INDUSTRIA CALZATURIERA ITALIANA: Trend I° Semestre Export positivo, ma con ombre
Milano 6 novembre, Siro Badon (foto in evidenza), Presidente di Assocalzaturifici afferma: “Per superare questo momento non facile è necessario investire su noi stessi e sulle nostre competenze. È fondamentale formare nuove figure professionali in grado di innovare le aziende del calzaturiero Made in Italy”.
Le esportazioni sono l’unico segnale confortante del comparto, ma diminuiscono le quantità. Sul fronte occupazionale prosegue il calo nel numero di aziende e nella forza lavoro: -119 calzaturifici (tra industria e artigianato), pari al -2,6%, e -492 addetti (-0,7%) su dicembre 2018.
Le calzature made in Italy attraggono i mercati esteri: nei primi sei mesi del 2019 l’export italiano del comparto ha registrato un significativo +7,1% in valore (il prezzo medio ha raggiunto la cifra di 47,55 euro/paio, +8,2%). Il dato emerge dal report sull’Industria Calzaturiera italiana – Primo semestre 2019 – elaborato dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici.
Il trend rileva che, malgrado la performance delle esportazioni, persistono alcune difficoltà dovute anzitutto alla cronica debolezza dei consumi interni che persiste da un decennio di lenta erosione. Nel primo semestre 2019 hanno registrato ulteriore contrazione degli acquisti delle famiglie (-3,7% in quantità, con trend ben più severo per il dettaglio tradizionale). Di più, purtroppo, si aggiunga un panorama di incertezze dovute alle situazioni internazionali: dal probabile protrarsi di tensioni commerciali e venti protezionistici, al rallentamento di significative economie (Cina e Germania su tutte), alla mancata ripartenza di mercati di fondamentale importanza per alcuni distretti calzaturieri. Basti pensare alla Russia che, dopo la battuta d’arresto del 2018, registra nuovamente cali superiori al 15%), fino alle incognite su tempi e modalità della Brexit, col pericolo “no deal” sempre incombente.
“Per superare questo momento non facile è necessario investire su noi stessi e sulle nostre competenze – afferma Siro Badon, Presidente di Assocalzaturifici –. È fondamentale formare nuove figure professionali in grado di innovare le aziende del calzaturiero Made in Italy e coniugarsi al meglio con la nostra tradizione e gli standard di eccellenza che caratterizzano la nostra produzione. La formazione, affiancata da mirate strategie di internazionalizzazione e da importanti iniziative fieristiche tra cui il Micam, è la risposta concreta con cui possiamo avviare un processo di rilancio del calzaturiero italiano e confermarne il primato nel mondo. Un settore fondamentale per la nostra economia e che può far da volano all’intero sistema Paese“.
Vendite estero: l’evoluzione nel complesso è positivo e ha spinto l’attivo del saldo commerciale dei primi 6 mesi ad un consolidamento significativo (+10,7%), dato che nasconde in realtà un’ampia eterogeneità di performance aziendali, che vede la presenza – accanto ai brillanti risultati realizzati da molte griffe internazionali del lusso cui diverse aziende fanno da terzista (come dimostrano le crescite rilevanti dei flussi verso la Svizzera, tradizionale hub logistico-distributivo dei grandi brand, e verso la Francia) – di un numero non trascurabile di imprese che, in un contesto così complesso, ancora stentano ad invertire la rotta e ad intraprendere dinamiche favorevoli. Non mancano mercati in espansione (Nord America e Far East segnano aumenti a doppia cifra in valore), ma l’incremento risulta spesso accompagnato da contrazioni in volume (prossime al -4% per USA e Canada; più contenute, -1,1%, per i Paesi dell’Estremo Oriente, con il Giappone in affanno).
La Produzione: nel dettaglio è scesa del -2,3% in volume, dato che nelle aziende più piccole del campione intervistato (sotto i 15 milioni di fatturato) si attesta sul -4,5%, mentre sul piano dei consumi interni l’unico comparto in salute è quello delle scarpe sportive/sneakers (+0,8% quantità e +2,9% in valore), a fronte di un calo sensibile delle calzature “classiche” per uomo e donna (rispettivamente del -9,5% e del -8,3% in volume). Per quanto riguarda i canali di vendita, continua l’incremento dell’online (+10,3% in volume e +17,3% in spesa), che ha coperto l’11% in quantità del totale acquisti del semestre, mentre sono in sofferenza il dettaglio tradizionale (-11% le paia vendute, con una diminuzione prossima al 16% in spesa) e l’ambulantato (flessioni attorno al -14%).
Fronte occupazionale: prosegue il calo nel numero di aziende e nella forza lavoro del settore: il primo semestre 2019 ha chiuso con un saldo di -119 calzaturifici (tra industria e artigianato), pari al -2,6%, e -492 addetti (-0,7%) su dicembre 2018. Gli arretramenti si fanno ancor più pesanti considerando, oltre ai calzaturifici, i produttori di componentistica (-75 aziende e -493 addetti): nell’insieme, dunque, -194 imprese e -985 addetti rispetto a fine 2018.
Ripartizioni geografiche del settore vedono saldi negativi nel numero di aziende presenti nelle sette principali regioni calzaturiere, con sola eccezione della Lombardia (+13 unità); quanto al numero di addetti, una crescita per Toscana (+117 lavoratori) e Puglia. Le Marche come nel 2018 è la regione con i saldi negativi più marcati, sia nelle unità produttive (-95) che negli addetti (-1.164). Il Veneto chiude invece la prima metà dell’anno con un calo di 30 aziende, tra calzaturifici e componentistica, e con un saldo contenuto nei livelli occupazionali (-20 addetti rispetto a fine 2018). Il numero di imprese attive di Emilia Romagna e Campania si contrae, rispettivamente, di 12 e 6 unità, con la perdita di 149 e 128 addetti. E sono 57 i lavoratori in meno in Lombardia (-0,8%). Infine, le ore di cassa integrazione autorizzate per le imprese della filiera pelle sono salite nei primi 6 mesi del +27,1%, sfiorando i 4 milioni di ore.