Il tramonto dell’Europa dei burocrati
Di questi tempi, con il dilagare dell’antieuropeismo, gli accresciuti timori di un forte squilibrio economico capace, sotto la spinta sovranista, di sconvolgere l’attuale ordine – disordine europeo, è giunto il momento di correggere le incongruenze e le debolezze di un organismo imperfetto.
E’ l’ora, dunque, dell’autocritica del nostrano modo di vedere le negatività italiane come il frutto avvelenato dell’Unione, vista nelle sembianze di una matrigna germanicocentrica. L’Europa, quella comunità di popoli vagheggiata per lungo tempo e nata, con entusiasmo e poco realismo, nel 1957 con il Trattato di Roma, ha cavalcato un lungo periodo di pace in una costante crescita economica sotto la protezione americana a guardia di quella cortina di ferro che innegabilmente è stata elemento di propulsione allo sviluppo favorendo la nascita di quella valuta pur in assenza di uno Stato federale: una moneta amministrata da una Banca Centrale ben lontana, per mancanza di una politica monetaria comune dalle reali necessità popolari e causa di diffusa scontentezza nelle regioni meridionali dell’Unione più esposte ai rigori speculativi.
Non è, però, l’Euro con le restrizioni di una visione neoliberista, poco propensa a sciogliere i cordoni della borsa, ad aver determinato l’attuale situazione di stallo che ci affligge. La moneta unica è, di per sè, un valore di protezione continentale del quale, al momento, non si intravede alcuna realistica possibilità di uscita; Ci sono, come noto, delle manchevolezze italiane datate e nuove a cominciare dal giorno dell’entrata in vigore della valuta unitaria, quando, per calcolata irresponsabilità, si è voluto omettere qualsivoglia controllo sulla conversione del cambio tra l’IRA e nuova valuta : con estrema velocità le vecchie Mille lire sono state sostituite dalla moneta di un Euro; in pratica, il potere d’acquisto si è dimezzato e nella tempesta di una crisi mondiale, con salari e stipendi fermi, il livello della povertà è stato raggiunto e superato da milioni di famiglie.
Dobbiamo, inoltre, sommare a tutto questo l’imponente debito pubblico, con le note conseguenze d’immagine prontamente sfruttate da una classe politica dell’Unione più attenta alla rigida contabilità anzichè ai valori fondanti dell’Europa Unita.
Dove è finito lo spirito della Grande Europa, tutti i sogni di quei credenti nel destino del Vecchio Continente? Sono stati dimenticati nel cassetto delle cose inutili. Il vero antieuropeismo come afferma nel suo libro Gabriele Ridolfi ” Il mito dell’Europa“, nasce dai compromessi mercantili nei palazzi del potere, dove, l’azione dissacrante di certi “salotti” anglosassoni hanno fomentato divisioni e malesseri in totale antitesi a quell’Europa Nazione, destinata, al contrario, ad un’egemonia politica e culturale del mondo.
Le tare dell’Unione sono, come giustamente scrive Ridolfi, la propensione all’ esclusività mercantile ed un’ideologia sovvertitrice, antivirile ed antieuropea; un eccessivo democraticismo, inoltre, rende la UE debole dove dovrebbe essere forte, mentre si mostra inflessibile laddove incontra fragilità e debolezza.
Se non si riaccende, pur nelle difficoltà e tradizioni del periodo, la fiaccola vivificante del mito identitario e della solidità continentale, questo aggregato di disunione, egoismo ed inutile burocrazia, ha ancora poco tempo per produrre povertà e sofferenza.
Alessandro Publio Benini