Le specie invasive aliene
Ogni ecosistema conosciuto si basa su un equilibrio perfetto, che garantisce la sopravvivenza dei suoi abitanti. Se si inserisce un elemento estraneo, una pianta o un animale non previsto in quel luogo, può verificarsi uno squilibrio in grado di mettere a rischio la vita degli abitanti. Gli individui di una specie competono per il cibo e lo spazio, gli animali si cacciano o si nascondono a vicenda, i microbi possono vivere in simbiosi o parassitare altre piante o animali. Con il tempo queste interazioni hanno portato alla creazione di ecosistemi equilibrati, popolati da varie forme di vita, dove specie diverse coesistono senza gravi problemi o scombussolamenti improvvisi.
Se in tale contesto un invasore esterno entrasse in quell’ ecosistema equilibrato, per esempio una pianta, un animale o un agente patogeno, esso avrebbe facile gioco in un ambiente in cui nessuna specie possiede difese contro di lui. Priva di controllo, la popolazione aumenterebbe all’improvviso e l’ecosistema, che prima era bilanciato, si destabilizzerebbe in fretta, avviandosi verso la catastrofe. Per esempio, la lumaca della mela golden è diventata una piaga nelle risaie soprattutto in Asia. Con la sua voracità ha danneggiato una coltura fondamentale ed è stato necessario spendere risorse ingenti per gestire il danno utilizzando sostanze chimiche con impatti negativi sull’ambiente. Il mollusco è una tra le decine di migliaia di forme di vita classificate come specie aliene invasive. Le specie invasive alterano e distruggono gli ecosistemi locali, trasmettono i virus, inquinano il suolo e danneggiano l’agricoltura.
Il concetto di esseri invasori riporta forse alla mente la piaga biblica delle locuste o anche gli alieni arrivati per distruggere sistematicamente gli umani ne La guerra dei mondi di Wells. Sono scenari agghiaccianti, ma nessuno si avvicina alla devastazione causata dall’uomo che ha inavvertitamente diffuso diverse specie nel mondo, mettendo a contatto organismi che non si sarebbero mai dovuti incontrare. Questo è in parte un effetto collaterale della globalizzazione. A causa del turismo e del commercio le specie si spostano da un paese o da un continente all’altro sui bagagli e sui vestiti dei viaggiatori, sulle merci, nell’acqua di zavorra o della sentina delle navi. Piante e animali si attaccano ai fianchi delle imbarcazioni in un paese e mesi dopo finiscono nei porti e nei corsi d’acqua di un altro, a migliaia di chilometri di distanza. Negli anni Novanta e Duemila si verificò una moria di pesci nel Mare del Nord e si scoprì che la causa era la fioritura di certe alghe, portate per caso nell’acqua di zavorra dai mari cinesi.
La lumaca della mela golden arrivò in Asia dal Sud America negli anni Ottanta per essere usata come animale da acquario e specialità gastronomica. Non riuscendo a venderle, gli importatori le gettarono nei laghi del luogo e ora si sono diffuse in una decina di paesi. Secondo uno studio condotto sulle specie non-native dal gruppo ambientalista CABI per conto del Governo britannico, il tempo medio impiegato da una specie per radicarsi in un nuovo habitat è approssimativamente di cinquant’anni, ma è più breve per le specie tropicali che per quelle dei climi temperati. In genere, tuttavia, il tasso di diffusione delle specie invasive è spesso esponenziale.
Inoltre, le piante invasive possono compromettere lo stile di vita delle persone. Per esempio, il giacinto d’acqua, nativo del bacino amazzonico, è stato portato in continenti come l’Africa per abbellire gli stagni ornamentali con i suoi fiori lilla. Purtroppo, la pianta ha avuto un grosso impatto sul lago Vittoria, dove si ritiene sia arrivato negli anni Novanta viaggiando lungo il fiume Kigera dal Ruanda e dal Burundi. I giacinti hanno formato dei tappeti galleggianti che hanno compromesso la navigazione, ridotto la pesca, ostacolato la produzione di elettricità e avuto effetti sulla salute dell’uomo. La pianta ha invaso più di cinquanta paesi nel mondo e il costo annuale per l’economia ugandese raggiunge presumibilmente i 112 milioni di dollari. Nell’Africa subsahariana la striga, una pianta infestante, danneggia le colture di mais con una perdita annuale di sette miliardi di dollari. Le perdite complessive delle otto principali colture africane dovute a specie aliene potrebbero ammontare a più di dodici miliardi di dollari.
Le specie invasive sono una delle principali cause riconosciute di perdita della biodiversità nel mondo. Delle 174 specie europee considerate gravemente in pericolo, 65 sono a rischio in seguito all’introduzione di altre specie. Tra queste vi sono alcune delle specie maggiormente a rischio, fra cui il visone europeo e il gobbo della Giamaica. A livello globale, le specie invasive sono state individuate come un fattore chiave nel 54% di tutte le estinzioni documentate dalla lista delle specie in pericolo, e l’unico fattore nel 20% delle estinzioni.
Le specie invasive possono inoltre rappresentare un rischio per la salute umana. Gli scarafaggi, per esempio, possono trasmettere batteri patogeni al cibo e contaminarlo. Piante e animali invasivi possono distruggere la biodiversità locale e compromettere la catena alimentare, ma anche danneggiare i raccolti e i servizi eco-sistemici, quali l’impollinazione e il mantenimento di acque pulite, necessari per garantire la vita o ottenere introiti dalla terra. Nelle Filippine la lumaca della mela golden ha creato danni ai raccolti annuali di riso per un ammontare di 45 milioni di dollari. Alcuni paesi hanno riconosciuto il potenziale pericolo delle specie invasive e imposto regole severe per l’importazione di piante e animali dall’estero. Tuttavia, non sono molti gli stati che hanno compreso l’entità della minaccia. Si dovrebbero potenziare le misure di quarantena e l’attività degli istituti scientifici, affinché segnalino precocemente eventuali specie invasive, il che vale soprattutto per i paesi in via di sviluppo.
Nicola Sparvieri
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