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La Legge non è uguale per tutti

“La legge è uguale per tutti” è solo una tavoletta sumerica
lasciata alle spalle nella prossemica delle aule

Torquato Cardilli

Il primo comma dell’articolo 3 della nostra Costituzione stabilisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali».
Questo principio di uguaglianza assoluta non è un’innovazione italiana, ma trova le sue radici nelle prime enunciazioni politiche dell’antica Grecia fino ai più importanti documenti del XVIII secolo (Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti del 1776; Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese del 1789, riassunta nel rivoluzionario grido “libertè, egalitè, fraternitè) e poi ripreso con varie modulazioni da tutte le costituzioni europee.
Si tratta dell’eguaglianza sostanziale e giuridica dei cittadini, posta a regola fondamentale dello Stato di diritto. Per questa ragione nelle aule di giustizia, sulla parete alle spalle della Corte, di modo che sia visibile da ogni angolazione, campeggia la scritta “la legge è uguale per tutti”.
Con il passare del tempo, però, questo brocardo è da noi diventato a volte sornione, a volte beffardo, a volte mendace, un vero ossimoro.
In questi giorni si parla tanto di giustizia e delle deviazioni immorali per pratiche scorrette e censurabili da parte di parecchi magistrati collusi con la peggiore politica nell’intento di scambiarsi favori come tra padrini e compari e spartirsi fette e quote di potere. E quindi il tema della legge uguale per tutti – a cominciare dal C.S.M. – Consiglio Superiore della Magistratura e dell’A.N.M. – Associazione Nazionale dei Magistrati –  è di estrema attualità.
E non è una novità perché il principio codificato dell’eguaglianza ha trovato raramente applicazione quando si è trattato di giudicare un potente politico apicale, invischiato in fenomeni di corruzione, di concussione, di frode, di collusione con ambienti malavitosi, per cui può considerarsi vigente il contrario dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Viceversa un paese dove la legge è veramente neutra e non fa distinzione tra i cittadini è Israele che non prevede alcuna forma di immunità per il Presidente della Repubblica, per il Primo Ministro e per i membri del Governo.
Nel 2011 fu condannato a 7 anni di prigione per stupro e molestie sessuali il Presidente della Repubblica Moshe Katsav, costretto alle dimissioni e associato alle patrie galere senza complimenti e senza riverenze, quando la Corte Suprema respinse il ricorso sancendo come definitiva la sentenza di condanna.
Nel 2013 una macchia di disonore scese sulla massima istituzione religiosa dell’ebraismo, quando incappò nelle maglie della giustizia l’influente ex rabbino capo askenazita Yona Metzger, accusato di corruzione per aver intascato tangenti, di riciclaggio di denaro, di ostruzione della giustizia, di frode e altri reati, tutti commessi durante i dieci anni del suo incarico iniziato nel 2003.
Il suo arresto avvenne clamorosamente, ancor prima della sentenza di condanna a dieci anni, quando l’autorità investigativa raggiunse le prove che Metzger aveva tentato di corrompere i testimoni intralciando platealmente le indagini.
L’anno seguente il tribunale di Tel Aviv riconobbe colpevole l’ex premier Ehud Olmert del reato commesso 6 anni prima quando ricopriva la carica di Sindaco e di Ministro dell’industria e commercio e fu costretto alle dimissioni. Lo scandalo fu enorme per aver mentito alla giustizia e per essere stato parte attiva del reato di corruzione per milioni di dollari insieme ad altri influenti personalità israeliane, come il suo predecessore nella carica di primo cittadino, il presidente della banca, il suo capo di gabinetto, commercialisti e progettisti per la costruzione di un complesso edilizio a Gerusalemme.
Due settimane fa si è aperto di fronte alla Corte distrettuale di Gerusalemme, dopo tre anni di indagini, il processo per corruzione, frode e abuso di potere contro l’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu. Nella storia di Israele è questo il primo caso di un capo di Governo in carica a finire alla sbarra per essere giudicato. Netanyahu, secondo l’accusa del pubblico ministero è imputato, insieme ad alcuni uomini d’affari, di aver ricevuto doni (denaro, champagne, gioielli, sigari) in cambio di favori e aver tentato di assicurarsi una copertura di favore da parte del maggiore quotidiano del paese, Yediot Aharonot.
In particolare Netanyahu è accusato di aver ottenuto regali per un valore di circa 200.000 euro da parte di due miliardari stranieri in cambio di favori e aver contrattato con il gigante delle telecomunicazioni Bezeq, una copertura mediatica positiva sul sito di informazione “Walla!” in cambio di scelte politiche governative in favore dell’azienda.

Insomma proprio come in Italia dove un primo ministro è stato ritenuto colluso fino ad una certa data con la mafia, dove un altro primo ministro, tutt’ora sotto processo nel Ruby ter per ostruzione alla giustizia, per compravendita di senatori, seppur già condannato per frode fiscale è ancora capace di dettare un’agenda politica allo schieramento di destra e di essere considerato un interlocutore dalla sinistra.
Oltre Atlantico il presidente degli Stati Uniti Nixon fu costretto a consegnare al Congresso le registrazioni, che lo incastravano, dei suoi colloqui nello scandalo Watergate e quindi a dimettersi, mentre in Italia le registrazioni delle conversazioni tra l’ex presidente della Repubblica Napolitano e l’ex presidente del Senato Mancino, in merito alla trattativa stato-mafia, sono state distrutte, sbarrando per sempre il cammino della Giustizia.
Piuttosto che crogiolarci retoricamente con l’auto elogio di essere la patria del diritto, abbiamo ancora molto da imparare per far si che la legge sia veramente uguale per tutti.

 

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