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Le Origini della Scoperta

Disturbi Specifici dell’Apprendimento 2

La storia dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) è strettamente legata all’evoluzione della psicologia e delle neuroscienze, nonché alla crescente attenzione della società verso le problematiche educative. Questo cammino ha inizio alla fine del XIX secolo, quando medici e psicologi iniziarono a osservare un fenomeno interessante e inedito: alcuni bambini, pur avendo un’intelligenza nella norma, incontravano difficoltà scolastiche marcate in specifiche aree, come la lettura, la scrittura e il calcolo. Non si trattava di difficoltà generalizzate, come quelle legate a ritardi cognitivi, ma di problemi circoscritti che non trovavano spiegazione nelle teorie prevalenti dell’epoca. Questa discrepanza suscitò l’interesse e la curiosità della comunità scientifica, dando inizio a una serie di studi e osservazioni che avrebbero trasformato il modo di concepire e trattare l’apprendimento.

Il termine “Disturbi Specifici dell’Apprendimento” (DSA) è il frutto di un lungo processo di evoluzione concettuale e scientifica. Sebbene la consapevolezza del fenomeno risalga a fine Ottocento, la sua comprensione e definizione precisa è un risultato di numerosi anni di ricerca. Tra le prime scoperte significative che segnarono l’inizio della comprensione di questi disturbi, uno dei contributi più importanti proviene dal medico britannico James Hinshelwood. Nel 1896, Hinshelwood descrisse per la prima volta un fenomeno che avrebbe cambiato il campo della psicologia e dell’educazione: la dislessia. Il termine “dislessia” veniva utilizzato per riferirsi a una difficoltà specifica nella lettura che non dipendeva da ritardi cognitivi generali, ma che sembrava limitata alla capacità di decodifica delle parole scritte.

James Hinshelwood, attraverso le sue ricerche, fu tra i primi a osservare e documentare che alcuni bambini, pur possedendo intelligenza nella norma, avevano difficoltà a leggere correttamente, a decodificare i simboli scritti in parole. Questa condizione non era legata ad altri problemi cognitivi generali o a carenze sensoriali, come la cecità o la sordità, che potrebbero influire sulla lettura. Al contrario, questi bambini avevano un’intelligenza intatta e nessun deficit evidente, ma trovavano enormi difficoltà nel processo di lettura e scrittura, che si manifestavano attraverso errori frequenti nella lettura di parole, difficoltà a riconoscere e a distinguere i suoni delle lettere, e una lentezza nell’apprendimento delle parole. La dislessia divenne, quindi, un concetto che descriveva una difficoltà nel leggere che non aveva niente a che fare con la capacità intellettiva, ma che era piuttosto legata alla modalità in cui il cervello elaborava le informazioni linguistiche.

La descrizione di Hinshelwood fu una vera e propria rivoluzione. Fino a quel momento, le difficoltà scolastiche erano spesso interpretate come segnali di scarsa intelligenza o di disinteresse nell’apprendimento, ma Hinshelwood dimostrò che questi bambini avevano capacità cognitive normali o superiori, ma incontravano ostacoli specifici nell’acquisizione delle competenze scolastiche. La sua intuizione aprì una nuova strada nella comprensione delle difficoltà di apprendimento, poiché dimostrò che la lettura era un processo complesso che richiedeva la collaborazione di molteplici funzioni cognitive.

La scoperta di Hinshelwood segnò l’inizio di un lungo percorso di ricerca che avrebbe portato alla definizione di una serie di disturbi legati all’apprendimento, ora noti come Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA). Nonostante la sua fondamentale intuizione, la dislessia e gli altri disturbi dell’apprendimento non furono immediatamente riconosciuti come condizioni distinte o scientificamente legittime. Infatti, la comunità scientifica dell’epoca aveva ancora difficoltà a separare le difficoltà di apprendimento da altri fattori, come la povertà culturale o l’inadeguatezza educativa. La convinzione prevalente era che le difficoltà scolastiche fossero sempre il risultato di una mancanza di stimolazione o di motivazione, e non di un problema neurologico o psicologico.

Nel corso del XX secolo, la dislessia e altri disturbi dell’apprendimento iniziarono a essere studiati in modo più approfondito, grazie anche all’avanzamento delle conoscenze in psicologia, pedagogia e neurologia. Negli anni ’20, il concetto di dislessia fu ulteriormente sviluppato grazie agli studi di psicologi come Samuel Orton, che si concentrò sulle cause neurologiche del disturbo, osservando che le difficoltà di lettura derivavano da un’elaborazione errata dei suoni delle parole e delle lettere. Orton propose che le difficoltà nella lettura fossero causate da un’incapacità di percepire correttamente i suoni linguistici, fenomeno che si verificava a livello cerebrale, portando a errori nella lettura e nella scrittura.

In quegli anni, si cominciò anche a esplorare la possibilità che la dislessia fosse legata a una maturazione cerebrale anomala, e furono sviluppate le prime teorie neurologiche a sostegno di questa ipotesi. Le ricerche di Orton e di altri studiosi hanno contribuito ad alimentare il dibattito sulla relazione tra neurologia e dislessia, aprendo la strada alla comprensione di come le difficoltà di lettura possano derivare da anomalie nelle strutture cerebrali che elaborano il linguaggio. Questo ha portato a un cambio di prospettiva fondamentale: la dislessia non era più vista come un problema di comportamento o di motivazione, ma come una difficoltà legata a specifiche aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione del linguaggio scritto.

Mentre la dislessia cominciava a essere riconosciuta come una condizione separata, si affermò gradualmente la consapevolezza che anche altre difficoltà scolastiche potevano avere origini simili, e che non tutte erano legate a un deficit cognitivo globale. In questo periodo storico, medici e ricercatori cominciarono a osservare che oltre alla dislessia esistevano altri disturbi, come la disortografia e la discalculia, che riguardavano rispettivamente le difficoltà nella scrittura e nel calcolo. Fu proprio in questo contesto che si cominciò a parlare di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) come una categoria che raccoglieva tutte queste problematiche scolastiche specifiche.

Nel corso degli anni, il concetto di DSA si è evoluto e affinato, e sono stati fatti enormi progressi nella comprensione delle cause e delle caratteristiche di questi disturbi. Le ricerche neuroscientifiche hanno permesso di identificare le aree del cervello coinvolte nell’elaborazione dei dati linguistici e matematici, e di comprendere meglio le modalità con cui alcuni individui affrontano l’apprendimento in modo diverso. Le scoperte sulla plasticità cerebrale hanno inoltre portato alla progettazione di interventi educativi più mirati, che si basano sulla personalizzazione dell’insegnamento in base alle necessità specifiche degli studenti con DSA.

Le origini della scoperta dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento sono segnate dalla curiosità e dall’intuizione di medici e psicologi come James Hinshelwood, che, alla fine del XIX secolo, seppero osservare con acutezza una condizione che fino ad allora era stata ignorata o fraintesa. Il suo lavoro ha gettato le basi per un lungo processo di ricerca che ha portato alla consapevolezza che le difficoltà scolastiche non sono sempre legate a ritardi cognitivi generali, ma possono derivare da disturbi neurologici e cognitivi specifici. La comprensione di questi disturbi ha avuto un impatto profondo sulla società, portando alla creazione di metodi educativi più inclusivi e personalizzati, che oggi permettono agli studenti con DSA di raggiungere il loro pieno potenziale.

©Veronica Socionovo

 

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