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L’amicizia tra l’uomo e il cane

Le prime testimonianze della storia dell’amicizia tra l’uomo e il cane risalgono al periodo del neolitico, a più di 10.000 anni fa: reperti archeologici in Giordania testimoniano l’uso che gli esseri umani facevano dei cani, per la caccia e per il controllo del bestiame. È probabile che gli uomini avessero cominciato ad accogliere lupi singoli che approfittavano della compagnia umana per reperire cibo più facilmente e riparo, in cambio di un loro ruolo come protezione dagli altri predatori. Col passare del tempo l’accoglienza all’interno dell’insediamento, segnò l’avvio del processo di addomesticamento.

La ragione di questa amicizia è biologica e starebbe nell’aumento della produzione di ossitocina da parte dei cani quando vivono nelle comunità umane: il livello di questo neurotrasmettitore cresce nei momenti di tempo che l’uomo trascorre insieme al cane, soprattutto nella fase delle coccole. Sembrerebbe quindi che la predisposizione dei cani all’interazione con gli uomini si debba molto alla genetica oltre che all’addestramento e agli altri fattori ambientali.

Quindi il progenitore del cane è il lupo: il primo deriverebbe dal cambiamento genetico nel secondo, avvenuto grazie alla vicinanza all’uomo. E nel corso dei secoli i cani hanno progressivamente modificato i loro geni sviluppando comportamenti sociali simili a quelli umani.

Accanto all’originaria funzione dei cani come protezione da altri predatori, si andò formando il loro utilizzo come animali da soma per l’agricoltura e per la caccia.

A questi ruoli si aggiunsero poi quelli di guida, di accompagnamento, di salvavita e anche di terapia; intorno al 1950 lo psicologo Boris Levinson scoprì che un bambino autistico da lui curato interagiva in modo positivo quando durante la terapia il medico portava con sé il suo cane.

Per quanto riguarda l’aspetto dei cani, prima dell’Ottocento non aveva particolare importanza; in seguito, soprattutto gli esponenti dell’alta società, cominciarono ad avere in gran conto l’apparenza e la forma dei loro cani. Ebbero inizio in questo periodo i tentativi di incroci che portarono a molte delle razze attuali.

I cani venivano selezionati in base alla loro docilità, poi per determinate funzioni e infine venivano fatti deliberatamente accoppiare con dei loro simili per ottenere una certa caratteristica fisica.

Oggi essi hanno una competenza sociale sofisticata perché capiscono come unirsi e adattarsi alla comunità di un’altra specie: padroneggiano abilità complesse come generare attaccamento, seguire le regole, controllare l’aggressività, fornire assistenza e partecipare alle attività della comunità. Questa competenza i cani l’hanno sviluppata nel corso di secoli di addomesticazione, processo che ha comportato anche modifiche significative nei loro geni, selezionando componenti genetiche a supporto dello sviluppo delle competenze sociali simili alle umane.

Oltre alla capacità di collaborare con gli uomini, interagiscono emotivamente: provano un amore incondizionato verso il padrone che considerano un benefattore, ricevendone cibo, protezione e cure sanitarie. L’uomo e il cane godono della reciproca compagnia e si supportano nelle situazioni pericolose. La relazione tra l’uomo e il cane presenta alcuni tratti della relazione di attaccamento tra madri e figli: una componente cruciale della loro competenza sociale è proprio l’abilità di creare attaccamento. In tempi recenti sono stati fatti diversi esperimenti per provare questa tesi. Il più interessante è forse quello del comportamentista animale Jòzey Topàl che coinvolse una cinquantina di proprietari di cani con i loro animali. Esseri umani e cani venivano chiusi in una stanza per giocare insieme, inizialmente loro due soli, poi con un gioco offerto dal proprietario. Dopo un certo tempo l’essere umano usciva lasciando il cane solo o in compagnia di un estraneo. Molti cani si comportavano come i bambini: quando i proprietari erano presenti i cani gli stavano vicino e giocavano con loro. Giocavano di meno con gli sconosciuti e molti smettevano di giocare con l’estraneo quando il proprietario si allontanava dalla stanza.  Questa preferenza è stata interpretata come un’indicazione che il cane considera il proprietario un riferimento sicuro in caso di potenziale pericolo.

Altro interessante esperimento per capire la capacità di attaccamento è stato lo studio comparativo tra giovani cani e lupi. In questo studio 13 lupi e 11 cani sono stati separati dalla madre a pochi giorni dalla nascita e sono stati cresciuti da un essere umano fino all’età di 4 mesi. Dopodiché è stato riproposto il test della stanza con il gioco e la presenza di un estraneo.  I lupi non hanno mostrato differenze di comportamento se era presente il proprietario o un estraneo, nonostante avessero avuto la stessa esperienza sociale dei cani; solo i cani usavano il proprietario come “base sicura”.

Le relazioni di attaccamento uomo-cane possono essere di tipo insicuro come quelle tra genitori e bambini. Se i proprietari sono anaffettivi, i loro cani sono propensi a sviluppare ansia da separazione: abbaiano quando vengono lasciati soli, tendono a scappare, distruggono quello che possono e fanno i propri bisogni in casa.

In genere quando lasciati soli dai propri umani, i cani rimangono vicino al posto che i loro padroni occupano usualmente. Al contrario i cani che manifestano ansia da separazione, non hanno particolare predilezione per gli oggetti toccati o dimenticati dai proprietari. I ricercatori hanno concluso che questi ultimi potrebbero avere problemi nell’associare i proprietari con la loro casa o con gli oggetti personali, così quando questi se ne vanno, manifestano insicurezza.

L’ansia nei cani è quindi relazionata alla personalità di chi se ne prende cura, proprio come accade nella relazione tra i bambini e le figure adulte di riferimento quando i primi manifestano ansia da separazione: i proprietari che manifestano maggiori livelli di evitamento nelle proprie relazioni di attaccamento, tendono ad avere cani con più alti livelli di ansia da separazione.

Da quanto evidenziato sino ad ora emerge che i cani sono molto empatici: possono esprimere le loro emozioni con sguardi e vocalizzazioni e possono reagire alle sfumature emotive dei suoni emessi dall’uomo. Questa loro empatia gli consente di armonizzare i propri bisogni alla vita familiare, seguendone le regole imparate attraverso l’osservazione. Addirittura se maltrattati, dimostrano sintomi psicologici simili a quelli che dimostrano i bambini per il medesimo disagio.

C’è da chiedersi se l’emozione che il cane prova ha lo stesso significato che intende l’essere umano.

Si è visto che l’ascolto di un bambino che piange aumenta i livelli di cortisolo presente nel sangue del cane, provocandone stress; ma più che di vera e propria empatia si è appurato che il pianto umano è simile alle vocalizzazioni di sofferenza dei mammiferi, cani inclusi, ed evoca in loro sofferenza.

Comunque, la relazione degli uomini con i cani è senza dubbio positiva; oggi sono diventati parte di una famiglia. Sono animali che aiutano a combattere la solitudine e l’isolamento di molte persone anziane, delle persone malate. Contribuiscono a ridurre i sintomi della depressione, dell’ansia, dando uno scopo e dando l’occasione di avere abitudini di vita più salutari: la regolarità della routine quotidiana, l’esercizio fisico, qualcuno di cui avere cura…In ultimo, le coccole che si riservano al cane, fanno rilasciare al corpo l’ossitocina, ormone associato alla felicità che crea tra l’altro anche affetto e legami più forti.

Veronica Tulli

Foto © 24zampe-Il Sole 24 Ore

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