La dimensione personale della fede nella teologia cristiana
Il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce la fede una virtù teologale infusa da Dio nell’anima dei fedeli; per essa l’uomo crede in Dio e in tutto ciò che Egli ha rivelato.
Ma la fede oltre che essere un dono soprannaturale è anche un atto autenticamente umano: infatti, aggiunge il Catechismo – Nella fede l’intelligenza e la volontà umana cooperano con la grazia divina. Credere è un atto dell’intelletto che sotto la spinta della volontà mossa da Dio per mezzo della grazia dà il proprio consenso alla verità divina. Affinché poi l’intelligenza della rivelazione diventi sempre più profonda, lo Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni.
Consideriamo innanzitutto la fede come dono di Dio: in primo luogo è di Dio l’iniziativa di rivelarsi storicamente; in secondo luogo lo Spirito Santo permette all’uomo di ricevere il dono della fede e di farlo fruttare.
Alla fede di cui l’uomo sente parlare deve aggiungere una specie di rivelazione interiore: Dio ha parlato attraverso gli accadimenti della storia sacra per bocca dei profeti che indicarono il significato di quegli eventi; ma Dio ha parlato anche per mezzo del suo Verbo fatto carne, Gesù Cristo. E la Chiesa trasmette all’uomo la Parola viva di Dio grazie allo Spirito Santo, inviato da Cristo per continuare la sua opera. È lo Spirito Santo che anima la vita della fede facendo in modo che si passi da una adesione puramente concettuale all’intelligenza dei misteri.
Consideriamo poi la fede come atto dell’intelletto. Con l’atto di fede si dona a Dio l’omaggio sincero e grato di sé nell’atto intelligente di lasciarsi orientare da Lui. Ma l’uomo attraverso quest’atto consacra la propria vita a verità che creano nella sua intelligenza dubbi che vanno aldilà della comprensione umana.
Quindi la fede comporta nell’uomo una certa sofferenza nel compromesso che deve accettare se vuole essere uomo di fede: il compromesso di morire con Cristo per resuscitare con lui. Se la vita dell’uomo non si conforma alla volontà di Dio, la sua verità gli rimarrà estranea. E le vie divine sono terribilmente esigenti: il cristiano acconsente ad intraprenderle solo rinunciando a se stesso.
La fede personale è necessaria per la salvezza non essendo per essa sufficiente la mera appartenenza ad un gruppo che si caratterizzi come credente. Gesù per compiere miracoli esige la fede in coloro che vuole guarire. Quindi il rapporto tra rivelazione e fede è indicato come quello di una proposta e di una risposta.
Dice Gesù che nessuno può andare a Lui se il Padre non lo attira, vale a dire che l’uomo non può studiare, chiedere, cercare la fede se non per la grazia di Dio; in tal modo il Vangelo sottolinea allo stesso tempo l’iniziativa divina e la libertà umana; Dio invita a seguirlo e a lasciare che lui insegni e ami rispettando la libertà della persona.
Mai si legge nel Vangelo che Cristo forza un’anima a farlo entrare: aprirgli la porta equivale a pregare, sarebbe assurda la pretesa di apprendere senza ascoltare. Quindi alla base di questo incontro c’è la preghiera come espressione del libero acconsentire a che Dio entri nella vita; la preghiera è un incontro continuo con Dio, un dialogo perenne con lui.
Questo incontro amoroso con Dio non si realizza senza un’attitudine di vita che sia insieme compromesso e preghiera: l’esperienza religiosa nasce solamente in un’anima aperta che ha sete di felicità, che non accetta né limiti né conclusioni, che ha fede nell’esistenza di una forza luminosa e attiva dentro di sé.
Questo assenso interiore si chiama conversione. Vediamo quali sono le costanti di questo incontro. Innanzitutto non si desidera la fede senza un incontro che manifesti all’anima l’esistenza di un’altra dimensione rispetto a quella del mondo. Un uomo vive conformemente alla sua educazione, all’influenza del suo ambiente nei limiti della sapienza strettamente umana fino a che non incontra qualcuno o qualcosa che gli rivela una differente dimensione dell’esistenza; ciò lo obbliga a soppesare i principi della sua vita.
Colui che ha fede presenta tanta allegria, pace, forza, limpidezza e sembra agli occhi dell’altro come abituato all’ineffabile presenza dell’Altro. Nasce allora il desiderio di conoscere questa religione. E qui cominciano gli ostacoli: lo scandalo della condotta di molti cattolici, il loro mutismo, la superficialità con cui professano i dogmi della fede… L’anima si trova allora in balia di desideri contraddittori fino a quando non incontra un cristiano capace di parlare di Dio e di Gesù Cristo.
Segue poi un periodo di lotta interiore che può durare anche anni, in cui l’anima viene sospinta tra la luce e le tenebre mentre una Presenza inevitabile cresce fino all’esclamazione Mio Signore e Mio Dio. Da quel momento una pace e un’allegria intensa si impossessano dell’anima e solo più tardi l’anima sentirà l’esigenza di risposte obiettive ai suoi dubbi. In genere si parla di conversione tra i 20 e i 30 anni e questo non solo per i non credenti ma anche per i battezzati praticanti: senza questa conversione la religione sarà infantile e rischia di sparire o nel caso migliore porta allo sterile conformismo.
Le grandi tappe della evoluzione della fede sono tre: l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza alla fine delle quali si raggiungono tre morali. Il bambino si attiene quasi esclusivamente a ciò che gli viene chiesto o proibito, la distinzione tra bene e male si deve ai suoi educatori e la sua coscienza è il riflesso di tali insegnamenti. Diverse persone adulte si sono arrestate a questa tappa: sono adulti nel fisico e puerili nella morale.
L’adolescente possiede una morale più elevata di quella del bambino: lo entusiasmano gli ideali, ammira e imita gli eroi, si ritiene capace lui stesso di compiere atti eroici, ha raggiunto l’età della morale dell’eroe e del saggio, si risente per i suoi fallimenti e si sente disperatamente diviso tra i suoi ideali e i suoi istinti. Nonostante in tanti giovani arda questo fuoco eroico e generoso, l’etica dell’eroe e del saggio è comunque lontana dall’etica cristiana. Gesù non è un Socrate cristiano che ha proposto un ideale quantunque possa considerarsi tale il comandamento dell’amore reciproco: un profeta o un saggio sarebbero stati sufficienti. Lui piuttosto è venuto per insegnare all’uomo non un prototipo di vita ma che lui stesso la identifica.
La fede dell’adulto dovrebbe essere caratterizzata dalla scoperta che il peccato non è una mancanza commessa contro un ideale, limite purtroppo della fede del giovane ma è la rinuncia a considerare Cristo come l’animatore della propria esistenza anche attraverso le personali miserie. Quattro sono le condizioni che rendono possibile questa animazione: l’attenzione alla parola di Dio, la preghiera, i sacramenti, l’amore al prossimo.
L’assenteismo dei cristiani nelle opere apostoliche civili e sociali è una prova dell’inconsistenza della fede che i cattolici professano teoricamente. La fede di un adulto risulterà irreale se non si compromette in un’azione temporale. La vita professionale e sociale di un cristiano deve essere eletta da questo tipo di fede responsabile altrimenti non potrà definirsi tale nonostante le devozioni domenicali.
Quando si parla di vita di fede e di conversione non si può prescindere da un discorso sulla crisi della fede e sulle diverse età della fede. Infatti la fede, come l’amore è qualcosa di vivo e come tale soggetto a minacce sia interne che esterne.
Come l’amore si estingue se uno rompe le relazioni con l’altro, così si spegne la fede se non viene alimentata. Le crisi della fede possono dipendere da una grande sofferenza che si è dovuta affrontare, o allo scandalo del male nel mondo o allo scontro con le dottrine del mondo che le sono opposte. Queste crisi sono indipendenti dal credente che però nelle varie tappe della sua esistenza deve continuamente rinnovarsi perché la propria fede si adatti all’uomo nuovo che sorge da ogni tappa.
Non c’è una fede acquisita definitivamente immutabile, come tra due innamorati non esiste un amore cristallizzato in modo inalterabile.
Veronica Tulli
Foto © Maràn-atà