Intervento di Meluzzi sulla autenticità della Sacra Sindone
Per Sua Beatitudine ALESSANDRO I
– al secolo Alessandro Meluzzi –
LA SINDONE E’ MATERIA FEDE
Il dogma dell’autenticità della Sindone di Torino è stato proclamato dalla Chiesa Ortodossa Italiana Autocefala. Sua Beatitudine Alessandro I (al secolo Alessandro Meluzzi), di fronte al furibondo attacco nei confronti alla più grande testimonianza della risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, operato da alcuni “soloni” dell’Università di Liverpool, ha dichiarato con Editto Primaziale e Sinodale che la Sindone è materia di Fede e rappresenta l’Icona acheropita (cioè non fatta da mano d’uomo) della testimonianza della resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, decretandone il culto e l’iscrizione nel calendario liturgico della Chiesa da festeggiare il 17 luglio.
Sostiene il Primate Ortodosso che: “Alla luce di evidenze sperimentali, testimonianze scientifiche, della “Traditio” e del senso della Fede, la Sindone di Torino rappresenta la capostipite di ogni Icona acheropita del Cristo Risorto, per viva testimonianza della verità della risurrezione che fa del corpo glorioso di Luce di Cristo promessa di risurrezione della carne per l’umanità e del suo ritorno nella santa Parusia.” Ci raccontano gli evangelisti Marco (Mc15,43-46) Matteo (27,57,60) Luca (23,50-53) e Giovanni (19,38-42) che Giuseppe d’Arimatèa, facoltoso discepolo di Gesù, persona buona e giusta nonché autorevole membro del Sinedrio, andò da Pilato per chiedere il corpo di Gesù e che, dopo che il Prefetto gli concesse la salma, egli comprato un candido lenzuolo, lo calò giù dalla croce, lo unse di oli aromatici (mirra e aloe), lo avvolse nel lenzuolo e lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. In tutti e quattro i vangeli è narrato che Gesù fu avvolto in un lenzuolo funerario ebraico, detto Sindone (dall’ebraico sadîn o il greco sindôn). Detto lenzuolo che fu visto dopo la risurrezione da San Pietro (Lc 24,12), quando questi, non credendo alle donne che avevano annunciato la risurrezione di Gesù “corse al sepolcro e, chinatosi a guardare, non vide altro che le lenzuola che giacevano da sole; poi se ne andò, meravigliandosi dentro di sé di quanto era accaduto“.
Da allora non ci sono tracce della Sindone, ma in oriente veniva venerato col nome di mandylion di Edessa (antica città assira corrispondente all’attuale città turca di Urfa) un telo funerario nel quale era raffigurata l’immagine di Gesù, immagine definita acheropita, cioè non fatta da mano umana. Traslato detto telo a Costantinopoli, la Nuova Roma nel X secolo, scomparve nel 1202 quando la città fu assaltata e conquistata dalle armate cattoliche che con la IV Crociata indetta da Innocenzo III (lo stesso della crociata contro i Catari della Povenza) posero fine al millenario Impero Romano per riportare l’Oriente cristiano sotto il dominio spirituale di Roma. Scomparsa da Costantinopoli, la Sindone è riapparsa un secolo dopo a Charny (Regione: Borgogna-Franca Contea) per opera del cavaliere e scrittore francese Goffredo di Charny, si dice ottenuta da cavalieri templari durante le persecuzioni di Carlo IV, figlio di Filippo il Bello. Successivamente nel 1453 viene venduta, dai discendenti di Goffredo di Charny, ai Duchi di Savoia, portata prima nella loro capitale Chambéry e, successivamente, nel 1578 a Torino.
Durante la seconda guerra mondiale è stata nascosta nell’Abbazia di Montevergine, in Campania, anche per sfuggire alle ricerche delle SS hitleriane che volevano impossessarsene, come ha esaustivamente documentato lo scrittore e giornalista investigativo Antonio Parisi. La Sindone è un lenzuolo di lino, tessuto in ambiente ebraico e rispettoso delle disposizioni giudaiche che vietavano la commistione di lino e lana (Dt 22,11). Va rilevato che pur essendo oggetto di studi da secoli, nessuno è finora riuscito a formulare un’ipotesi sull’origine o a riprodurne l’immagine. La Sindone si presenta come un negativo fotografico visibile a 2-3 metri di distanza, di un maschio adulto, di 30-35 anni, con barba e capelli lunghi, alto circa 1 metro e 80 centimetri, con sangue di gruppo AB (raro ma comune soltanto in Palestina e nei Paesi Baschi). La figura impressa, secondo l’anatomopatologo Baima Bollone, corrisponde a quella di un corpo crocifisso irrigidito dal rigor mortis.
Nella Sindone i segni dei chiodi risultano nel polso e non nel palmo della mano, e si contano circa 120 colpi di flagello. In corrispondenza del cuoio capelluto si notano numerose impronte puntiformi e tondeggianti dall’aspetto di ferite da punta compatibili con il racconto evangelico della corona di spine. Nel secolo scorso degli studi fotografici hanno rilevato in prossimità degli occhi la presenza dell’impronta di due oggetti, identificati come monete coniate da Ponzio Pilato negli anni 29-32, come da usanza ebraica che serviva a tenere chiusi gli occhi del defunto. Nel telo inoltre sono state rinvenute spore ed immagini di fiori di 28 tipi di piante che per il botanico israeliano Danin si trovano unicamente in un ristretto territorio tra Gerico e Gerusalemme. La Chiesa Cattolica ha avuto verso la Sindone un atteggiamento controverso, dapprima ne ha osteggiato il culto, poi lo ha ammesso (1506 – Papa Giulio II) senza esprimersi sull’autenticità ma come venerazione di un’Icona della Passione di Cristo, anche se diversi Papi e tra questi Giovanni Paolo II erano convinti dell’autenticità. Autenticità che un solo leader religioso, Alessandro Meluzzi, ed una sola Chiesa: quella Ortodossa Italiana Autocefala, non hanno avuto né il dubbio né la paura di proclamare.
Filippo Ortenzi