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La Relazione Tra Cina e Italia a 700 Anni dalla Morte di Marco Polo

Un’Analisi Multidimensionale

Nel 2024, il mondo celebra il settimo centenario dalla morte di Marco Polo, una delle figure più emblematiche dell’epoca medievale. La sua figura non solo ha alimentato la curiosità e l’immaginario europeo riguardo all’Oriente, ma ha anche instaurato una relazione duratura tra due mondi, quello occidentale e quello orientale, che, sebbene così distanti, hanno avuto nel corso dei secoli scambi culturali, scientifici e, infine, economici che ne hanno modellato la storia reciproca. Questo anniversario ci invita a riflettere non solo sul percorso storico che ha visto l’Italia e la Cina interagire nel corso dei secoli, ma anche sulle implicazioni filosofiche, psicologiche, antropologiche e geopolitiche di un incontro che, pur nelle sue differenti fasi, ha segnato il nostro presente e può continuare a modellare il futuro.

Marco Polo nacque a Venezia nel 1254, in una famiglia di mercanti che lo introdussero sin da giovane al mondo del commercio e delle esplorazioni. Il suo famoso viaggio verso la Cina, durato quasi vent’anni, è stato un momento cruciale nella storia dell’esplorazione. Marco Polo, insieme al padre Niccolò e allo zio Maffeo, attraversò il Medio Oriente per arrivare alla corte di Kublai Khan, il Gran Khan dell’Impero Mongolo. Le sue esperienze furono raccolte nell’opera Il Milione, scritta in collaborazione con il cronista Rustichello da Pisa. Quest’opera, che fonde realtà e leggenda, contribuì in modo determinante a formare un’immagine esotica e affascinante della Cina, un’immagine che si sarebbe radicata nell’immaginario collettivo europeo e che ancora oggi rappresenta una delle pietre miliari della cultura occidentale riguardo all’Oriente.

Le descrizioni che Marco Polo fornì della Cina del XIII secolo portarono alla luce una civiltà incredibilmente avanzata per i parametri dell’Europa medievale. Raccontò delle meraviglie tecnologiche, come l’uso della carta moneta, che affascinarono gli europei, ma anche delle strutture amministrative e commerciali che erano decisamente più evolute rispetto alle realtà europee. La capitale di Kublai Khan, Khanbaliq (oggi Pechino), fu descritta da Polo come una metropoli straordinaria, superiore a Venezia sotto vari aspetti, tra cui l’ordine e la bellezza urbanistica. Le sue parole ebbero un effetto profondo, poiché la Cina diventò agli occhi degli europei una terra di ricchezza, mistero e potenziale, un luogo che possedeva conoscenze e tecnologie ben superiori a quelle conosciute in Occidente.

Tuttavia, se da un lato il racconto di Marco Polo alimentò il fascino per l’Oriente, dall’altro scatenò anche il dubbio e la perplessità. Molti dei suoi contemporanei, come il geografo e storico Francesco Gabrieli, sottolinearono che le sue storie talvolta sembravano troppo straordinarie per essere veritiere, e ciò portò a questionarsi sulla veridicità delle sue affermazioni. Nonostante ciò, l’opera di Polo rappresentò una delle prime occasioni in cui l’Occidente ebbe un assaggio concreto della realtà asiatica, sebbene attraverso una lente parzialmente mitizzata e idealizzata. In questa ambigua ma affascinante cornice, Marco Polo riuscì comunque a gettare le basi di una narrazione che avrebbe segnato secoli di esplorazioni e interazioni tra Oriente e Occidente.

Con l’avanzare dei secoli, i contatti tra Cina e Occidente non furono più solo occasioni di scambio commerciale, ma si arricchirono di significati intellettuali e culturali. Un esempio paradigmatico di questo cambiamento fu la figura di Matteo Ricci (1552-1610), un missionario gesuita italiano che visse e lavorò in Cina a partire dal 1582. A differenza di Marco Polo, che rimase un osservatore esterno, Ricci cercò di integrarsi nel mondo cinese, adattando la sua missione cristiana alla cultura locale. Studiò la lingua cinese e si immerse nella filosofia e nei costumi locali, praticando un approccio di “inculturazione” che cercava di conciliare il cristianesimo con il pensiero confuciano. Il suo lavoro non si limitò alla religione, ma abbracciò anche la scienza e la filosofia.

Ricci divenne una figura di fondamentale importanza nel tentativo di creare un dialogo tra Oriente e Occidente, in particolare attraverso la diffusione di idee scientifiche europee in Cina. Fu uno dei primi a introdurre in Cina il pensiero copernicano, che sfidava il modello geocentrico di Ptolomeo, una visione che ancora dominava nelle scienze cinesi. Inoltre, la sua opera Tianzhu Shiyi (La Dottrina del Signore del Cielo) cercava di stabilire un punto di incontro tra la religione cristiana e la filosofia confuciana, sostenendo che i principi morali del cristianesimo non fossero in contraddizione con quelli del confucianesimo. In questo senso, Ricci rappresenta una delle figure chiave nell’introduzione del pensiero occidentale in Cina, ponendo le basi per uno scambio intellettuale che sarebbe proseguito nei secoli successivi.

La figura di Matteo Ricci ha assunto una rilevanza tale che il suo approccio all’inculturazione è stato studiato in tutto il mondo come un esempio di integrazione armoniosa delle diverse tradizioni culturali. La sua visione del cristianesimo non come un’imposizione ma come una possibilità di dialogo, ha avuto un impatto profondo sulla diffusione di idee occidentali in Cina e ha contribuito a costruire un legame più solido tra i due mondi, basato non solo sul commercio, ma anche sul reciproco rispetto culturale.

Nel XX secolo, una figura fondamentale per l’approfondimento delle conoscenze sulla Cina fu Giuseppe Vincenzo Tucci (1894-1984), uno dei più importanti orientalisti italiani. La sua ricerca si concentrò sulle tradizioni filosofiche, spirituali e religiose dell’Oriente, con un focus particolare sul Buddhismo tibetano e cinese. Tucci, a differenza di molti altri orientalisti, non si limitò a un approccio superficiale, ma cercò di comprendere profondamente la cultura e le filosofie asiatiche. Il suo approccio comparativo e interdisciplinare lo rese una figura di riferimento per lo studio delle tradizioni orientali, e la sua capacità di cogliere le connessioni tra diverse filosofie asiatiche lo portò a sviluppare una visione più articolata e critica dell’Oriente.

Tucci non solo cercò di comprendere le tradizioni filosofiche cinesi, ma promosse anche un dialogo culturale tra l’Italia e la Cina, riconoscendo il valore del pensiero cinese in una prospettiva globale. La sua attenzione alla spiritualità e alle dimensioni intellettuali della cultura cinese lo portò a superare gli stereotipi dell’Oriente come un’entità statica e incomprensibile, ponendo invece l’accento sulla sua vivacità e profondità. L’opera di Tucci non solo ha contribuito alla diffusione della cultura cinese in Occidente, ma ha anche arricchito il pensiero occidentale, proponendo un dialogo che non si limitava alla superficie delle tradizioni ma cercava di entrare nel cuore stesso della spiritualità e della filosofia asiatica.

Il dialogo interculturale tra Cina e Italia non è mai stato un processo lineare, ma ha attraversato diverse fasi storiche e ha assunto significati sempre più complessi nel tempo. Se, nel Medioevo, le relazioni si concentravano soprattutto su scambi commerciali e sulle prime conoscenze geografiche, con il Rinascimento e i secoli successivi la curiosità per l’Oriente si trasformò in un autentico interesse per le sue tradizioni filosofiche e culturali. In questo contesto, figure come Marco Polo, Matteo Ricci e Giuseppe Tucci hanno giocato ruoli fondamentali nel costruire un ponte tra due civiltà, attraverso il commercio, la scienza, la religione e la filosofia.

L’opera di Ricci, in particolare, è da considerarsi un tentativo di creare una sintesi tra l’intelletto occidentale e quello orientale, promuovendo una visione che non fosse né imperialista né esotica, ma piuttosto rispettosa e consapevole delle differenze culturali. Il suo lavoro ha avuto una portata che va ben oltre la semplice missione religiosa, diventando un esempio di come la cultura e la filosofia possano fungere da ponti tra mondi distanti, anche quando questi sembrano inconciliabili. Ricci, con la sua visione innovativa, ha contribuito a ridurre la distanza tra Oriente e Occidente, aprendo la strada a un dialogo che, pur nei suoi limiti e nelle sue difficoltà, continua a essere di grande attualità.

A oltre sette secoli dalla morte di Marco Polo, la relazione tra Cina e Italia è più viva che mai, ma in un contesto completamente diverso. Il commercio internazionale, l’interdipendenza economica e la globalizzazione hanno fatto della Cina una potenza economica globale. Le opportunità di scambio culturale e scientifico sono più numerose che mai, grazie all’avanzamento delle tecnologie della comunicazione e all’accesso a una vasta gamma di informazioni. Tuttavia, la relazione tra i due paesi non è priva di sfide. L’Italia è una delle principali destinazioni per gli investimenti cinesi in Europa, ma le differenze politiche e ideologiche, nonché le complesse dinamiche geopolitiche, pongono interrogativi su come navigare una relazione che è, per sua natura, intrinsecamente multilivello e fluida.

Il 700° anniversario della morte di Marco Polo offre una grande occasione non solo per celebrare il passato, ma anche per riflettere su come queste due civiltà possono continuare a interagire e influenzarsi reciprocamente, in modo da affrontare le sfide del futuro con rispetto e cooperazione.

 
 
 
Veronica Socionovo

 

 
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