La “buona scuola”
Timidi insegnanti contro teppisti di classe
Un venti percento della popolazione scolastica subisce, nella fascia tra gli undici ed i diciassette anni, secondo un’indagine ISTAT, episodi di bullismo: una significativa percentuale a comprova dell’involuzione negativa di tanti ragazzi, senza alcuna distinzione sociale. Un fenomeno trasversale, che, soltanto in occasione di fatti clamorosi, finisce sotto i riflettori della cronaca e rapidamente torna nel cassetto dei problemi dimenticati, fino al successivo episodio di sopraffazione.
Lo scherzo, le battute salaci, lo sfottò sono da sempre appannaggio di ogni comunità e soprattutto di quella studentesca; da anni, però, alle battute ed alla presa in giro si è andata sostituendo la violenza, da prima nei confronti dei compagni, in particolare quelli più deboli, obbiettivi facili alle aggressioni e poi, nel numero delle vittime, sono entrati anche gli insegnanti.
Per molte generazioni di scolari molto tempo addietro o molto tempo prima dei “millennials”, la scuola rappresentava un valore, comunque lo si volesse considerare, un’istituzione che conservava in sè , accanto ad un po’ di noia, il principale cardine di apertura ad una vita di impegno lavorativo, la chiave di volta per quell’ascensore sociale oggi così lontano dalle comuni aspettative.
Una scuola, che, pur con tutte le novità determinate dai tempi, viveva dell’essenziale compito istituzionale di erudire e di esaltare quelle norme del vivere civile nel rispetto di tutta la tradizione italiana. Era quella scuola, in qualche modo, erede della deamicisiana Bibbia laica, il libro Cuore, aspramente criticato, a cent’anni dalla pubblicazione, da Umberto Eco che in quelle pagine vedeva l’esaltazione di un ordine sociale fondato sulle differenze di classe, ma malgrado ciò ancora capace di lasciare nell’animo degli adolescenti, il senso della lealtà, della famiglia e del coraggio, e, come scriveva Indro Montanelli, ” … un tentativo di fare della scuola un allenamento di galantuomini e buoni cittadini. Tutto ciò che ( De Amicis) scrisse era mirato a questo scopo” .
Oggi siamo ben lontani da quella società verso la quale il sistema scolastico indirizzava gli adolescenti: molta acqua è passata sotto i ponti ed ha lasciato melmose paludi mefitiche dove si abbeverano una moltitudine di cattivi maestri. Da questa congiuntura tra materialismo consumista e voluta ignoranza nasce, in parte, l’atteggiamento genitoriale nei confronti di quei figli vittime e carnefici, che , in crescita esponenziale, avvelenano la vita nelle aule scolastiche di ogni ordine e grado: episodi di bullismo ai danni di alunni deboli e spesso con problemi fisici, il tutto in un clima di colpevole tolleranza di docenti ignavi, mentre qualsiasi tentativo di ristabilire il normale ordine comportamentale tra insegnanti e studenti produce, con l’intervento dei genitori in difesa dei loro rampolli, un nulla di fatto.
C’è, purtroppo, alla base della perdita del ruolo, una sorta di rassegnazione che impedisce una risposta equilibrata da parte del corpo insegnante, rassegnazione più delle volte determinata dalla sensazione d’abbandono da parte di quei dirigenti scolastici che preferiscono risolvere episodi, a volte addirittura di rilevanza penale, con timidi provvedimenti, da tenere ben nascosti tra le pareti dell’istituto. L’assalto dello scorso mese alla professoressa disabile di Alessandria, scatenato da un’intera classe nel corso del quale la docente , ripetutamente oltraggiata, è stata immobilizzata con un nastro adesivo e ripetutamente derisa.
La punizione, anche in questo caso contestata dai genitori dei teppisti, è stata la sospensione con obbligo di frequenza, insomma, al danno si è aggiunta la beffa, quando le caratteristiche dell’aggressione avrebbero dovuto essere oggetto di azione penale, che , a quanto sappiamo, non si è attuata. Questi episodi continuano sotto l’egida della “santa alleanza” tra alunni e genitori: a Palermo, un professore ipovedente, reo di aver allontanato dall’aula una ragazzina di terza media, è stato colpito dal padre con tale violenza da provocare al malcapitato un’emorragia cerebrale, mentre, a Torino, un alunno dell’Istituto tecnico, mandato fuori dalla classe per un ritardo, ha fatto intervenire il genitore con la scorta di due parenti, che hanno vendicato l’offesa spedendo in ospedale l’insegnante reo di lesa maestà.
Potremmo andare ancora avanti con l’elenco della lunga guerra tra cattedre e studenti, una guerra che sta caratterizzando la nostra “buona scuola”, ma non vorremmo causare ulteriori problemi ai docenti visto l’ultimo caso di un professore di matematica che è finito sotto procedimento disciplinare dopo aver ricevuto due schiaffoni dal padre vendicatore di un figlio impreparato. Una “buona scuola”, dunque che garantisce l’impunità e perchè no, la promozione a quelle schiere di tanti nullafacenti che affollano le aule dove genitori ultraprotettivi li parcheggiano.
Con la motivazione di includere tutti, di accettare le più grosse castronerie in ossequio ad un’ideologia dei diritti contro i doveri si è voluto dar vita ad una scuola più vicina ad un’organizzazione sindacale che al compito di educare, dove i docenti subiscono arroganza e disinteresse e dove difficilmente riescono a trasmettere educazione alla vita ancor meno dell’erudizione.
Cosa sono diventate queste famiglie assillate dalle difficoltà eppur da tempo abituate a soddisfare ogni desiderio dei loro figlioli, sempre più protetti nel modo errato, vittime dell’incapacità di quelle generazioni che hanno trasmesso idolatria dell’individualismo sessantottino? Senza memoria e senza tradizione si finisce nel nulla.
Alessandro P. Benini
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