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Le “M” forti dell’Europa… Macron, Merkel, Minniti

La pantomima dei …. MUSCOLI FINTI

Oltre una settimana fa è andato in onda nel telegiornale della sera uno spezzone di intervento del Ministro dell’Interno Minniti, elogiato nella presentazione per aver osato decidere una cosa mai fatta prima, e cioè aver ordinato l’inversione di rotta del volo che lo portava a Washington, per tornare in Italia allarmato dall’aggravamento della crisi delle ondate di immigrati (quasi 11.000 in un solo giorno).

Chi abbia avuto l’occasione di vedere quei 30 secondi di trasmissione in cui Minniti, faceva la voce grossa, avrà creduto di trovarsi finalmente di fronte ad un ministro molto più competente rispetto alla nullità di Alfano, che si faceva rapire sotto il naso la Shalabayeva, un ministro tosto che sa farsi rispettare, che intende salvare l’onore del paese, garantire la pace sociale e disinnescare qualsiasi rigurgito razziale.

Il tono abbastanza aggressivo, la fronte aggrottata, le vene del collo gonfie, gli occhi spiritati, le mani gesticolanti rivolte agli astanti, come se questi fossero i responsabili dell’invasione, hanno fatto credere che la cosa annunciata fosse già fatta o in procinto di esserlo. Un coro di approvazione serpeggiava per tutto il paese e le redazioni dei giornali si affrettavano a titolare le prime pagine con parole forti e retoriche sulla difesa della patria e dell’italianità, contro un’invasione tollerata dall’Europa inconcludente e chiacchierona che ripeteva il refrain “sbrigatevela da soli”.

L’Italia si comportava da paese indipendente e serio bloccando i porti e impedendo alle navi straniere l’attracco e lo scarico di migliaia di emigranti. Insomma si è avuta l’impressione che l’Italia fosse tornata a giocare un ruolo attivo nella politica internazionale. E invece no. E’ stata la solita pantomima dei muscoli finti alla mozzarella: dalle frasi ad effetto non è scaturito nessun effetto concreto.

Dal colle, dal Nazareno e da oltre Tevere sono arrivati i primi distinguo, i richiami al diritto internazionale, alla solidarietà umana, alla civiltà dell’accoglienza, tanto che la questione è stata derubricata come oggetto di informativa nella prossima riunione dei ministri dell’Interno europei del 7 luglio a Tallinn. Ci siamo fatti dare una lezione dall’Estonia, paese non facilmente rintracciabile a prima vista sulla carta geografica, presidente di turno dell’Unione europea che anticipa per bocca del suo ministro dell’interno che dall’incontro non verrà alcuna decisione, ma ci si limiterà ad ascoltare la posizione italiana. Capito?

Come se non bastasse anche l’affrettato incontro a tre con Macron e Merkel è stato un’altra porta sbattuta in faccia a Gentiloni che si deve tenere in casa tutti i migranti economici, mentre Austria e Svizzera, tanto per cautelarsi, hanno già annunciato che sono pronte a schierare blindati e militari ai confini.

Ma al popolo italiano viene spiegato il perché le navi di paesi non mediterranei scarichino a getto continuo nei nostri porti, con i centri di raccolta ormai al collasso, decine di migliaia di migranti raccolti in mare? Perché il numero dei barconi e natanti di fortuna messi in acqua dai mercanti di carne umana sia incredibilmente aumentato? Perché il fenomeno, dopo anni in cui è stato considerato un’emergenza non venga affrontato come una crisi sistemica con mezzi più radicali? Chi è il responsabile di questa inarrestabile disastrosa invasione, dell’incommensurabile arricchimento di mafiosi e banditi, più efferati dei pirati e del drenaggio di risorse che dovrebbero essere destinate ai poveri italiani?

Per dare una risposta a questi interrogativi è necessario fare qualche passo indietro, partendo dalle origini del problema e individuare le coordinate politiche entro cui esso ha prosperato a danno dell’Italia.

Il colonnello Gheddafi sin dall’inizio del 2000 aveva intuito che poteva condizionare il nostro atteggiamento e la nostra politica estera ricorrendo ad uno strumento molto più convincente del sistematico sequestro di qualche peschereccio: la minaccia dell’immigrazione selvaggia, utilizzata come pistola puntata alla tempia quale strumento per ricattarci, per ottenere soldi e concessioni politiche e per riaffermare di fronte al mondo la sua capacità di tenerci sulla corda, arrivando persino allo sfizio dell’umiliazione pubblica di Berlusconi chinato a baciargli la mano e di riceverlo poi a Roma con tutti gli onori e con le più alte cariche civili e militari sprofondate in salamelecchi.

Il Governo Berlusconi aveva anche pensato di disciplinare l’immigrazione e  di garantirsi da flussi indesiderati con la più stupida delle leggi (nota come legge Bossi-Fini n. 189/2002), che istituiva il reato di immigrazione clandestina. Risultato: le Procure e i Tribunali d’Italia furono sommersi, a rischio di paralisi, per l’obbligatorietà dei processi imbastiti a vuoto contro gli immigrati irregolari che potevano fare ricorso e restare per anni senza che fossero espulsi. E quando finalmente, esperiti i tre gradi di giudizio, veniva emesso il foglio di espulsione, questo veniva semplicemente ignorato.

L’anno successivo (2003), il consiglio europeo, sotto presidenza irlandese, vedendo all’orizzonte i possibili pericoli di un afflusso di migranti approvò all’unanimità il cosiddetto Regolamento di Dublino che istituiva la banca dati europea delle impronte digitali degli immigrati clandestini e sanciva in modo inequivocabile che il primo paese, frontiera di ingresso del profugo nell’Unione Europea, era ritenuto responsabile e competente ad effettuare il riconoscimento di ogni profugo, ad esaminarne la domanda di asilo per la concessione (dopo parecchi mesi) dello status di rifugiato politico con tutti i seguiti del caso.

Non saprei dire quanti in Italia tra Ministri, deputati, senatori, grandi burocrati avessero capito le conseguenze di quel regolamento. Certamente pochi, che comunque ne sottovalutarono colpevolmente la portata.

Quell’accordo internazionale, tutt’ora vigente con qualche modifica marginale, a chi faceva comodo e perché fu adottato senza obiezioni dall’Italia la cui diplomazia, usa a inchinarsi al ministro di turno (a quell’epoca era Frattini, definito “il postino” dalla stampa americana) non avvertì il Governo, composto di incapaci, e il Parlamento popolato da inetti, che aderendo a scatola chiusa l’Italia si sarebbe messa da sola il cappio al collo autocondannandosi a subirne tutte le nefaste conseguenze?

Possibile che ci si ritenesse blindati dagli accordi con Gheddafi e non si considerasse che l’Italia, piazzata come era in mezzo al Mediterraneo, fosse stata vista sin dai tempi di Cartagine, e poi dei saraceni, come il posto ideale di primo attracco dove le regole valgono fino ad un certo punto, dove il clima è temperato, dove la gente è normalmente ospitale e solidale, dove si mangia alla grande, dove ci si mimetizza facilmente e si riesce a sbarcare il lunario con lavori in nero?

Approdare a Lampedusa, o in Sicilia, o in Calabria è sempre stato per gli africani un sogno, e per i trafficanti della disperazione un bancomat di molte centinaia di milioni di euro all’anno che noi non siamo stati capaci di interrompere, e che anzi abbiamo addossato sulle spalle e sulle tasse dei nostri cittadini.

Doveva essere chiaro che il fenomeno dell’immigrazione era diventato un problema epocale cronico e non poteva più essere considerato come un evento eccezionale, tipo pioggia torrenziale destinata ad esaurirsi dopo un certo periodo per lasciare spazio al sereno.

Subito dopo il regolamento di Dublino il Consiglio Europeo ne adottò un altro (CE n. 2007/2004) che prevedeva la creazione di un’agenzia europea chiamata Frontex, dedicata alla sorveglianza della frontiera esterna europea (ripeto europea) aerea, marittima e terrestre stabilendone il centro operativo a Varsavia, in Polonia.

Già l’individuazione della sede dell’agenzia dimostrava anche ai ciechi e ai sordi che lo scopo non era il controllo del Mediterraneo, ma dei confini aerei e terrestri dell’Europa centrale, a difesa degli interessi tedeschi. Eppure il nostro Governo non sollevò alcuna obiezione a questa ulteriore presa in giro.

L’operatività dell’agenzia, iniziata con un anno di ritardo (3 ottobre 2005), poteva contare su uno stanziamento europeo assolutamente ridicolo di appena 35 milioni di euro. Il fondo fu  raddoppiato nel 2008 a 70 milioni di euro, con la riserva che 31 milioni fossero destinati soltanto alle missioni di pattugliamento delle frontiere marittime. A questo punto si sarebbe potuto fare come italiani un sospiro di sollievo ed invece dovettero trattenere la rabbia perché quel pattugliamento non si riferiva solo al Mediterraneo ma anche all’Oceano Atlantico. Ripeto Oceano Atlantico, a vantaggio di chi se non Portogallo, Spagna, Francia e Inghilterra?. E anche qui il Governo italiano fu inopinatamente acquiescente.

Nel 2006, poiché gli sbarchi avevano ripreso un ritmo costante, nonostante gli accordi con Gheddafi e le sovvenzioni alla sua marina, sempre per gettare fumo negli occhi alla petulanza italiana, fu varata l’operazione europea Nautilus di pattugliamento congiunto anti immigrazione, coordinata da Frontex, con la partecipazione di uomini e mezzi di cinque paesi (Italia, Malta, Francia, Grecia e Germania) cui si aggiunsero successivamente Spagna e Portogallo. Le regole d’ingaggio prevedevano che i migranti e i rifugiati intercettati e soccorsi all’interno delle acque territoriali maltesi o italiane sarebbero stati accompagnati verso i porti di Malta e di Lampedusa. In realtà furono tutti sbarcati in Italia.

Quando nel 2011 sembrava che con le buone o con le cattive il flusso fosse stato contenuto entro limiti sopportabili, Francia, Inghilterra e Stati Uniti scatenarono un’insensata guerra a Gheddafi di cui non erano chiari gli obiettivi, che ha portato al completo disfacimento della nostra ex colonia. Guerra alla quale abbiamo aderito come servi sciocchi nel timore di vedere bombardati i terminali petroliferi dell’ENI, nonostante l’esistenza del trattato di amicizia e cooperazione militare con la Libia. Non ponemmo alcuna condizione. Accettammo di fungere da portaerei alleata senza alcuna analisi a livello politico, militare, strategico, di intelligence delle nefaste conseguenze per gli interessi nazionali, né il Parlamento, che aveva votato per riconoscere che Ruby era la nipote di Mubarak, seppe scuotere dall’abulia Berlusconi, sempre più invischiato in feste e festini (ricevimento a Casoria della minorenne Noemi Letizia, viaggio al vertice del G8 di Toronto accompagnato dalla dama bianca Federica Gagliardi che verrà poi arrestata per traffico internazionale di droga, ecc.) o resistere alla spinta bellica di Napolitano.

Dalla morte di Gheddafi e dallo sfacelo della Libia è iniziato un quotidiano pauroso drenaggio delle nostre risorse per sostenere l’impatto di un afflusso continuo e caotico di migranti che abbandonavano il continente africano in cerca di una vita migliore, con la attiva complicità se non addirittura la regia di ex apparati dello stato libico ed ex poliziotti di Gheddafi ben noti ai nostri Servizi.

Il più grave naufragio dell’immigrazione avvenuto il 3 ottobre 2013, in cui perirono 386 migranti per l’affondamento di un grosso barcone libico dal quale si salvarono solo 155 superstiti, scatenò un’ondata emotiva  che fece piangere a tanti papaveri italiani ed europei lacrime di coccodrillo. Scosso da quel tragico evento il governo Letta decise di rafforzare il dispositivo nazionale per il pattugliamento delle acque italiane del Canale di Sicilia. Fu così imbastita un’altra operazione “Mare nostrum”, consistente in un corposo potenziamento dei controlli con due obiettivi: garantire la salvaguardia della vita in mare e assicurare alla giustizia coloro che lucravano sul traffico illegale di migranti. Non un piano serio sull’organizzazione del sistema di accoglienza dei naufraghi, sulla loro ripartizione in Europa, sul reperimento di strutture temporanee adeguate, sulla macchina operativa per il riconoscimento dello status di profugo, sull’avviamento al lavoro socialmente utile o sul respingimento di chi non aveva quel titolo.

All’operazione partecipavano personale e mezzi della Marina (su cui erano imbarcati funzionari di polizia degli uffici immigrazione per l’identificazione prima dello sbarco e personale medico per i controlli sanitari), dell’Aeronautica, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Capitaneria di Porto (una nave anfibia, due pattugliatori due fregate, elicotteri, aerei da ricognizione, e droni che potevano rilevare i movimenti dai porti di partenza dei barconi, consentendo alle unità di superficie di intercettarli appena fuori dalle acque territoriali libiche).

Ad un anno di operatività il Ministro dell’interno Alfano, trionfante come un gallo nel pollaio, vantava alla Camera il merito dell’Italia di avere salvato con Mare nostrum circa 100 mila migranti di cui 9 mila minorenni, arrestato 500 scafisti (cifra largamente esagerata e non veritiera) e sequestrate 3 navi madri, ma non fece alcun accenno né alle operazioni di contrasto sulla fornitura agli scafisti dei gommoni, motori e salvagente anche di fabbricazione italiana, né alle condizioni di degrado in cui venivano tenuti nei nostri centri di raccolta i migranti, al 95% subsahariani, che finivano per squagliarsela e bivaccare poi nelle stazioni ferroviarie e nei parchi delle città italiane.

Mare nostrum, si rivelò un’operazione troppo costosa (9 milioni di euro al mese) e fu ritenuta insopportabile per il bilancio dell’Italia dalla ministra della difesa Pinotti e dal Governo Renzi, che preferivano invece svenarsi con l’acquisto degli F35 e con il ripetuto finanziamento delle missioni militari italiane all’estero a partire da quella in Afghanistan.

La Commissione europea accogliendo parzialmente le incessanti richieste italiane di europeizzare quell’intervento, decise di sostituire l’operazione Mare nostrum con l’ennesimo nuovo strumento comunitario farlocco, l’operazione Triton, che agiva sotto l’egida di Frontex, stabilendo l’area di operatività fino a 30 miglia dalle coste italiane senza però provvedere al soccorso che sarebbe rimasto affidato all’Italia.

A Triton, finanziata dall’Unione europea con appena 2,9 milioni di euro al mese, cioè un terzo del costo di Mare nostrum, avrebbero dovuto partecipare tutti i paesi europei ma di fatto solo una quindicina di essi inviarono mezzi navali. Con questa misura il governo Renzi credeva di essersi tolto di dosso il peso economico del pattugliamento marittimo ma non si rese conto che sarebbe cresciuto quello della ricezione dei migranti che venivano prelevati in mare in numero sempre maggiore e scaricati solo in Italia: da quando Triton è entrato in vigore sono sbarcati nel nostro Paese ben 413.000 migranti, in gran parte finiti sbandati ad ingrossare le file del caporalato, della criminalità o dell’industria del falso. E dal 1 gennaio al 30 giugno 2017 sono sbarcati in Italia già 85.183 migranti in massima parte ripescati in mare da una moltitudine di navi private di ONG straniere che, secondo la Procura di Trapani, erano in contatto radio con i barconi ancor prima che uscissero dalle acque territoriali libiche, quindi agendo al di là delle norme di ingaggio previste da Triton.

Perché i migranti arrivano praticamente solo nei porti italiani, quando invece spesso il porto più vicino è quello di Malta o della Spagna? Perché è la nostra guardia costiera che coordina le operazioni e stabilisce il porto di sbarco.

Una prova? Il 29 giugno 2017 la nave “Rio Segura” del servizio marittimo della Guardia Civile spagnola, ha tratto in salvo 1.216 migranti e benché la zona di mare del salvataggio fosse equidistante tra le Baleari e la Sicilia, tutti i profughi furono sbarcati in Italia.

Dopo tutto quanto riportato è evidente che tanto Berlusconi, quanto i suoi successori, siano politicamente responsabili del disastro immigrazione, lasciato come una patata bollente nelle mani di Gentiloni: Berlusconi perché è caduto in ogni trappola tesagli dall’Europa e Renzi perché non ha preteso la radicale modifica del regolamento di Dublino, e perché ha autorizzato l’operazione Triton che praticamente rendeva l’Italia un enorme porto franco in cui le navi di 15 Stati europei potevano tranquillamente scaricare (a beneficio delle riprese televisive) le migliaia di africani incentivando gli scafisti a moltiplicare partenze e profitti e trasformando il bel paese nel più vasto campo profughi nel cuore dell’Europa. Capito in che mani stiamo?

Anziché presentarsi con il cappello in mano a Bruxelles, Minniti provveda a denunciare subito in 24 ore il Regolamento di Dublino per consentire a chi arriva in Italia, la possibilità di scegliersi il Paese che preferisce, magari di cui già conosce la lingua o per ragioni di ricongiungimento familiare, chieda conto al suo partito ed al suo segretario degli errori commessi, dia una risposta alla domanda di sicurezza e di equità del popolo italiano, impartisca ordini draconiani sulla patente di navigabilità e licenza di attracco ad ogni natante solo se abbia superati i controlli (di sicurezza, sanitari, di strumentazione tecnica, antiincendio, di regolarità del personale imbarcato, del bilancio di gestione ecc.) e infine metta sotto torchio i nostri servizi che hanno in Libia varie decine di agenti che conoscono perfettamente le basi di partenza degli scafisti, chi li comanda, dove affluiscano i soldi pagati per la traversata, chi fornisca la strumentazione.

In condizioni di normalità il diritto internazionale regola i rapporti tra Stati e protegge l’inviolabilità dei confini, ma quando lo stato A è disgregato, nessuna sua autorità è riconosciuta sul territorio, in cui la delinquenza è sovrana, e non è in grado di controllare chi entra e chi esce dal paese, sta allo Stato B dichiarare i propri confini esattamente sulla battigia dello stato A. In altri termini se la Libia, a causa della scellerata guerra USA-Gran Bretagna-Francia è in uno stato di caos sta a noi prendere l’iniziativa di difenderci con ogni mezzo, zittendo le eventuali proteste dei responsabili internazionali del disastro, magari coinvolgendo la Russia anziché partecipare alle sanzioni contro di essa,  ed impedire che dalle sue coste possa essere attuato un qualsiasi movimento di persone verso il nostro paese.

Si potrebbe obiettare che il diritto internazionale non lo prevede. Se è per questo non prevede nemmeno i muri di separazione tra USA e Messico o tra Israele e Palestina, o tra Ungheria e Serbia o il filo spinato nel tunnel sotto la Manica e visto che in mare non si possono costruire muri l’unica alternativa è quella di fermare gli invasori sulla costa di partenza.

Qualcun altro potrebbe obiettare ancora che sarebbe un atto di guerra violare gli spazi altrui e invece si tratta di una politica di autodifesa, di legittima difesa, di ordine pubblico, fatta anche in nome dei valori europei, di quell’Europa che si è sempre girata dall’altra parte. E’ diventato dunque imperativo ripensarne agli orizzonti, disegnare una strategia più vicina agli interessi nazionali, mettendo tutte le risorse al servizio della protezione da un’invasione da Sud che potrebbe compromettere l’equilibrio della nostra società. 

Torquato Cardilli