La riforma protestante, un’aggressione al cattolicesimo
PROTESTANTESIMO e CATTOLICESIMO
una analisi di RICCARDO PEDRIZZI*
In occasione delle celebrazioni per i 500 anni della Riforma protestante i molti articoli apparsi sui maggiori quotidiani italiani possono rappresentare l’occasione per fare una riflessione su Lutero e la sua riforma che vada al di la della polemica, che muova dalla verità storica del personaggio ed affronti l’aspetto dottrinario della questione. Questi articoli, tutti a firma di autorevoli esponenti della gerarchia cattolica, di fatto tendono a propagandare una storia che non è mai esistita con l’evidente obiettivo “politico” di creare, a posteriori, una memoria storica falsata.
Ma non basta: gli articoli a cui facciamo riferimento, non fanno il minimo cenno all’aspetto forse più interessante del “buon” Lutero: che fu un fanatico e un monaco fallito e dimostrò d’essere, all’occorrenza, anche un criminale. Infatti dopo che nel 1521 i contadini avevano inneggiato alla sua riforma, senza capirla ma solo perché era stata promessa loro giustizia sociale, poco tempo dopo gli stessi contadini, che Lutero aveva incitato alla ribellione, vennero dal loro liberatore, fatti massacrare a decine di migliaia da un capo all’altro della Germania. Il “buon” Lutero benedicendo le spade che operarono delle vere e proprie stragi, esortò infatti i principi tedeschi a scagliarsi senza pietà “contro le bande brigantesche e assassine dei contadini”. “Ammazzate – gridava – scannate, strangolate quanto potete”. Non male per un sant’uomo mite e caritatevole, come ci viene proposto negli ultimi tempi.
Ma gli articoli non sono pericolosi solo per questi falsi e queste omissioni, ma anche perché di fatto rappresentano un attacco alla Chiesa di Roma ed alla sua Dottrina sociale, in particolare al ruolo pubblico del cristianesimo.
Fu, infatti, proprio la Riforma con la teoria della predestinazione e quindi con il suo fatalismo, ad attuare la prima fase del divorzio tra la fede e le opere, iniziando un processo inarrestabile di laicizzazione delle coscienze e degli istituti giuridici, con la defenestrazione del sacerdozio dalla vita sociale e della Chiesa dallo Stato e dalla società.
In pratica il falso spiritualismo interioristico del protestantesimo, esasperando il dogma della caduta originale fino a giustificare qualsiasi errore, a ritenere inutile ogni attività benefica ed a negare, addirittura, la indispensabile cooperazione dell’uomo alla sua salvezza, sconsacra definitivamente la vita e la separa per sempre dalla fede. Nasce, così, il laicismo che avrà successivamente la sua sistemazione e la sua esaltazione nelle dottrine liberali, che dettero luogo alla Rivoluzione francese, e nella dottrina marxista, che determinò quella d’ottobre.
Affrancare l’uomo dai timori di una vita che abbia fini soprannaturali, impedendogli ogni contatto con la Trascendenza ed evitandogli ogni preoccupazione religiosa: liberare la moderna società da ogni tutela spirituale e da ogni invadenza della Chiesa, separando, secondo la più accreditata interpretazione di Macchiavelli, la politica dalla morale e dall’etica; consentire la libertà di culto, purché questo resti un fatto individuale ed intimo; mettere sullo stesso piano e considerare uguali fra loro tutte le religioni, che restano solo delle associazioni privatistiche senza alcuna rilevanza pubblica; in poche parole allontanare l’uomo da Dio, la terra dal cielo, la società dalla religione: questi sono gli scopi e la caratteristiche del laicismo. Contro il quale si era sempre battuto San Giovanni Paolo II che ci invitava a: “superare quella frattura tra vangelo e cultura che è, anche per l’Italia, il dramma della nostra epoca” ed a “por mano ad un’opera di inculturazione della fede che raggiunga e trasformi, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, le linee di pensiero e i modelli di vita, in modo che il Cristianesimo continui ad offrire, anche all’uomo della società industriale avanzata, il senso e l’orientamento dell’esistenza”. “Non abbiate paura di Cristo, non temete il ruolo anche pubblico che il Cristianesimo può svolgere per la promozione dell’uomo e per il bene dell’Italia.” aveva urlato a Loreto nel 1985.
E veniamo alla questione dottrinaria.
A parte il pretesto delle indulgenze e della corruzione (che erano, sono e saranno sempre la patologia e non la fisiologia dell’Istituzione cattolica), che Lutero utilizzò per scagliarsi contro il Papa e la Chiesa, c’era nel monaco tedesco, soprattutto, la volontà di portare l’offensiva contro i dogmi, i simboli, i miti ed i riti della Chiesa Cattolica, contro cioè le sue istituzioni sacre. Difendendo la gerarchia dell’autorità e del dogma, infatti, la Chiesa difendeva e difende il carattere trascendente della rivelazione, il principio della trascendenza della grazia nel campo dell’azione. Lutero insomma insorge contro Roma per l’insofferenza verso la sua componente gerarchico rituale: tanto che nella sua riforma, i sacramenti sono ridotti a semplici metafore, allegorie e nell’eucarestia non si rinnova il sacrificio di Cristo, neanche in forma simbolica. Il sacramento serve più che altro come una recita, mentre il momento centrale della liturgia diventa il sermone.
Ma quel che è ancora più grave nella concezione luterana è quel voler incatenare l’uomo alla triste teoria della predestinazione, al fatalismo più grigio e scettico nei riguardi delle opere, e soprattutto all’arbitrio politico attraverso il principio del civitatem et ecclesiam eadem rem esse. Non solo Lutero non mancò, nella sua predicazione, di mostrarsi come uomo del risentimento, vittima di un’immaginazione violenta ma diede mostra di un disprezzo profondo verso l’umanità: in “De servo arbitrio” il monaco paragona l’uomo a una “misera bestia da soma”, su cui “a piacere cavalcano Dio o il diavolo”, senza che lui nulla possa. E’ stato giustamente scritto che: “tutto il sistema di Lutero è condizionato visibilmente dalla equazione personale e dalla tetra interiorità del suo fondatore, di un monaco fallito, di un uomo cioè incapace di vincere la sua natura determinata dalla passionalità, dalla sensualità, dall’ira. E’ questa equazione personale che si riflette già nella singolare dottrina, secondo la quale i dieci comandamenti non sarebbero stati dati all’uomo dalla divinità per essere realizzati nella vita, ma perché egli, riconoscendo la sua impotenza a seguirli, la sua nullità, l’invincibilità della tendenza al peccato, si rimetta a Dio sperando solo nella sua grazia”. Questo è Lutero, questa la sua dottrina, questa è la vera sostanza della sua persona e della sua predicazione. Cose che oggi siamo costretti a ricordare di fronte ad una campagna propagandistica che prima di essere un insulto ai cattolici lo è alla verità storica.
* Presidente Tecnico Scientifico UCID
– Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti
NOTE A MARGINE – Gli interventi ed i “comunicati” del Senatore Riccardo Pedrizzi, che ci giungono in Redazione, vengono frequentemente pubblicati sulla Consul Press, sia perché di specifico interesse, sia perché apprezzati nei contenuti. Questo suo ultimo articolo, però, mi ha personalmente un po’ “spiazzato”… non essendo io a conoscenza di certi aspetti del Buon Lutero, così come definito e presentato dall’Autore, con cui ritengo essere in otttimi rapporti di cordiale amicizia, anche per una condivisione di affinità elettive. Infatti il Sen. Pedrizzi, con un dna decisamente identitario e tradizionalista – a seguito di un proprio percorso culturale e partendo forse dalla religiosità di Julius Evola – è riuscito a divenire un profondo conoscitore ed estimatore della Dottrina Sociale della Chiesa, sempre da egli stesso elogiata anche come responsabile nei (tempi di A.N.) della “Consulta Etico-Religiosa”. Io personalmente mi definisco un “Cattolico Ghibellino” (con notevoli simpatie per la religione della “Antica Roma” Repubblicana ed Imperiale) e ritengo che alcuni Pontefici di Santa Romana Chiesa non si siano comportati molto meglio del “Buon Lutero“. Un Pontefice che ha sempre colpito la mia ammirazione è stato Giulio II della Rovere, già a suo tempo un avversario dello Ius Soli e contesto tutti coloro che parlano di “radici giudaico-cristiane” per l’ Europa, ritenendole invece a mio giudizio “Cristiane” e “Pagane”, in quanto collegabili alla Civiltà di Atene e di Roma. Sarebbe pertanto auspicabile proporre accademicamente una “Tavola Rotonda”, con la partecipazione di più “voci” per un confronto a tutto campo, ove contestare certi aspetti del “pensiero unico dominante” e del “politicamente corretto”, oltre ad un deleterio buonismo fasullo e ad un perdonismo eccessivo. (G.M.)