La dipendenza dai videogiochi
“E che pensavi di poter vivere oltre la tua realtà?” -mio padre.
Lavora Gioca Dormi. Perdi il lavoro perché giochi troppo. Gioca Dormi Gioca. Ed in tutto questo cominci a giocare come fosse un lavoro per quanto virtuale possa sembrare agli altri e al tuo portafogli. Questo é l’itinerario che molti giovani oramai seguono, o per meglio dire il sogno che oramai inseguono.
Allo stesso tempo i produttori di videogiochi usano tecniche sempre più efficaci per provocare dipendenza nei giocatori mentre i centri di recupero si riempiono di adolescenti che non riescono a smettere, che non riescono a vivere senza questa loro dipendenza. Il giocatore russo di Fallout 4 che perde lavoro e famiglia per la sua dipendenza dai videogiochi é medioevo informatico, i soldi sono altrove al giorno d’oggi, ma tutti sotto l’etichetta giochi gratis.
Come inizia e non finisce mai: l’eterna ripetizione
Prima partita a Fortnite. Tu sei vestito di verde e marrone mentre intorno a te si radunano tutta una serie di personaggi dai costumi più strambi: uno vestito da banana e due (forse) ragazze con indosso una un costume da Catwoman e l’altra un vestito rosso. Parte questo improbabile Battle-bus che é allo stesso tempo una mongolfiera e uno scuolabus: da questo improbabile mezzo volante devi lanciarti nel vuoto per riuscire ad atterrare sull’isola di gioco. Sul terreno dove arrivi vedi subito un edificio abbandonato dove entri subito sperando di essere il primo. Da qui la morte e il ritorno sul Battle-bus o l’arrivo sull’isola seguente grazie a uno stupendo ombrello da Mary Poppins.
Tommaso è arrivato in un centro di recupero dopo un anno e mezzo di dipendenza “stretta”, aveva cominciato con un gioco di guerra della serie Call of Duty per poi passare a League of Legends ed in questo aveva lasciato andare alla deriva tutto ciò che si trovava al di fuori della sua grande ma piccola realtà, quando gli si chiede cosa ha fatto nell’ultimo anno e mezzo che lui risponde: “Eh sì ho giocato veramente tanto in questo periodo! La cosa assurda é quando giocavo dalle 9 di mattina alla mezzanotte inoltrata per poi ricominciare il giorno dopo”.
Tommaso ha perso la ragazza e non si é mai laureato, usciva poco e si chiudeva in stanza per non dover incontrare i coinquilini perché in fondo si vergognava di se stesso, quando é arrivato nel centro di recupero pesava 55 chili e mangiava soltanto pane secco e biscotti e a parte questo beveva poco per non dover andare in bagno. Tante giornate davanti al computer e solo pochi pensieri alla sua vita fuori da quello schermo. Ora nel centro di recupero può solo guardare i video di altri giocatori per non rimanere “indietro”.
La casistica dei ragazzi che passano troppo tempo davanti al pc.
I casi di ragazzi che giocano 80 o 90 ore alla settimana aumentano sempre di più, le sale d’attesa dei centri di recupero sono sempre piene.
Paul ha 35 anni e ha cominciato giocando a Diablo e World of Warcraft (WoW), lui un lavoro non lo aveva ma da quando giocava a WoW in un certo senso ne aveva trovato uno, lui sentiva che doveva giocare più tempo possibile per ammortizzare la spesa di 30 euro al mese, come lui altri 11 milioni di utenti in giro per il mondo al tempo in cui giocava, ma questa é storia passata, tendenzialmente preistoria videoludica in quanto avveniva solo 10-15 anni fa; così come lui la gente che dieci anni fa spendeva 40 50 o 60 euro dieci anni fa perché i giochi di oggi sono GRATIS e per guadagnare soldi usano le microtransazioni.
Nel 2020, in pieno covid, l’industria videoludica ha fatturato 160 miliardi di dollari (contro gli 11 miliardi del fatturato cinematografico ad esempio) rispetto ai 123 del 2018 e ai 60 del 2012. Nei campionati mondiali di Fortnite si registra sempre il tutto esaurito nei posti per vedere i possibili vincitori mentre guadagnano premi per decine di milioni di dollari. Il gioco come dicevo sopra diventa la vita sociale di questi giovani. C’é chi pensa di avere una vita sociale quando divide le skin, le pelli per apparire sempre diversi, agli altri giocatori, persone che non incontrerà mai nella vita reale: Tommaso con questa storia ha svuotato un suo fondo per gli studi di ben 4500 euro.
La dipendenza come ultima fase di una curva discendente
E’ difficile capire quanti giocatori rientrino in questa definizione perché la dipendenza é l’ultima fase di una curva discendente, ci sono in generale 4 fasi che si possono riconoscere nei giocatori di videogiochi:
- Giocatore senza nulla di problematico
- Chi passa troppo tempo o davanti al telefono o davanti al pc, si ha un senso di disagio: anche chi passa troppo tempo davanti a facebook si trova in una condizione simile.
- Gioco problematico che è quando si arriva tardi a scuola o all’università, qui non si é ancora dipendenti, solo pochi dimenticano gli studi per giocare (in teoria).
- Dipendenza vera e propria: sudore freddo, attacchi di panico e aggressività in assenza prolungata dai videogiochi.
D’altro canto i genitori e gli insegnanti sono spaventati anche quando un ragazzo perde la rotta anche per un solo periodo, mentre l’industria videoludica dal canto suo non si prende alcuna responsabilità dicendo che la causa non sono i videogiochi ma piuttosto quella che é una depressione già presente nei pazienti clinici.
Secondo gli esperti del settore, soprattutto quelli che lavorano nelle cliniche di recupero, i videogiochi hanno fatto una parabola verso la dipendenza, nessuno é diventato mai dipendente per aver giocato a Tetris: ad oggi invece molti giochi danno problemi pesanti alle menti dei ragazzi che possono trovarsi storditi come quando si beve troppo alcool o si fa uso di droghe per lunghi periodi.
Gli olandesi, ad esempio, nel 2018 esortavano i genitori ad affrontare il problema dei videogiochi con i loro figli con la campagna “Rule the game”, nel senso di domina e sii consapevole del gioco, ma anche allora non si parlava mai di dipendenza, non a caso la campagna era organizzata dal nvpi, un’associazione per la tutela dei produttori di videogiochi e non dei videogiocatori, in Italia queste campagne non esistono.
Per evitare che i giocatori lascino i videogiochi invece le aziende produttrici hanno diversi metodi per fermare le “uscite” che poi diventano sempre più vincolanti man mano che il giocatore si trova dentro a una realtà che non é la sua ma che é creata artificialmente, vi sono equipe di psicologi che studiano come bloccare le uscite e tutto questo all’insegna della legalità:
- Nei videogiochi gli elementi che creano dipendenza aumentano di continuo, si chiamano lootbox normalmente ma ci sono state date già da tempo, quando erano in fase di studio, di che cosa si tratta? Sono inviti a effettuare microtransazioni in favore dei produttori di un determinato videogioco, dove per microtransazione si intende per dare soldi anche nella forma di pochissimi euro per ottenere qualcosa che é difficile o raro da trovare. In sostanza si hanno pochi vantaggi per pochi soldi spesi ma questo é l’inizio di tutto o per chi é più navigato una sorta di surrogato, l’equivalente della prima dose “Gratuita” per il consumatore di droga.
- La paura di perdersi qualcosa (fear of missing out, fomo): questa é un aspetto importante per i più giovani che pensano sempre di essere indietro rispetto agli altri e sul quale fanno leva le aziende videoludiche: si tratta di mettere a disposizione delle novità per brevissimo tempo, per spingere il giocatore a non perderle. Gratuite o no diventano dei richiami settimanali o mensili cui non si riesce a resistere.
- Il Guilt Tripping, ovvero si fa leva sul senso di colpa del giocatore, ovvero se si chiede di cancellare il proprio account ti dicono che sono tristi nel dover accettare quello che é una tua scelta e non una loro.
I produttori di videogiochi hanno depositato vari brevetti che si basano algoritmi atti ad aumentare il numero e la rendita delle microtransazioni (vedi Activision per esempio): il sistema mette principianti di fronte a giocatori esperti con armi migliori, poi quando il giocatore cede alla tentazione dei lootbox o di altre “esche” lo mette di fronte a giocatori meno esperti di lui che stranamente hanno avuto armi peggiori.
Videogiochi nell’epoca del Covid (indagine sul 2020)
Mentre molte industrie e soprattutto molte attività hanno dovuto chiudere i battenti durante l’epoca del Covid il settore videoludico spinto anche da quelle che sono state le restrizioni del primo periodo (epidemia 2020) ha avuto una crescita esponenziale rispetto ad altre forme di svago. La musica si pone sul gradino più basso, lo sport tra calcio e tutti gli altri sport ( soprattutto gli sport nord americani per capirci) si pone sul gradino medio ma é soprattutto l’industria videoludica a far da traino per l’economia con ben 180 miliardi di dollari, di cui il 91% con le vendite in digitale.
E’ risultato stupefacente il fatto che il 72% dei giocatori delle console si sia “convertito” alle versioni digitali, essendo storico il legame tra chi gioca su console e supporto fisico di un disco col quale giocare. Questo fa notare che già nella crisi economica del 2008 l’industria videoludica aveva retto bene ma poi ebbe alcuni strascichi di danno con la chiusura della THQ, uno dei marchi storici del videogioco americano, nel 2013. Il problema maggiore che si é visto soprattutto nella prima pandemia é che rallentando l’industria di produzione delle console e delle sue componenti con le chiusure in Cina é stato difficile trovare componenti hardware per lunghi periodi, questo é poi lo stesso problema che abbiamo oggi con i componenti hardware di tante cose per la crisi attuale. Questo quindi era vero per gli strascichi della crisi economica del 2008, é stato vero in questi anni di pandemie perché in Cina han chiuso le fabbriche di componenti.
Milioni di spiccioli ma sempre milioni
Le lootbox di cui ho parlato rientrano a tutti gli effetti nella categoria del gioco d’azzardo per le autorità olandesi, ma qui in Italia? Il gioco d’azzardo per quanto possa essere considerato una truffa per sua stessa natura intrinseca dà comunque una ricompensa economica a quei pochi che vincono.
Le lootbox potrebbero essere considerate illegali solo se potessero essere scambiate con soldi o beni veri, chi indaga su quanto potrebbero essere pericolose trova che 7 giochi su dieci hanno dentro dei contenuti manipolatori “illegali”, ma non facendo parte del mondo reale non possono essere considerati realmente come illegali e quindi non si può procedere ne con le indagini ne con le accuse.
A parte i titoli più famosi ce ne sono altri che “sopravvivono” di una manciata di spiccioli come il gioco Warframed dove il giocatore per cambiare skin deve spendere meno di 50 centesimi, ma anche lì ci sono tanti che lo fanno 20 30 volte al giorno.
La fine, finalmente . . .
Per terminare una cosa é chiara sia per gli operatori delle cliniche di recupero che per i produttori di videogiochi: tutto va avanti troppo velocemente, il modo in cui le aziende fanno soldi é cambiato radicalmente negli ultimi 15 anni, l’dea stessa di lavoro é profondamente cambiata dopo l’epidemia di covid e tutto ciò che ha significato per la società, al giorno d’oggi non si capisce più cosa sia sano e che cosa non lo sia.
Gli studi sui problemi psicologici che possono causare i videogiochi in un minore sono ancora pochi e molte volte con esiti contraddittori. Inoltre emerge il fatto che é importante che ci sia un adulto che dia un limite di orario al minore; qualora si stabilisse un legame tra giovani problematici e videogiochi sarebbe comunque difficile da determinare il rapporto di causa ed effetto, soprattutto i videogiochi che presentano la violenza come una cosa normale e necessaria. Memoria attenzione concentrazione e riflessi non si capisce bene se siano indeboliti o rafforzati dal giocare a tanti videogiochi, il consiglio migliore rimane quello della moderazione.
La moderazione in tutte le cose é quello che tutti si augurano ma non é poi così facile, allevare un figlio e amarlo non significa che bisogna assecondare ogni suo capriccio, si raccomanda di fare un po’ di tutto senza lasciare nulla indietro: lo sport, lo studio, il gioco di cui il videogioco é solo una parte.
©foto ipsico cesda ©Francesco Spuntarelli