La linea rossa
Scritto da Gabriele Felice il . Pubblicato in Esteri, Diplomazia e Internazionalizzazione.
Trump traccia la linea rossa: Groenlandia, Canada e Panama. Gli interessi vitali americani, i confini invalicabili.
L’America, la Linea Rossa, gli interessi vitali: Il ruggito di Trump
C’è una forza primordiale che attraversa la politica americana quando Donald Trump sale sul palcoscenico globale. I primi giorni del 2025 sono stati segnati da dichiarazioni esplosive: Groenlandia, Canada, Canale di Panama. Non sono solo territori: sono simboli, arterie pulsanti dell’egemonia americana. E, nel ruggito di queste parole, c’è molto più di una provocazione. C’è un messaggio, uno di quelli che tagliano il silenzio come un tuono nella notte: questa è la nostra linea rossa. Questo è il nostro mondo.
Due gli assenti in questo confine geostrategico americano delineato dal neo presidente Trump: Cuba (dove sono presenti navi e sommergibili da guerra russi) e l’Alaska (rivendicata da Putin).
L’arte della marcatura territoriale
Trump, nella sua inimitabile teatralità, ha sempre compreso una verità che molti leader preferiscono sussurrare. La geopolitica è un gioco di spazi, simboli e confini. Le sue rivendicazioni su Groenlandia, Canada e Panama non sono capricci di un uomo in cerca di gloria. Sono mosse strategiche che riecheggiano l’essenza della dottrina Monroe: il cortile di casa dell’America è sacro, intoccabile.
“No trespassing,” sembra dire. Ma questa volta il cartello non è rivolto a vicini deboli e lontani. Questa volta l’avviso è indirizzato a due colossi del XXI secolo: Cina e Russia.
Groenlandia: il diamante dell’Artico
In quel lembo di ghiaccio, apparentemente silenzioso, si combatte una guerra senza sangue. L’Artico è diventato il nuovo Eldorado, ricco di risorse naturali e rotte commerciali inesplorate. Trump lo sa. E sa che la Cina – con i suoi investimenti astuti e la sua diplomazia del denaro – sta cercando di mettere un piede in quella porta gelida. La Russia, con la sua flotta e il suo machismo geopolitico, è già lì.
La Groenlandia, con la sua base aerea di Thule, è il cuore strategico dell’Artico. Lasciarla al caso o, peggio, alla mercè degli altri, significherebbe perdere una battaglia cruciale nel gioco del dominio globale. Per questo Trump la rivuole, come un conquistatore che guarda al suo regno incompleto.
Canada: il fratello maggiore… o minore?
“Perché non unirci?” ha chiesto Trump, con la semplicità di chi offre una tazza di caffè. Ma dietro questa apparente leggerezza si nasconde una logica implacabile. Il Canada è più di un vicino; è una miniera di risorse, una terra vastissima che custodisce ricchezze naturali inestimabili. A scanso di equivoci: “il Canada per gli Stati Uniti è come se fosse il 51° Stato”.
In un mondo in cui le alleanze sono fragili e le economie globali vulnerabili, l’annessione del Canada – o almeno una fusione più profonda – significherebbe cementare il Nord America come una roccaforte inviolabile. Certo, questa idea potrebbe sembrare un delirio imperiale. Ma a me viene in mente pensando alle butade di Trump, “L’arte della guerra” di Sun Tzu in cui una delle tattiche per disorientare, confondere e intimidire il nemico era farsi credere pazzo, del tutto imprevedibile e capace di tutto.
Panama: la chiave del commercio mondiale
Il Canale di Panama, quel sottile nastro d’acqua che collega due oceani, è molto più di un capolavoro ingegneristico. È una linea vitale per il commercio globale, una giugulare economica che l’America non può permettersi di perdere. La Cina, con la sua espansione implacabile, ha già iniziato a consolidare la sua influenza su Panama. Trump, come un giocatore di scacchi aggressivo, sa che non c’è spazio per esitazioni.
Reclamare il controllo del Canale non è solo una questione di interesse economico, ma di proiezione di potere. Panama è il simbolo della presenza americana nell’emisfero occidentale. E perdere quel simbolo significherebbe cedere un altro frammento del mondo al dragone cinese.
Un avvertimento mascherato da visione
Queste rivendicazioni non sono semplici boutade. Sono un avvertimento – chiaro, diretto, inequivocabile. La Cina e la Russia, con le loro manovre silenziose ma potenti, stanno cercando di spingere oltre i confini tradizionali della loro influenza. Ma Trump, con la sua retorica infuocata e il suo pragmatismo brutale, sta tracciando una linea rossa.
La Groenlandia non è in vendita. Il Canada non è solo un vicino. E il Canale di Panama non è un trofeo. Sono tutti pezzi di un mosaico chiamato interesse vitale americano.
Ruggito o follia calcolata?
In un mondo in cui la geopolitica è sempre più un gioco di forza e di segnali, Trump sta mandando il messaggio più forte di tutti: l’America è ancora la potenza dominante. E chiunque cerchi di contestare questa verità dovrà affrontare non solo le parole, ma l’azione.
L’imprevedibilità e la confusione sono armi potentissime per destabilizzare il nemico. Lo ha scoperto Sun Tzu, lo sanno i cinesi e lo sa Trump che consapevolmente o meno, sembra incarnare questo principio in modo straordinario. Le sue boutade, spesso percepite come sparate irrazionali, seguono una logica di potere più profonda.
Ha spostato lo stato di allerta da noi a loro.
Confondere il nemico significa anche guadagnare tempo. Cina e Russia, preoccupate di rispondere alla retorica di Trump, potrebbero rallentare le loro avanzate strategiche in altri ambiti. Ad esempio, la Cina potrebbe riconsiderare le sue operazioni in Groenlandia o i suoi investimenti a Panama, temendo una reazione esagerata degli Stati Uniti.
Trump potrebbe non essere un lettore di Sun Tzu, ma di certo ne incarna alcuni principi fondamentali. Le sue dichiarazioni, per quanto estreme, potrebbero rappresentare una versione moderna della strategia della follia calcolata: far credere al mondo di essere imprevedibile per ottenere vantaggi strategici senza necessariamente dover agire.
Che questa strategia funzioni a lungo termine è tutto da vedere, ma per ora ha sicuramente messo il mondo intero in subbuglio, costringendo i rivali dell’America a navigare nell’incertezza.
La strategia è rischiosa. Potrebbe alimentare tensioni, provocare reazioni, persino accendere nuovi conflitti. Ma per Trump, questo non importa. Ciò che importa è che l’America non sia mai vista come debole. E, nel bene o nel male, il mondo ha appena ricevuto un promemoria potente: la tigre americana non si è mai addormentata e saprà rispondere se colpita nei suoi interessi vitali.
Fonte principale: Il Sole24Ore