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In Sudan la situazione degenera ogni giorno di più

In Sudan è stato chiuso lo spazio aereo mentre si intensificano gli scontri nella Capitale, Khartoum, tra le forze armate e le forze di supporto rapido (Rapid support forces – Rsf). Tanti gli appelli internazionali per chiedere lo stop dei combattimenti.

Le forze di supporto rapido hanno dichiarato su Facebook che a Port Sudan sono state attaccate da “aerei stranieri”. L’esercito sudanese ha affermano di avere preso il controllo della più grande base delle Rsf a Karari. Mentre queste annunciano di avere abbattuto un aereo Sukhoi dell’esercito. Le Forze armate hanno riferito che una delle torri del loro quartier generale è stata data alle fiamme a seguito dei combattimenti, in un’azione che non ha lasciato vittime, e hanno negato le affermazioni delle Rsf, che hanno rivendicato la conquista della struttura. Intanto il consiglio della Lega araba ha indetto una riunione urgente.

Sale il bilancio dei morti, 413 al momento, e dei feriti, circa 3.500, derivanti dagli scontri tra le forze armate e le Rsf. Solo nella Capitale le vittime sono 25 e 302 le persone in attesa di cure. A aver perso a vita sono sia civili che militari. Tre dipendenti del World Food Programme (WFP o Programma alimentare mondiale, Pam), un organismo delle Nazioni Unite che fornisce assistenza alimentare alle comunità vulnerabili, sono stati uccisi durante uno scontro nell’ovest del Paese. Altri due membri dello staff sono stati gravemente feriti e Rsf ha saccheggiato diversi veicoli del Pam.

Nei giorni scorsi si sarebbe dovuto firmare un accordo per aprire un processo politico che avrebbe dovuto riportare i civili al potere in Sudan. La firma è stata continuamente rinviata per disaccordi tra l’esercito regolare, guidato dal generale Abdel Fattah al Burhan, a capo del Consiglio sovrano, e il capo delle Forze di supporto rapido (Rsf) Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti. Quest’ultimo è accusato di crimini contro l’umanità per i massacri perpetrati nel Darfur e nel Kordofan.

Sia l’esercito che le Forze di supporto rapido sostengono di avere il controllo dell’aeroporto e di altri siti chiave di Khartoum, dove i combattimenti sono continuati nella notte. La Rsf ha rivendicato il controllo di almeno tre aeroporti, della residenza del capo dell’esercito e del palazzo presidenziale, ma il generale Burhan ha smentito in un’intervista ad Al Jazeera. Sono stati segnalati anche scontri presso la stazione televisiva di Stato, che secondo testimoni oculari sarebbe ora controllata dalle Rsf.

La situazione nella Capitale, e in tutto il Paese, rimane confusa. L’esercito dice di “affrontare il nemico” e parla di “milizie” che accusa di “bugie e “tradimento”. Durante il colpo di Stato, del 2021, Hemedti e Burhan hanno formato un fronte comune per estromettere i civili alla guida del Paese dopo la cacciata di Omar al–Bashir. Col passare del tempo, tuttavia, Hemedti ha costantemente denunciato il colpo di Stato. Anche di recente si è schierato con i civili – quindi contro l’esercito nelle trattative politiche – bloccando le discussioni e quindi ogni soluzione alla crisi.

L’esercito voleva che l’integrazione avvenisse in due anni. Le Rsf, invece, voleva ritardarla di 10 anni per non compromettere la propria posizione politica. L’attacco delle Rsf, ieri mattina, è sotto scatenato dall’occupazione dell’aeroporto di Merowe da parte dell’aviazione egiziana e dell’esercito sudanese che dal 4 aprile vi svolgono esercitazioni congiunte, ma Merowe è un punto di trasbordo chiave delle Rsf per armi e oro. Nelle prime ore dell’escalation, le Rsf hanno preso il controllo dell’aeroporto e hanno catturato i commando egiziani. La struttura è ancora nelle loro mani. Ma Hametti ha dichiarato che sta collaborando con l’Egitto per rimandare a casa i prigionieri, tra i quali nessuno è rimasto ferito.

Il nodo, dunque, è quello del ruolo delle forze armate e la loro composizione. L’esercito, infatti, in Sudan ha sempre svolto un ruolo fondamentale e detiene buona parte del potere, non solo politico, ma anche economico. Controlla molte attività fondamentali per il Paese. E qui sta anche la ragione dell’irrigidimento del capo delle Forze di supporto rapido. Ma altri problemi continuano a minare la fattibilità dell’accordo.

I Comitati di resistenza, che sono stati all’origine della rivoluzione del 2019, ripetono di rifiutare qualsiasi accordo con i soldati golpisti. E hanno continuato, regolarmente, a manifestare contro l’attuale regime. Infine, i gruppi armati che si sono rifiutati di aderire al dialogo a dicembre e hanno negato ai civili la legittimità di guidare la transizione si stanno mettendo di traverso. Gibril Ibrahim, attuale ministro delle Finanze e leader del Movimento per la giustizia e l’uguaglianza, nei giorni scorsi sosteneva che «se le cose accadono così», cioè come vuole Burhan, «non stabilizzeranno il Paese e le loro conseguenze sono sconosciute».

Trovare un accordo è fondamentale per il Sudan che ha sempre visto i militari sostenere il dittatore. Inizierebbe un cammino verso la democrazia, metterebbe fine al regime dei golpisti. L’economia, che attraversa un momento di profonda crisi ne trarrebbe beneficio. Aprirebbe, nuovamente, la strada a interventi delle istituzioni finanziarie internazionali necessari per avviare riforme importanti per la vita stessa del Paese.

La comunità internazionale, infatti, ha chiesto il ritorno alla transizione per riprendere gli aiuti al Sudan, uno dei Paesi più poveri al Mondo. Se si fosse raggiunto un accordo, la tabella di marcia prevedeva l’entrata in vigore della Costituzione provvisoria e la formazione di un nuovo Governo civile, già entro questo mese. Poteva essere una svolta storica, ma tutto è soffocato dal potere, ancora una volta, dei militari.

L’inviato delle Nazioni Unite in Sudan, Volker Perthes, ha invitato soldati e paramilitari a cessare “immediatamente“ i combattimenti a Khartoum e altrove nel Paese. “Ha contattato entrambe le parti per richiedere l’immediata cessazione delle ostilità per la sicurezza del popolo sudanese e per risparmiare al Paese ulteriori violenze”, si legge in una dichiarazione della missione delle Nazioni Unite in Sudan.

Il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, e i ministri degli Esteri di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, Faisal bin Farhan e Abdullah bin Zayed Al Nahyan, hanno chiesto alle parti in conflitto in Sudan “di cessare immediatamente le ostilità senza precondizioni. Esorto il generale Abdel Fattah Burhan e il generale Mohammed Daglo ad adottare misure attive per ridurre le tensioni e garantire la sicurezza di tutti i civili“, si legge in una dichiarazione, in cui i tre ministri sottolineano che il ritorno ai negoziati è l’unica via d’uscita da questa situazione.

“Il Governo italiano segue con preoccupazione gli eventi in corso in Sudan. Si unisce agli appelli Onu (Organizzazione Nazioni Unite), Ua (Unione africana) e Ue (Unione europea) perché cessino i combattimenti a Khartoum e altrove, per la sicurezza del popolo sudanese e per risparmiare ulteriori violenze. Invita quindi le parti in causa ad abbandonare la via delle armi. A riprendere i negoziati avviati da tempo, affinché il popolo sudanese esprima le proprie scelte nell’ambito di un processo elettorale. La violenza porta soltanto altra violenza“, si legge in una nota rilasciata da Palazzo Chigi.

Giorgia Iacuele

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