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Jungla Capitale

Anche il giardinetto sottocasa, quei pochi metri quadri ricavati a stento tra un palazzo e l’altro, un tempo adibito a parco giochi dei bambini, appare un incolto territorio dove, tra quel che rimane di altalene e scivoli, spettrali resti arrugginiti, campeggia l’immancabile immondizia in un cumulo maleodorante alzato in giorni e settimane.

Ci siamo abituati all’offesa visiva e morale di questo scempio che quotidianamente ci prende al cuore, ma c’è qualcosa d’altro, e non tra le palazzine modeste della media periferia romana: il bel Viale delle Belle Arti, che, con due curve che risalgono in leggera pendenza Valle Giulia, giunge alle Accademie di Cultura, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna; una strada percorsa non solo da tram e automobili, ma sul marciapiedi di destra, da migliaia di turisti ogni giorno, un turismo che non è quello della pizza e del kebab, dei calzoncini e delle canotte, ma un dignitoso viavai di appassionati d’arte e di archeologia, che ad un certo punto della via intrapresa, devono, per forza di cose, avanzare in una fitta boscaglia ricoprente, senza esagerazioni, la totalità del marciapiedi, per almeno una decina di metri: non è più visibile il pavimento ed il cielo, quando giunge il buio, non illumina né con la luna, né con le vetuste lampade oscurate dalle fronde incolte.

Non ci sono giardinieri, non si vedono operatori ambientali, sono del resto, spariti da tempo nella intricata macchia che contraddistingue la nostra Capitale. Prossimi al reddito di cittadinanza, non rimane che sperare che alcune di quelle ore di lavoro socialmente utile così come la Legge istitutiva richiede agli aventi diritto, siano dedicate a tagliare fronde ed erbacce. Sempre che nel frattempo la Jungla Capitale non stringa definitivamente l’assedio a Villa Giulia.

Alessandro P. Benini


Foto autore articolo

Alessandro P. Benini

Esperto di Finanza e di Storia dell’Economia.
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