove un paracadute non esiste, il trasferimento a terzi (a priori) non può essere prefigurato; stante le attuali norme vigenti. Perché vengono stravolte da una parte le regole del rischio d’impresa (non più governabile dall’imprenditore, come dovrebbe sempre essere, nel bene e nel male), dall’altra le regole del vivere civile (restrizioni alla convivenza, alla mobilità generale; tipiche degli stati di estrema necessità o tempi di guerra).
Di fatto, e detto in altri termini, quanto oggi sta accadendo in Italia, non trova corrispondenza, supporto, classificazione e definizione nel manuale dei canonici “Rischi Paese”. Nella fattispecie nei tre principali capisaldi della filiera: rischi politici, rischi sovrani, rischi economici. In particolare, questi ultimi, dove richiami o rimandi a diffondersi di epidemie o pandemie non vi è menzione o traccia.  
E siamo nel novero di rapporti e transazioni internazionali; ancor meno dicasi per quanto concerne difficoltà interne: vuoto pneumatico. Forse è veramente arrivato il momento di metter mano e regolamentare questo sfaccettato mondo conosciuto a pochi, se non agli specialisti. Per certo, non si potrà più andare avanti per molto affidandoci – a stato di crisi in corso – a provvedimenti straordinari, a decreti legge di emergenza ed a qualsivoglia situazione tampone “inventata” al momento. Vero!
Noi italiani, forse saremo un popolo di santi, poeti e navigatori.  Quelli capaci di trovare sempre soluzioni a tutto. Ma sicuramente è arrivato il momento di “darci una regolata”: per il bene nostro e dei nostri figli.

 

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