La menzogna e la coscienza storica. Con la rete internet un idiota, seppur collegato, navigando resta pur sempre un idiota-globale
Dai Manifesti Politici e delle Avanguardie dell’800 e del ‘900
alla leggera frivola inconsistenza dei Twitter, di Instagram e di Fb
Raffaele Panico
Tra gli scrittori del Mondo antico, Virgilio ed Ovidio, trasmettono il senso del proprio tempo storico che giunge al fruitore della coscienza storica, attraverso secoli, grazie alla contemporaneità filosofica del pensiero virtuoso vitalistico verificabile
Esiste un rapporto della coscienza per la conoscenza storica intimamente e profondamente connesso ad altri campi della comprensione delle cose inerenti all’indagine? Meglio ancora: è il mestiere dello storico una condizione mentale esercitata criticamente sulle fonti che appartengono tanto al passato quanto al presente? Condizione che si sviluppa e dipana sull’accertamento di fatti, su una grande quantità di documenti, anche con provenienze di luoghi ed età diverse. Fatti osservati, analizzati, sistematizzati e come dire schedati, catalogati, archiviati, digitalizzati. Ovviamente discorriamo di storia, della grande storia profonda e di lunga durata e non della storiografia. Approccio importante che affianca a ben vedere altri mestieri quali il magistrato, il giudice, l’opera dell’investigazione tanto giudiziaria di forze di polizia o della ricerca scientifica.
Una storia che sia più storie insieme, una super scienza che adopera gli strumenti delle categorie che agiscono nel campo d’osservazione e dell’indagine affini e complementari, se non parallele, alla conoscenza storica libera da premesse di ogni sorta, politiche, sociali, religiose, o di consuetudine e di costume. Conoscenza lontana dal rumore di fondo dell’emozione e del sensazionalismo. Il punto di contatto e sinergia tra più campi d’applicazione interessate al pulsare delle manifestazioni della “vita”, del vissuto, tra soggetti e l’oggetto dell’accertamento che pone l’interesse della vita in senso ampio, l’individuo, la società, nel luogo e tempo d’appartenenza. Un’osservazione critica delle fonti che assolutamente includa la ricerca storica con l’ascolto della fonte o del testimone, tanto nel passato quanto nel tempo presente, allora e solo così lo spirito critico della conoscenza acquisita soddisfa le domande iniziali: si è stati capaci di esercitare un filtro critico alla somma delle testimonianze? Subito si presenta un altro problema: stabilire le sole realtà concrete che sono le testimonianze degli attori in causa, ossia l’osservazione degli uomini come portatori di un’educazione ricevuta dall’ambiente naturale e sociale a cui appartengono. Essere in grado cioè, di rifuggire alle astrazioni di comodo e non incanalare ed istradare la ricerca della conoscenza della realtà sotto il calco di un timbro facile da apporre, dietro stimoli dettati dalla generalizzazione del momento e dell’arbitrio della eventualità contingente. È il focus, la legge fondamentale del mestiere dello storico, è la numero uno non divisibile. Rendere aderenti le testimonianze, siano esse fornite da fonti antiche o moderne o d’attualità derivate dall’ascolto di testimoni. Esclusione del falso e della menzogna! Testimoni e testimonianze, le fonti, capaci di fornire attraverso una grande varietà di evidenze fenomeniche al ricercatore un quadro d’assieme della realtà complessiva. Dimostrare pertanto che le tensioni della vita e delle esperienze si muovono, si incontrano e si scontrano sul grande teatro della esperienza umana, necessità costituita tra l’esistenza del singolo individuo e la grande arena a cui egli appartiene, con le legittimità e le attualità delle scelte operate nel pieno della vita stessa. Tra i punti che si tenta esporre in discorso, il primo, è la conoscenza storica tra passato e presente; l’osservazione storica liberata da gravami e pregiudizi; l’analisi delle fonti “vive” ossia le persone narranti testimoni anche loro malgrado se si “ascolta” attentamente la loro esposizione di fatti e contingenze, spesso raccontano o sussurrano molto di più; la sistematizzazione delle fonti nel tempo della storia, attraverso l’esperienza del mestiere di storico e, infine dare senso e spiegazione al tutto, esprimere dato che è storia e non storiografia, un giudizio e delle conclusioni. E fin qui il campo d’indagine è affine, contiguo, avanza come conoscenza del reale e marcia affianco ad altri importanti mestieri dediti all’accertamento dei fatti che hanno come oggetto di fondo lo spirito umano. Ed oggi, allo storico in più, si presenta anche la necessità del problema della previsione. Dimostrare, dunque, è il verbo di fondo che accomuna e unifica i vari mestieri che ineriscono l’indagine? Sì, dimostrare, e quindi anche saper narrare, in quanto una scienza della conoscenza ha denominatore comune a più scienze e campi d’indagine come affluenti nella direzione da imprimere verso il moto universale per acquisire conoscenza. Dimostrare anche come percorso di acquisizione di conoscenza indispensabile per collegare soggetti e oggetti in forza di causa tra di loro. Dimostrare come mestiere afferente più discipline che hanno come scopo ultimo descrivere come sono avvenute le cose. Senza pregiudizi e con imparzialità.
Ha scritto lo storico George Lachmann Mosse [1], “le percezioni degli uomini, rappresentano una metà della dialettica in corso tra le forze umane e le forze oggettive della storia”, di conseguenza, sono una parte determinate nella possibile, e spesso accade, divergenza tra realtà oggettiva e realtà percepita. I protagonisti devono dunque avere una percezione quanto più ampia e sincera possibile, come ha sottolineato il filosofo Hans-Georg Gadamer [2]: “La coscienza che noi abbiamo della situazione, è coscienza di un atto che interviene, decidendo nettamente, sulla situazione.” Allo storico spetta anche, e soprattutto, il compito di rendere intelligibile la conoscenza che egli ha fatto dei processi storici, o di una figura storica indagata dalle sue opere e avvenimenti e, per onestà della sua persona, il vero storico, è allenato a vedere per intero, perché egli deve essere un uomo intero. Il suo lavoro dovrebbe essere estraneo a preconcetti ideologici fuorvianti e non obiettivi. Solo l’informazione corretta ci può proiettare efficacemente nelle nostre azioni, nel pensare, scegliere ed agire. L’uomo intero che informa storicamente e porta agli altri, al prossimo, alla società o alla comunità, Paese o nazione a cui appartiene, una visione condivisa nei valori comuni, nel sentire la necessità dello Stato, attraverso un comune desiderio spesso consegnato anche ai miti, ai simboli, alle aspirazioni e alle percezioni di più generazioni che hanno insistito nella stessa temperie e si sono avvicendate come staffette. Se i valori non sono comuni, se il sentire e l’agire dissentono? Fino allo scontro, alla sopraffazione dell’altro da sé?
Ancora, il filosofo tedesco Gadamer [3], ci insegna che “alla conoscenza storica non interessa sapere come gli uomini, i popoli, gli Stati si svilupparono in generale, ma, invece, sapere come quest’uomo, questo popolo, questo Stato sia diventato ciò che è, come tutto ciò sia potuto accadere e sfociare qui ed ora”.
La cultura moderna ci ha trasmesso che il pensiero è come specchio della realtà. Una visione è generata per la ricerca della verità, con il metodo di porsi di fronte a se stesso come altro da sé. Volontà di conoscenza maturata nell’esperienza del rapporto soggetto-oggetto. Il soggetto si pone di fronte all’oggetto per conoscerlo. Queste certezze del pensiero riflesso dall’esistenza sono andate perdute con la globalizzazione dove l’arena delle realtà esistenti hanno moltiplicato i punti d’osservazione, e le certezze della verità sono state rimesse in gioco e spesso hanno prodotto solo retorica, vacue esortazioni o anche ammonimenti al solo fine di rinegoziare significati nel movimento generale della globalizzazione. La società, l’uomo e nell’insieme la loro ancestrale referenza sociale economica anche antropologica, i bisogni basilari sono stati omologati in bisogni di individui comuni anonimi e statistici. Attraverso l’ultimo gemito di un mondo non lontano, il mondo precedente al “Secolo breve” 1914-89, dove le certezze e i bisogni della vita sono finiti in sopravvivenza attraverso due guerre mondiali e il periodo della guerra fredda. Il secolo delle certezze e delle lotte dell’Ottocento, l’età delle “magnifiche sorti e progressive”, sono state esautorate nell’illusione della tecnocrazia del mercatismo del globalismo.
[1] G.L. MOSSE, L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, Laterza Bari, 1995.
[2] Hans-Georg GADAMER, Il problema della coscienza storica, Guida Napoli, 1988.
[3] Ibidem, p. 26.