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La storia di Onesimo

La lettera a Filemone è la più breve missiva di San Paolo scritta probabilmente intorno al 60 d.C. mentre l’autore si trovava in una prigione romana. Tra tutte le epistole paoline è particolare perché è una lettera personale, cioè scritta non ufficialmente a una chiesa ma a un singolo cristiano, con cui privatamente si affronta uno specifico problema. Filemone, il destinatario della missiva di Paolo, era un ricco cittadino di Colossi che si era convertito al cristianesimo ascoltando la predicazione di Paolo a Efeso. Colossi era una città piuttosto piccola dell’entroterra della Frigia, che oggi si chiama Turchia, sulla strada che collegava Efeso alla Palestina. Nel corso dei secoli la città poi decadde e nel Medioevo era praticamente sparita a causa di un terremoto. Efeso invece era importante, capitale della provincia romana dell’Asia Minore godeva di un glorioso passato. A Efeso era nato il famoso filosofo greco Eraclito, quello del “tutto scorre”. Paolo aveva fondato delle comunità cristiane nella città e alcuni abitanti di Colossi erano presenti alla sua predicazione. Tra questi Filemone, Epafra, Arpfia e Archippo, figlio di Filemone. Questi hanno poi, a loro volta, fondato la comunità cristiana di Colossi e Epafra sembra sia stato il primo vescovo. La lettera di san Paolo riguarda Onesimo, che era schiavo di Filemone. Egli, a un certo punto, decide di fuggire dal suo padrone dopo averlo derubato. La sua fuga lo aveva condotto a Roma dove Paolo, in quel momento, si trovava agli arresti domiciliari in attesa di essere giudicato dall’Imperatore, come racconta Luca negli Atti degli Apostoli. In quale modo Onesimo si imbatté in Paolo non si sa, ma il fatto è che i due si incontrarono e, dai colloqui che ne seguirono, Onesimo si convertì al cristianesimo e iniziò a collaborare con Paolo nell’apostolato. La fuga di uno schiavo dal suo padrone era considerata un fatto molto grave dalla legge di allora. Il reato veniva punito con condanne molto dure. Per noi pensare alla schiavitù è completamente fuori dal concepibile, ma quello che ci sembra una mostruosità era allora perfettamente normale. Secondo la legislazione romana del I secolo, lo schiavo era completamente in balìa degli umori del suo padrone. Giuridicamente non era una persona ma un oggetto del quale si poteva disporre liberamente. Essendo collocato sullo stesso piano degli animali domestici e degli arnesi da lavoro non era preso in considerazione dal diritto civile. Una famiglia romana di medio censo poteva avere fino a due o tre schiavi, una persona ricca del I secolo ne poteva avere fino a diverse decine. In pratica, la qualità della vita di uno schiavo dipendeva moltissimo dalla disposizione del padrone: chi ne aveva uno crudele poteva subire una serie infinita di cattiverie, ma uno buono e generoso poteva rendere la vita tollerabile e perfino piacevole. Paolo sapeva che lo schiavo fuggitivo Onesimo doveva tornare al suo legittimo proprietario ma era cosciente dei rischi che correva nel dover rispettare la legge. Tuttavia la nuova vita cristiana di Onesimo non poteva prescindere dalla riconciliazione con Filemone. Per questo motivo Paolo si decise a scrivere una lettera a Filemone nella quale si rivolge anche alla moglie Affia e al figlio Archippo e alla Chiesa che chiesa domestica di Filemone. Paolo chiedeva di accogliere e perdonare Onesimo e di trattarlo come fratello in forza della comune fede che ormai unisce Onesimo a entrambi. La lettera fu portata a Filemone dallo stesso Onesimo e da Tichico, che era un collaboratore di Paolo. Essi consegnarono l’epistola insieme alla più famosa lettera ai Colossesi. Proprio in quest’ultima ci viene rivelato che Onesimo effettivamente ritorna a casa da Filemone (capitolo 4, versetto 7-9 dove Paolo scrive: “Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tichico, il caro fratello e ministro fedele, mio compagno nel servizio del Signore, che io mando a voi, perché conosciate le nostre condizioni e perché rechi conforto ai vostri cuori. Con lui verrà anche Onesimoil fedele e caro fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno di tutte le cose di qui“). La lettera non ci spiega perché Onesimo si trovasse con Paolo a Roma a più di mille chilometri da Colossi. Soprattutto nulla ci dice su quello che gli successe veramente dopo il suo rientro a casa. Se Filemone lo ha accolto con amore in obbedienza a Paolo, o se è prevalso in lui il suo diritto di padrone derubato. Forse non sarà stato punito a norma di legge romana, ma quale è stata la sua vita dopo il suo rientro? Ovviamente la domanda non ha senso dato che la lettera non ne parla. A me piace pensare a quello che passava per la mente di Onesimo nel corso delle sue avventure e immaginare la sua vita dopo il rientro. Mi piace immedesimarmi in lui prima della fuga, nelle sue sofferenze del tutto immeritate. Poi mi piace vivere con lui la sua fuga avventurosa e disperata in cui si gioca il tutto per tutto pur di non vivere con profilo cosi basso. Sento di fare il tifo per lui nel momento esaltante della fuga. Dopo la fuga avrebbe potuto pensare a un taglio netto e a una nuova vita inventandosi un nome nuovo e una reputazione tutta da costruire. Avrebbe potuto riprendersi quello che la vita gli aveva ingiustamente negato fino a quel momento. Ma lui ha voluto altro: mettersi alla ricerca di qualcosa o qualcuno che gli consentisse di saldare il nuovo col vecchio, senza mai tornare alla condizione di schiavo, ma in modo che nulla della sua vita andasse perduto. Forse quello che veramente voleva era di non rinnegare nulla della sua storia ma recuperare ogni cosa in un modo nuovo e soddisfacente. Imbattersi nella figura di Paolo deve essere stato risolutivo e fidarsi di lui e tornare indietro, sapendo quello che rischiava, non deve essere stato facile. Onesimo rappresenta una tipologia di uomo molto generale e le sue vicende si adattano bene a quelle di qualunque persona, anche della nostra epoca. Egli anela la libertà ma si sottomette a una legge superiore. Tutti possiamo sentirci un po’ Onesimo. Chi non si è sentito qualche volta schiavo di una vita troppo stretta, del lavoro o del matrimonio? Chi non ha qualche volta trasgredito per alleviare le sue sofferenze o ha covato un sogno di libertà da una società talvolta ingiusta fatta di convenzioni inutili e noiose e detestato l’ipocrisia o l’arroganza dei più furbi? Ma oltre la fuga e la trasgressione egli ha anche fatto esperienze che lo hanno rinnovato e maturato, ha conosciuto Paolo ed è entrato nella problematica di doversi riconciliare con Filemone in una realtà lontana e difficile. Probabilmente tutta questa difficoltà lo ha condotto a essere se stesso e a sentirsi diverso e forse libero anche nella casa dalla quale era fuggito.

Nicola Sparvieri

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