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Il Tavolo Tecnico ENPAP sulla sicurezza sul lavoro: un’occasione di profonde riflessione sui tempi nuovi e le sfide-risposte a tutela del benessere e produttività

Riflessioni storiche sulle nuove incoraggianti prospettive di questi anni Venti 

Siamo ad un primo bilancio, una prima analisi su questo periodo di 7 mesi, almeno dal giorno del grande Confinamento o del Lockdown.  Ribadiamo così ancora una volta la nostra specifica in italiano, non tanto avversione per partito preso all’anglicismo facile, piuttosto attenzione diretta alla tradizione unitamente all’innovazione: la profonda ascendenza al latino dei padri dei padri e all’italiano dei padri del Trecento. Cosa che, in questi tempi nuovi, ci corazza e consente di individuare, tra le ampie oscillazioni del pendolo – a modo dello smarrimento a veder quegli antichi lampadari posti in alti saloni scossi da forte terremoto ondulatorio – tra l’infinita massiva, massiccia e penetrante, martellante dovizia d’informazioni dai media, da schermi palmari ad altri schermi per più persone visibili in ogni dove pubblico, fin su bus e metro, ogni locale di ristoro… notizie sui social che inondano tutti i minuti, gli istanti i quarti d’ora della nostra quotidianità.

Raffaele Panico

Molte persone sono smarrite ed errano come individui ormai “comuni anonimi statistici” definiti in questa condizione sociale ed economica dal filosofo di Sulmona Giuseppe Capograssi nella prima metà del Novecento.

Questo cambiamento arriva imposto da un infinitamente piccolo virus battezzato Covid–19, che è solo uno dei tanti virus, un granello tra suoi simili al pari della sabbia di una spiaggia e, che del resto l’umanità e l’evoluzione stessa del creato vivente sulla Terra da sempre ha avuto stretta e intima co-abitazione virus-essere vivente per l’evoluzione degli stessi viventi, ebbene ora l’invisibile informazione primordiale trasmette paura. Anche nel continente Antartico ad ogni carotaggio dei ghiacci millimetro per millimetro è scritta la storia del cambiamento biologico, e ogni “cristallo” di ghiaccio contiene preziose informazioni da analizzare catalogare interpretare utilizzare. La paura, prima della conoscenza moderna dei virus esisteva e ha accompagnato le società organizzate dal tribalismo delle società primitive alle grandi formazioni statuali di genere – società incivilite, di famiglie di civiltà a paragone tra loro, dalle circoscritte Polis, alle piccole e grandi monarchie, repubbliche ed imperi.

Ora, tornando al tema attualissimo, occorre affrontare il lavoro remoto o il lavoro a casa, in vulgata smart working, come già avveniva di recente, dopo il secondo dopoguerra, quando il Paese avanzava nel campo manifatturiero e molti lavori nelle fasi della divisione del lavoro venivano affidati alle casalinghe, spesso coadiuvate dopo aver pranzato e fatto i compiti della scuola a casa, dai rispettivi figli, o prole come si diceva. La prima grande lezione? Forse ciò che fino a ieri sembrava fondamentale domani potrebbe non esserlo più e viceversa. Le esigenze cambiano e si evolvono. Lavorare da casa implica enormi vantaggi. Riduce drasticamente gli spostamenti in ufficio e quindi traffico, inquinamento dell’aria e acustico, minori infortuni o incidenti sulle strade cittadine.  In fondo il Covid-19 influenza e influenzerà in vario modo la quotidiana vita delle moltitudini e i pensatori successivi all’epoca della globalizzazione e del globalismo, devono affrontare a forza di cose i tempi nuovi, passo per passo. Perché non sempre riusciamo a percepire questo continuo cambiamento, solo quando siamo arrivati all’abbrivio della sfida-risposta detta alla Arnold J. Toynbee.

In attesa delle nuove regole nazionali ed europee, continua pertanto il lavoro agile degli esperti che tra i primi avvertono che si tratta di una opportunità storica. Affinché poi la qualità della salute e delle prestazioni dei lavoratori, la produttività delle aziende non ne risentano, servono interventi volti a disciplinare il lavoro remoto. Ancora troppa disparità di genere, si obietterà, anche nella gestione del lavoro da casa, il quale rispetto agli anni del miracolo economico italiano vede, ad esempio, le donne non supportate dalla felice presenza dei propri figli, o la prole delle famiglie proletarie in quella che ora appare primitiva lotta dei diritti di classe, ben organizzata dai “furono” partiti politici di massa dell’epoca. I figli che facilmente stavano a bada e non sentivano che notizie musica e poca reclame dalla radiolina a transistor, o la musica da un mangiadischi per i vinili da 45 giri, e i programmi Tv che si vedevano erano diffusi da due canali di Stato, fortunati quanti raggiunti dalle frequenze della Tv Capodistria, o della Svizzera italiana.                 

Riflessioni storiche […] di Raffaele Panico  

 

Il Presidente dell’ENPAP, Felice Damiano Torricelli, e a guida
del Tavolo Tecnico
su Sicurezza sul Lavoro e smart working:
occorrono regole, cultura per tutelare benessere e produttività e
“gli strumenti della psicologia saranno la chiave di volta”

Roma, 28 settembre 2020 – Nella fase di emergenza della pandemia, l’incidenza del lavoro da casa è salita al 18,5% (ad aprile 2020) interessando più di 4 milioni di italiani (dati dell’ultimo rapporto ISTAT). Nell’autunno incerto dell’anno del Covid, la scelta, concordata o forzata, della prosecuzione dello smart working mostra però ancora troppe falle al suo attivo, che rischiano di far perdere in benessere e in produttività sia le persone sia le realtà produttive. Il Tavolo Tecnico ENPAP sulla sicurezza sul lavoro si sta occupando di questi aspetti. Un’attenzione particolare è rivolta al lavoro agile svolto dalle donne, che da quanto emerge da una ricerca di Valore D sono messe ancor più a dura prova dei colleghi maschi: 1 donna su 3 lavora più di prima e non riesce, o fatica, a mantenere un equilibrio tra lavoro e vita domestica. Tra gli uomini che avvertono queste difficoltà, il rapporto è 1 su 5, stando ai dati della ricerca.

In attesa dei decreti e della direttiva europea sullo smart working, che dovrebbe essere emanata nel 2021, è necessario intervenire con azioni ad hoc, volte a introdurre in modo corretto due requisiti-chiave per un ‘buon lavoro agile’: da un lato la cultura di questa modalità di lavoro, dall’altro regole chiare che tutelino tutti gli attori coinvolti. Altrimenti, se queste due condizioni non si verificano, fanno notare gli Psicologi del Lavoro che partecipano al Tavolo Tecnico ENPAP sulla sicurezza sul lavoro, il rischio reale è quello che alla fine tutti ci perdano. Per evitarlo, sottolinea Felice Damiano Torricelli, Presidente ENPAP e a guida dei lavori del Tavolo Tecnico, «Gli strumenti della Psicologia saranno la chiave di volta. La transizione che – sulla scorta dell’emergenza sanitaria – nel giro di pochi giorni ha portato 6-8 milioni di italiani a lavorare da remoto, nell’ultimo periodo, è stato un acting out necessario alla sopravvivenza del sistema lavorativo. Da Psicologi però sappiamo che affinché questo approccio al nostro sistema lavoro risulti efficace e si consolidi, occorre intervenire con adeguati strumenti di formazione e di consulenza-accompagnamento sui comportamenti delle persone e del management, sulle tecnologie e anche sugli spazi di lavoro. Che non si può dare per scontato siano sempre adeguati nelle realtà domestiche. Ed è necessaria anche un’attenzione alle esigenze specifiche di cui le persone che si approcciano allo smart working sono portatrici: in primis, la necessità di conciliare davvero le esigenze lavorative con quelle personali e familiari».

Sono diverse le sfaccettature dello smart working, ma se si investe sulle misure da adottare e sull’adeguato presidio dei comportamenti e non solo dei risultati, allora sì che il lavoro agile può davvero diventare un’opportunità concreta. E non insostenibile sul piano psicofisico (anzi, tutt’altro), in particolare per le donne. Quindi, cosa serve per far sì che questa non resti solo una ipotesi teorica? «Una riorganizzazione del lavoro, avendo ben chiaro che una messa in pratica dello smart working non spetta solo a chi nelle aziende si occupa di gestione delle Risorse Umane, come in molti pensano. È una attività che va condivisa, che va pensata, studiata, analizzata, e adattata a ogni singola realtà produttiva. Un monitoraggio nazionale su questo tema, che coinvolga tutti gli stakeholder, potrebbe essere anche l’occasione per analizzare con più cognizione le altre difficoltà che potrebbero emergere in futuro, e trarne indicazioni ancora più mirate da mettere al servizio della ripresa economica del Paese», precisa Pier Giovanni Bresciani, Presidente Siplo (Società Italiana di Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione).

Prevedere una figura competente a supporto della messa in pratica del lavoro agile nelle realtà aziendali (magari a livello territoriale per quello che riguarda le piccole e micro imprese), sarebbe un auspicabile fattore di qualità e di successo. «Chi lavora continuano a essere le persone: vanno valorizzate, vanno ascoltati i loro bisogni. A distanza, però, diventa complesso farlo senza minare la loro motivazione. Anche perché la convinzione del ‘se non ti vedo, non è detto che tu stia lavorando’ è ancora piuttosto diffusa. È un atteggiamento aziendale magari comprensibile storicamente, ma ormai fuori dal tempo, a maggior ragione oggi», aggiunge Pier Giovanni Bresciani.

Quali i rischi di uno smart working mal applicato? «C’è una cosa da non sottovalutare, relativa alla sicurezza sul lavoro: se da una parte il lavoro agile permetterà di ridurre gli incidenti sul lavoro, dall’altra potrebbero aumentare quelli domestici», premette Fabio Tosolin, docente di Health Safety Environment & Quality e Behavior Based Safety al Politecnico di Milano. «L’attività svolta in ambienti protetti, progettati tenendo in conto le esigenze di sicurezza, ha consentito nel corso degli anni di ridurre in modo consistente i rischi per i lavoratori con l’adozione di antecedenti appropriati, non solo segnaletica, raccomandazioni e corsi, ma anche postazioni di lavoro ergonomiche o linee di produzione ricche di protezioni e barriere. Con un livello di efficacia ben difficilmente riproducibile in innumerevoli e non presidiabili ambienti domestici».

Inoltre, aggiunge Tosolin, «C’è il rischio che per alcuni lavoratori lo stress lavoro correlato rimarrà pressoché invariato o addirittura aumenti: all’innegabile vantaggio di poter lavorare con meno vincoli di abbigliamento, orario e modalità operative farà da contraltare un impoverimento della qualità e della frequenza di feedback e dunque della soddisfazione per le iniziative di valore, che non verranno più immediatamente percepite dal datore di lavoro e dai colleghi. Anche le informazioni utili a indirizzare con precisione l’attività, fornite in modo non ufficiale da piccoli stimoli, cenni e frasi informali dai colleghi negli ambienti di lavoro tradizionali, non potrà più avvenire come prima nella comunicazione mediata da dispositivi ancora in gran parte basati sulla comunicazione scritta o che richiedono appuntamenti, accordi e predisposizione di software per le riunioni online. Per questo, bisognerà fare molta attenzione all’utilizzo dei feedback agli smartworker da parte dei responsabili aziendali, che saranno chiamati a una rivisitazione profonda del loro stile manageriale».

Un’altra delle problematiche che potrebbero sorgere riguarda proprio questo aspetto: il lavoro agile tende a far diminuire i riscontri, in generale, e questo fa scendere drasticamente la motivazione, con conseguente aumento dello stress. «Un ulteriore elemento di criticità dovuto alla diminuita possibilità di vedere e valutare il lavoro in corso d’opera, tratto caratteristico dello smart working, è la frustrazione che deriva dal feedback erogato al lavoratore non più durante l’attività ma prevalentemente dopo il suo completamento, o almeno dopo avere portato a termine grandi porzioni di essa. Un feedback negativo ricevuto dal capo o dal collega durante l’attività comporta infatti un disagio contenuto, data la necessità di apportare correzioni di piccole porzioni di lavoro. Il feedback negativo o correttivo ricevuto dopo l’invio telematico del lavoro concluso, risulta invece molto più frustrante e meno efficiente: costringe a rifare da zero, o almeno in gran parte ciò che si riteneva completato. Inoltre, affinché un lavoro continui a essere stimolante per chi lo svolge è necessario non solo fornire ai lavoratori una elevata quantità di feedback, ma occorre anche garantire che almeno per l’80% i riscontri siano positivi, o, come si dice in gergo tecnico, siano rinforzi positivi. Non ultimo, soprattutto per quanto riguarda lo smart working declinato al femminile, c’è il tema della gestione del lavoro a casa, quando i figli non sono a scuola: in assenza di orari definiti e scanditi da regole aziendali, si rischia di non disconnettersi mai per recuperare a eventuali frammentazioni nella produzione del lavoro, e questo potrebbe essere causa di tutti gli effetti collaterali da distress, lo stress ‘cattivo’, con ripercussioni anche fisiche», aggiunge Fabio Tosolin.

Quali gli accorgimenti da adottare subito, per via che questi rischi siano contenuti? «In primis, mettere tutti nelle condizioni di avere buoni strumenti tecnologici, un’ottima connessione e buone policy di sicurezza. E soprattutto mantenere molto elevato il ritmo del giving/receiving feedback, a garanzia di ridurre errori, aumentando la motivazione. Un altro accorgimento salutare da adottare assegnando compiti a distanza è evitare di prescrivere atteggiamenti espressi con frasi tipo ‘fai attenzione quando lavori’, o simili. Meglio specificare maggiormente i comportamenti con suggerimenti come ‘ti chiedo di riportare nell’offerta anche i costi di manutenzione’, a titolo di esempio, visto che non sarà possibile vederli e dunque indirizzarli in corso d’opera e non solo i risultati attesi. Anche spezzettare i grandi compiti degli smartworker in sub-unità, è un eccellente accorgimento per aumentare le occasioni di scambio e di apprezzamento, nonostante la distanza. In estrema sintesi, andrà strutturato un sistema che consenta costanti valutazioni oggettive dell’in fieri, a compensazione delle minori interazioni in presenza, riducendo il rischio di decadenza della motivazione. Sicuramente, le imprese che riusciranno a trarre profitto dallo smart working saranno quelle capaci di una completa rivisitazione delle abilità di gestione manageriale: purtroppo, in questo momento, il costo dell’improvvisazione o del mantenimento delle abitudini manageriali precedenti potrebbe essere molto salato. Investire in Organizational Behavior Management permetterebbe di aumentare la produttività di tutti, con tutte le conseguenze positive correlate», conclude Tosolin.

Partecipanti al Tavolo Tecnico ENPAP

A far parte del Tavolo Tecnico di ENPAP sulla Psicologia del Lavoro applicata alla sicurezza ci sono – oltre al Presidente ENPAP Felice Damiano Torricelli, alle consigliere Stefania Vecchia e Chiara Santi del CdA ENPAP, ai colleghi Paolo Campanini, Federico Conte e Luca Pezzullo del Consiglio CIG ENPAP – gli Psicologi Cristian Balducci, docente di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna; Pier Giovanni Bresciani, Professore a contratto di Psicologia del Lavoro all’Università di Urbino, ha insegnato nelle Università di Bologna, Genova e Trento ed è Presidente della SIPLO (Società Italiana di Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione); Carlo Bisio, che ha insegnato presso l’Università di Milano Bicocca e altri atenei, ha un Master in ergonomia e il Diploma NEBOSH, è Graduate Member of IOSH e consulente e formatore specializzato nel management della sicurezza e del benessere organizzativo; Fabio Lucidi, preside della Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università “La Sapienza”; Fabio Tosolin, docente di Health Safety Environment & Quality e Behavior Based Safety al Politecnico di Milano e in altre Università, Presidente di AARBA e AIAMC (che insieme costituiscono l’Italy Associate Chapter of ABA International).

 

 

 

 

 

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