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In cosa è diverso un computer da un essere umano?

Oggi c’è molta speculazione su un possibile futuro in cui l’umanità sarà sorpassata o perfino materialmente distrutta dalle macchine. Sentiamo spesso parlare di auto che si guidano da sole, di smart home o smart city, case o intere città i cui servizi essenziali saranno gestiti unicamente da robot.

Negli ultimi anni si sono diffusi sempre di più corsi di laurea in cibernetica e robotica e si dibatte molto sul transumanesimo, l’idea secondo cui sarà possibile scaricare la nostra esperienza e consapevolezza in un computer e vivere per sempre, chiaramente sempre se questo è il nostro volere. In tutte queste proiezioni, si prende come certo il fatto che sarà probabile realizzare macchine autonome e intelligenti in un futuro non troppo lontano : macchine uguali se non migliori di noi. Qual è la reale differenza tra un computer sofisticatissimo e la mente umana?

Tutti possiamo dire che “sappiamo” di esistere perché lo sentiamo. Ma come facciamo a saperlo? La “capacità di sentire” è la proprietà essenziale della coscienza. Quando si annusa una rosa, si sente l’odore. Ma dove mai si nasconde il profumo? Nei segnali biochimici ed elettrici che dal naso arrivano al cervello? È sicuramente possibile costruire un robot in grado di riconoscere la particolare combinazione delle complesse molecole organiche emesse da una rosa che permettono di sentirne l’odore. Però quel robot non proverebbe nessuna sensazione. Non ne sarebbe consapevole sotto forma di sensazione o per esserne cosciente dovrebbe riuscire a  “sentire” il profumo come lo facciamo noi. Presto ciò che è difficile al giorno d’oggi come odorare un fiore e sentirne il profumo potrebbe diventare ben più difficile fosse solo per l’inquinamento cittadino.

Diciamo pure che la coscienza è legata alle complesse strutture biologiche che veicolano “la vita” così come oggi la intendiamo. Molti autori sostengono che i computer potranno comportarsi in maniera più efficiente degli uomini nel prendere decisioni, anche senza coscienza.  Il punto chiave è, però, che se non c’è coscienza non c’è comprensione, e senza di essa non c’è intelligenza, quindi porterebbe a un sistema che non può essere autonomo a lungo. Consideriamo ora come gli esseri umani prendono decisioni: i nostri sensi convertono in segnali elettrici le varie forme d’energia che vengono percepite nel proprio ambiente.

Questi segnali vengono poi inviati al cervello per essere elaborati, e il risultato dell’elaborazione è un altro insieme di segnali elettrici, che rappresentano ciascuno le informazioni multisensoriali visive, uditive, tattili e così via. I computer al giorno d’oggi possono certamente arrivare fino a questo punto. Però in noi quest’informazione viene convertita in un insieme di due componenti: una proveniente dal mondo esterno e una dal “mondo interno” fatto di esperienze pregresse.

In effetti, sarebbe ancora più preciso dire che il mondo esterno oggettivo è stato portato dentro di noi in una rappresentazione soggettiva costruita dal cervello, che la nostra coscienza integra nella percezione di due mondi distinti. Questo è quello che chiamiamo comprensione e i computer non possono farlo. La comprensione è quindi un processo addizionale ancora più misterioso di quello che ha prodotto la percezione. È ciò che ci permette di capire il significato della situazione attuale nel contesto della nostra esperienza passata e dell’insieme dei nostri desideri, aspirazioni e intenzioni. Essa è in pratica un passo necessario prima che possa essere fatta una scelta intelligente. È la comprensione che ci consente di decidere se un’azione sia necessaria o meno, e fatto questo ci consiglia quale sia l’azione ottimale da compiere. Quando la situazione corrente è giudicata simile ad altre situazioni note in cui una determinata azione ha prodotto buoni risultati, la stessa azione può essere scelta inconsciamente, producendo essenzialmente una risposta condizionata dalle nostre esperienze pregresse.

All’estremo opposto ci sono situazioni mai incontrate prima, nel qual caso le varie scelte possibili, basate sulla precedente esperienza, non sono applicabili. In altre parole i computer, almeno allo stato attuale, non hanno un subconscio e quindi non potranno mai paragonarsi al tipo di prestazioni umane. In tutti i casi in cui occorre una situazione più o meno creativa in relazione al particolare evento considerato viene coinvolta la nostra coscienza. È questo l’aspetto cruciale dove la coscienza è indispensabile: nel risolvere problemi non banali, ma mai prima affrontati. Pertanto, la vera intelligenza è la capacità di giudicare correttamente un evento e di trovare una soluzione creativa qualora la situazione la richieda.

 I computer saranno invece impiegati con profitto in tutti i altri casi nei quali si renda necessario gestire abilmente una enorme quantità di dati e una vasta gamma di situazioni che s’incontrano nella vita reale. Ma, ancora di più, i computer dovranno saper gestire sistemi complessi, anche situazioni in ambienti ostili, in cui c’è inganno e aggressione.

Naturalmente il confine tra le due categorie di scelta non è netto e nitido ed è in continua evoluzione. Tuttavia solo la comprensione può ridurre o rimuovere l’ambiguità presente nei dati oggettivi. Un esempio di questo problema è il riconoscimento della scrittura a mano o la traduzione da una lingua in un’altra in cui l’informazione simbolica è carente o è ambigua. Solo la comprensione può aggiungere l’informazione mancante per risolvere il problema. I robot autonomi sono possibili solo in situazioni in cui l’ambiente è controllato artificialmente o la sua variabilità è prevedibile a priori. Dove ciò non è possibile, la differenza tra una macchina e un essere umano diventa un abisso incolmabile.

                                                                                                                                                                         Nicola Sparvieri

 

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