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L’antifascismo non digerisce la sua sconfitta

VAE  VICTIS

________________di FRANCO D’EMILIO 

Davvero testarda la sinistra a non riconoscere come l’antifascismo, aspro, ideologicamente fazioso e incline all’odio, sia stato pesantemente sconfitto alle ultime elezioni politiche dalla destra di Fratelli d’Italia, partito sicuramente, anche se solo in parte, in continuità ideale e storica con il neofascismo del Movimento Sociale e, più alla lontana, con il fascismo del Ventennio.
Perché negare tutto questo? Un’ampia maggioranza di elettori andati al voto ha detto no all’antifascismo; dunque, ha estirpato con la propria scelta la pregiudiziale vincolante che il voto dovesse innanzitutto risultare antifascista ovvero barriera contro la destra, dura e pura.

Per quasi ottanta anni la sinistra ha speculato sull’antifascismo, parassitando e condizionando la politica italiana: ora, questo antifascismo riottoso, sempre più fragile nelle sue motivazioni ideologiche, soprattutto presso le nuove generazioni, si è sbriciolato, come giustamente meritava, ormai, la caducità della sua presenza anacronistica.

                                                       

Sconfitta storicamente e politicamente pesante che segna la fine definitiva di quel trasformismo nel tempo con il quale la sinistra le ha provate tutte per andare al governo del paese: dall’esperienza del Fronte Popolare del 1948 al tentativo, altrettanto misero, di condizionare i governi con la gestione padronale delle regioni rosse; dalla complicità dei socialisti per il centrosinistra del 1963, grimaldello per un futuro avvento del PCI, alla manipolazione e al monopolio comunista della protesta del nostro ’68; dall’equivoco “compromesso storico” di Moro e Berlinguer, per fortuna andato a rotoli, allo scioglimento penoso e maldestro del PCI in tre successivi tentativi, anch’essi, grazie al cielo, a puttana, di trasformarsi in una vera forza progressista; dal falso ecumenismo dell’ammucchiata veltroniana con i sopravvissuti dei vecchi partiti di centrosinistra della Prima Repubblica alla recente, ostinata partecipazione a governi di coalizione, destra con la sinistra, tranne Fratelli d’Italia.

                                                 

Tutte le hanno provate i comunisti e i loro successori: forse, lo dirà l’indagine storica, anche con rapporti di contiguità col terrorismo rosso brigatista, quello che, non dimentichiamolo, veniva definito da importanti esponenti del PCI quale fenomeno di “compagni che sbagliano”.
Certo, l’ultimo voto delle politiche, pure confermato da quello di recentissime amministrative regionali, ha manifestato sia la protesta dei ceti popolari che quella del ceto medio, ma non può sottovalutarsi quanto il voto che ha premiato Fratelli d’Italia abbia confermato la schietta, univoca espressione di un sistema, ora sì, bipolare, solo tra destra e sinistra.
Basta con l’ambiguità di un centro politico, fra l’altro inesistente, ago della bilancia, addirittura comune denominatore tra centrodestra e centrosinistra. L’antifascismo tutto, da quello più radicale e nostalgico postcomunista a quello più contenuto, cattolico o liberalsocialista, è durato ed ha campato sul filo di un lungo, calcolato, molto interessato disegno di sopravvivenza, quindi con idealità sempre più inconsistenti rispetto a sfacciate finalità strumentali di potere. E, quando, un’idea, non esclusa, perciò, quella dell’antifascismo, si indebolisce, allora non resta che imporla dogmaticamente a vanvera.

                                                     

Così, alla segretaria apolide del Partito democratico, Elly Schlein, che rivendica a torto l’antifascismo come fermento esclusivo della nostra Costituzione, consiglio la disamina degli articoli costituzionali nell’esposizione del professor Gioacchino La Rocca, ordinario di diritto civile all’Università di Milano Bicocca: soprattutto, nei rapporti economici la nostra Costituzione recepisce appieno l’esperienza della vita economica del Ventennio.
Così, al senatore Graziano Delrio, ex di tanto e uomo per tutte le stagioni politiche possibili, che sostiene l’antifascismo costituzionale, comunque, presente nella disposizione transitoria contro la ricostituzione del disciolto Partito Nazionale Fascista, faccio presente che una cosa è la sorte di un movimento politico, quale il PNF, altra cosa, piaccia o no, è la vita o sopravvivenza di un’idea politica, quindi anche di quella fascista. Possiamo e/o dobbiamo fermare le idee? Non ha, poi, tanto torto il Presidente del Senato nell’asserire che anche solo la parola antifascismo non figura nella formulazione della Costituzione.

                                   

Fra l’altro, la leader di FdI, Giorgia Meloni ha, pubblicamente e più volte, preso le distanze dal Fascismo e dai suoi orrori, quindi dalla guerra, le leggi razziali, la sua crescente natura dittatoriale: perché, allora, esigere da lei l’esplicita dichiarazione aggiuntiva “sono antifascista”? La presidente Meloni è di destra radicale, in parte erede dell’idealità fasciste; perciò, sarebbe incoerente ed equivoca a tradire questo retaggio: eppure, la sinistra sconfitta pretende di esercitare su Fratelli d’Italia quella costrizione che, da vincitrice e oltre ogni misura, ha esercitato per quasi ottanta anni contro la destra radicale postfascista, ritenuta solo degna di fogne o di uccisione, tanto “mandare a morte un fascista non era un reato”. Adesso, la sinistra è vinta, deve calarsi in questo ruolo, magari impegnarsi nell’opposizione per tornare al governo, ma non può assolutamente permettersi di condizionare l’esito democratico del voto con la pretesa di una vincolante dichiarazione di antifascismo da parte di chi legittimamente governa. Una volta per tutte, la sinistra si convinca: è finito il tempo di far da padroni in casa altrui.

L’amara verità dalla quale rifugge la sinistra è una sola: lo spirito, l’idealità, il pragmatismo identitario delle radici fasciste, pur mutati e segnati dagli sbagli del passato, sono tornati rinnovati ed hanno vinto il conservatorismo, patetico e parassitario, dell’antifascismo. Sic et simpliciter!

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Franco D'Emilio

Storico, narratore, una lunga carriera da funzionario tecnico scientifico nell'Amministrazione del Ministero per i beni e le atiività culturali