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La Consul Press intervista Giuseppe Lobefaro, candidato Presidente al I Municipio
nella ” Lista Civica Calenda Sindaco ”  

Elezioni di ottobre: a Roma, dopo lo “tsunami” del Covid,
….”quale futuro” per la Capitale ?

una breve analisi di FABRIZIO FEDERICI
ed un’intervista in 10 domande a botta e risposta 

Siamo ormai alla seconda decade di settembre: manca meno d’un mese al primo turno (3 ottobre) delle elezioni comunali, e s’intensifica il confronto tra i vari candidati a sindaco, soprattutto trai 4 “big”, Raggi, Gualtieri, Calenda e Michetti. Non meno aspra è la competizione tra i candidati “minisindaci”, i concorrenti alla poltrona di Presidente dei 15 Municipi romani: in una fase in cui l’Urbe si sta appena riprendendo da uno dei maggiori disastri della sua storia, quasi un moderno “Sacco” le cui conseguenze sul territorio, su tutto l’impianto economico e sociale della città, si stanno capendo in pieno solo ora.  Fedeli alla nostra linea di ascoltare tutte le voci che vogliono dare a Roma suggerimenti per la sua crescita, interpelliamo Giuseppe Lobefaro, già importante esponente della Giunta Rutelli di fine anni ’90 e in seguito, durante le giunte Veltroni, Presidente del I Municipio: che ora si ripresenta candidato alla Presidenza del Centro storico, con la lista civica “Calenda sindaco”. 
“Una lista che”, precisa, “come voluto da Calenda in prima persona, è fatta soprattutto di gente fuori dagli apparati di partito: che nel rispondere agli input dei cittadini, quindi, non sia condizionata dalle segreterie partitiche e dalle logiche politico-burocratiche”.

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1) “Presidente emerito”, da quando Lei ha governato il I Municipio, quest’ultimo si è ingrandito con la revisione dei Municipi romani di quasi 10 anni fa, e, recentemente, inglobando anche Prati (già XVII Municipio, accorpato al I). Un territorio esteso da Trastevere sino appunto a Prati, con più di 167.000 abitanti (di cui oltre 114.000 con diritto di voto). E che, in tutta Roma, è stato il più colpito dal flagello del Covid, essendo da sempre il più denso di esercizi commerciali e punti di ristoro. Come pensa di governarlo, in caso di vittoria? 
Anzitutto con quest’innovazione,  con assessori che non saranno, come al solito, competenti per materie, ma seguiranno ognuno una specifica parte del territorio (ad esempio, Trastevere o Esquilino). E’ vero che, così, dovranno lavorare molto di più, come un sindaco in piccolo: ma a questo si potrà ovviare inserendo nelle loro segreterie esperti qualificati. In questo modo, ogni quartiere avrà, in Giunta, un suo diretto riferimento.

2) Il Covid ha percorso come uno tsunami Roma, specie il Centro storico: fatto, come sappiamo, soprattutto di uffici pubblici e privati, e migliaia di esercizi commerciali, alberghi, B & B. e punti di ristoro (nonchè, ovviamente, residenti: dagli anni ’70 in poi, però, sempre meno, e sempre piu’ anziani). Fermo restando che la responsabilità principale di aiutare commercianti, ristoratori, albergatori a riprendersi è dello Stato (coi vari “Decreti – ristoro”), e, secondariamente, della Regione Lazio, come può affrontare questi problemi il Municipio? 
Il flagello del Covid ha avuto, in piccola parte, anche un effetto positivo: i romani, avendo difficoltà a muoversi per le varie limitazioni, son stati costretti, in una certa misura, a “riscoprire” ognuno il proprio quartiere. Nel Primo Municipio, è stata ridimensionata la “Centromania” degli ultimi decenni: cioè quel processo frenetico che aveva portato tantissimi operatori commerciali, anche di altre città e altri Paesi, ad investire ingenti capitali in zona, aprendo sempre più alberghi, negozi. bar, ristoranti, ecc… 
Da qui, fenomeni negativi degli ultimi anni, ben noti: come la “guerra dei tavolini” in strada, per accaparrarsi sempre più spazi per i clienti, aumento dei rifiuti, “movida”esaperata, con episodi anche di criminalità, ecc…Ora, si è passati quasi da un estremo all’altro: per aiutar gli operatori a riprendersi, Comune e Municipi han concesso loro non solo di non pagare, sino al 31 Dicembre, la tassa per l’occupazione del suolo pubblico (cosa, peraltro, doverosa, data la situazione), ma anche, sempre sino a fine anno, di mettere tavolini quasi dappertutto ( occupando gravemente i marciapiedi, violando lo stesso Codice della Strada, ecc…). La prossima Assemblea capitolina dovrà rivedere tutta questa materia a fondo, e i nuovi Consigli municipali dovranno definire le linee specifiche per le singole zone.

3) Sulla movida, appunto, come vorreste procedere? 
Chiaro che la compressione, i divieti subiti dai giovani per mesi han prodotto poi la forte necessità di sfogarsi: ma questo non deve portare ad episodi di “malamovida”, che devono essere attentamente prevenuti dalle forze dell’ordine. Il Municipio può svolgere in questo un ruolo essenziale: anzitutto con una stretta sull’attività dei tanti minimarket esistenti.

4) Sì, ma come? 
Anzitutto va limitato l’orario di apertura di questi esercizi: non è più ammissibile che restino aperti tutta la notte, o quasi. Poi, occorre far rispettare piu’ severamente il divieto – già esistente da anni – di vendere alcoolici dopo una certa ora. E, “a monte”, va rivista proprio la fisonomia giuridica di questi esercizi: che oggi, in sostanza, sono un ibrido tra il bar e il normale negozio al consumo (che, però, hanno entrambi piu’ limitazioni).

5) E sulla spinosa questione rifiuti, cosa può dirci? 
Premesso che un’Amministrazione municipale non può entrare nelle scelte generali dell’ AMA, non vedo però perché un Presidente di Municipio non possa sanzionare l’ Azienda Municipale per l’Ambiente quando, violando il contratto sottoscritto col Comune (e quindi, ovviamente, con tutti i Municipi), non svolge adeguatamente un servizio, o, addirittura, fa finta di svolgerlo. 
Nel nostro Municipio, il più  interessato dalla movida, la Domenica mattina, specie a Trastevere e in altre zone, trovi una quantità di “rifiuti del sabato sera” davvero impressionante: perché, appunto la Domenica, il servizio dell’ AMA è ridotto ( ma nulla impedirebbe di potenziarlo incrementando le turnazioni del personale). 
Il problema è che tanti servizi comunali, non solo la nettezza urbana, a Roma da sempre sono tarati sulle esigenze più dei lavoratori (di per sé sacrosante, è chiaro) che degli utenti, e questo, nel Duemila inoltrato, non è più ammissibile.

6) Veniamo, infine, ai temi istituzionali. Il decentramento amministrativo, a Roma ha conosciuto un’indubbia stagione partecipativa nella seconda metà degli anni 70: per poi arenarsi e riprendere, invece, nel 2000, con l’importante delibera della Giunta Rutelli che stabilì, anzitutto, l’elezione diretta del Presidente di Municipio… 
Esatto; ma a questa decisiva svolta nel governo della città manca ancora il tassello essenziale del Regolamento attuativo, che deve individuare in modo preciso le competenze dei singoli Municipi e quelle del Comune.
Qui, mentre ora i 4 principali candidati sindaci sono tutti, almeno a parole, d’accordo sul rilancio del decentramento, mi auguro che chiunque sarà eletto non voglia ancora una volta mettere il tema “in soffitta”, non avendo alcuna voglia di trasferire più poteri ai Municipi. Poteri che investono tantissime materie, dal commercio alla nettezza urbana, che ricordavo prima…

7) A proposito ancora di nettezza urbana, che ne pensa della proposta di Carlo Calenda di una fusione tra AMA  e ACEA? 
E’ un’idea più che giusta: perché anzitutto permetterebbe all’ AMA, semplice azienda partecipata con indubbie carenze organizzative, di fondersi con un’azienda che, invece, è tuttora, al 51% di proprietà comunale; con la possibilità  anche di creare importanti sinergie industriali.

8) A proposito anche di possibili privatizzazioni di tutte queste aziende?  
Non sono da escludere, quando portano obbiettivamente a una maggior efficienza e qualità dei servizi offerti (vedi la privatizzazione della Centrale del latte, decisa nel ’93, appena eletto, da Rutelli): ma questo è un terreno molto delicato, su cui occorre procedere con molta cautela. Ad esempio, a Castel Giubileo esiste da anni un’azienda agricola di proprietà comunale, che non funziona bene: questo è un caso in cui una privatizzazione può essere utile, ma va studiata bene.

9) Sempre in tema istituzionale, come procedere per aumentare i poteri di Roma Capitale, che non può più continuare ad avere solo quelli stessi di qualsiasi piccolo Comune? Proprio l’8 settembre, a questo scopo, la Commissione Affari Costituzionali della Camera doveva produrre finalmente una proposta di riforma con legge ordinaria e un’altra di riforma della Costituzione (esattamente, dell’art. 114, attribuendo a Roma alcune potestà che, attualmente, sono regionali ). 
Qui concordo anzitutto con le ultime osservazioni di Calenda: tutto questo ok, ma per migliorare il governo di Roma non possiamo attendere una legge di riforma della Costituzione, che potrebbe richiedere anni. 
E’ evidente che per migliorare la situazione, ad esempio, dei rifiuti o delle metro, non servono poteri speciali, ma, anzitutto, una migliore capacità di gestione. Poi, certo, ci vogliono anche, per Roma Capitale, poteri nuovi: ma diversi di questi, a guardar bene sarebbero già delegabili da Regione e Stato, grazie a norme già esistenti, pienamente nello spirito della Costituzione stessa. 
Non è altro che l’applicazione di quel celebre principio di sussidiarietà presente non solo nell’ordinamento italiano degli enti locali, ma, almeno in teoria, nella stessa architettura istituzionale dell’ Unione Europea.

10) Parlando specificamente di riforma della Costituzione, però, se questo processo – per quanto riguarda Roma Capitale, appunto – andrà avanti, renderà inevitabile rivedere quella riforma del titolo V della Costituzione che, nel 2001, la sinistra al potere attuò potenziando fortemente, anche troppo, le potestà normative – sia concorrenti che esclusive – delle Regioni ordinarie… 
Esatto. Quella riforma, diciamo la verità, fu fatta  soprattutto per frenare l’avanzata della Lega, che allora aveva il vento in poppa battendo sempre sul tema del federalismo infranazionale. 
Accanto ad aspetti positivi, quella riforma del 2001 ha errato potenziando troppo i poteri delle Regioni anche su temi (penso soprattutto a sanità, scuola e beni culturali) dove, invece, buonsenso e conoscenza delle realtà degli altri Paesi europei consigliano senz’altro di mantenere una forte competenza generale, o quantomeno un forte potere di indirizzo e coordinamento, nelle mani dello Stato.

 

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