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Russia, la Madre-patria e “La ballata di un soldato” un film del 1959

“LA BALLATA DI UN SOLDATO”  per narrare non solo la speranza,
ma d
estini, forza d’animo, amore filiale e per la Patria nel film russo

Raffaele Panico

Roma, domenica 30 giugno 2019, presso l’Auditorium “Casa tra noi” con un pubblico in sala italiano e russo, abbiamo assistito alla proiezione di tre film russi con i sottotitoli in italiano. L’evento è stato organizzato da Luca D’Agostini – Presidente Associazione “Madre Russia”, con patrocini importanti e altre associazioni culturali di altissimo livello artistico.


Della giornata d’incontro culturale e dei tre film sovietici visti in sala, si impone il messaggio immenso per etica dell’attore protagonista e il pacifismo sbalzato dalle immagini del secondo film: “La ballata di un soldato” del 1959, del regista Grigori Chukhrai, in bianco e nero, affiancato da tutti bravi attori e una sceneggiatura poetica a tratti lirica e dal finale commovente e struggente nel rapporto Madre-figlio. Ed è stato particolarmente imponente anche l“io narrante” che svolge, o dipana, i peggiori momenti della seconda guerra mondiale sul fronte orientale, sviluppato con una estetica, nelle scene, nei paesaggi, e negli animi delle persone, nella sopportazione del popolo russo, tutto senza che emerga una demonizzazione dell’invasore cattivo. Dell’invasore si vedono carri armati, fortezze aeree volanti che bombardano civili, ma i russi sopportano e confidano nella vittoria e lavorano duro tanto nei campi quanto in fabbrica.     

Prima di accennare alla trama del film, iniziamo a ritroso con il finale dell’“io narrate”: «È triste pensare a ciò che avrebbe potuto essere e non è stato (Aliosha; Ndr), alle cose che avrebbe potuto fare e non ha fatto, all’amore che poteva dare e non ha dato. Ha avuto solo il tempo di essere un soldato». Aliosha, parte al fronte poco più che adolescente, e riesce a diventare eroe abbattendo da solo con un potente fucile due carri armati tedeschi. Il suo generale vuole insignirlo di una medaglia, ma il giovane visto che il suo battaglione è in quei giorni a riposo, lo convince e chiede, in cambio, una licenza premio e perché? Per andare a casa da sua madre e riparare il tetto della casa rotto.
Ebbene il generale gli concede due giorni per stare a casa più due giorni per il viaggio di andata e due per il ritorno. Questa è la storia e sul treno viaggia con una altrettanto giovane bellissima ragazza Shura, incontra altri suoi commilitoni, s’intrecciano richieste di questi ai loro rispettivi familiari quando li incontrerà, incontra un altro colonnello che gli fornisce una altrettanto degna stima al giovane eroe. Infine, lasciata Shura la sua compagna di viaggio, tra struggente sentimento d’amore futuro, prosegue il viaggio trovandosi ad attraversare un fiume con la zattera. La storia si compie in pochi minuti di incontro-abbraccio con la madre, che gli chiede “ora ti radi figlio mio, fumi anche, sei quasi un uomo”, vuole portarlo a casa ma un altro commilitone che lo assiste nel viaggio a casa di soli sei giorni, suona il clacson più volte. E tra gli sguardi della madre, e il figlio tra loro capiscono che il destino non li farà incontrare più. Attorno sono tutte donne, giovani e anziane e bambini, gli uomini tutti al fronte.

Questo film ha un enorme merito. Accomuna i russi, tanto i soldati quanto i civili, nello svolgimento del dovere e della sopportazione del loro dolore durante la Grande guerra patriottica, ossia 1941-45 – non detta come sul fronte occidentale Seconda guerra mondiale -, agli italiani della Grande guerra 1915-18, “Grande” anche da noi e come sappiamo anche Prima guerra mondiale.
E perché? Per lo stesso dolore e senso di sacrificio, e nonostante tutto, in fondo al cuore la comune certezza che si andava verso la grande vittoria, e proprio dopo il momento più buio, dopo la ritirata, come l’hanno conosciuta anche gli italiani con Caporetto, termine rimasto in uso per definire un Paese allo sbando e devastato. Negli sguardi del protagonista del film, Alyosha, e di tutti gli altri si legge umiltà e fierezza, la miseria della guerra ma la nobiltà, si vedono gli stessi segni del contadino italiano, delle donne ai lavori al posto degli uomini in fabbrica, l’aiuto reciproco e la solidarietà, e il rischio anche grosso per aiutare un giovane soldato già eroe che chiede deroghe al codice militare pur di vedere la madre alla fine pochi minuti, ecco questo commuove e stringe gli animi. È un sentimento che gli italiani capiscono e approvano.

Un film pacifista abbiamo detto, il messaggio è che uniti si vince e possiamo preservare non solo la pace (che oggi è nel dettato della Costituzione Repubblica italiana – art. 11) ma sentirci costruttori di libertà. Un film che è dialogo, ad ampio raggio, non promana demagogia e, se di propaganda – siamo nel 1959 – si accenna essa è oggi alle spalle. Si vuole dire che durante le immagini di distruzione belliche del film gli attori accennano ai fascisti, il più delle volte, o tedeschi altrettanto. In effetti l’invasione del 22 giugno 1941 è nazista se si vuole accennare alla ideologia, il nemico acerrimo da respingere massicciamente era tedesco. Nel furore ideologico del Novecento i fascisti, o poi italiani, si ritirarono e molti rimasero in Russia e fecero lì famiglia, incrementando la loro nuova patria e famiglia. Paradosso ideologico?
Fu proprio l’Italia fascista a riconoscere per prima ufficialmente il governo dell’Unione sovietica nel 1925. Connubio nero e rosso, riconoscimento di un governo fascista a un governo bolscevico, e la tragica fatalità essere chiamati al posto dell’invasore da combattere. Destino comune per tanti secoli, anni che hanno visto italiani e russi collaborare se, ancora avviene che, dopo l’8 settembre 1943, l’armistizio dell’Italia agli Alleati al termine della fase bellica diretta dell’Italia, mente la guerra continuava in Italia contro i tedeschi, il nuovo governo italiano post-fascista riceve il primo riconoscimento ufficiale proprio dall’Unione sovietica.  Cosa altro dire, le anime dei due popoli si specchiano anche in altre occasioni, durante l’impero zarista, l’arte e l’architettura degli italiani a San Pietroburgo che hanno dato bellezza alla città, o ricordare il terremoto di Messina del 1908 quando la marina militare russa nella rada di Augusta diede soccorso per prima alle popolazioni colpite dal sisma.
Alla prossima proiezione!

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