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L’inconsistenza dell’Italia nell’arena internazionale

La classe governante in Italia, dedita a considerare con spregiudicatezza la politica come un’attività autonoma e lucrosa, come strumento per il mantenimento del potere e per il tornaconto personale, avvezza a spaccare il capello in quattro sulle alchimie dei rapporti di forza tra partiti, sulle percentuali e sulle poltrone da spartire, sugli algoritmi e i calcoli obbligati da una legge elettorale incostituzionale, non ha capito che la politica estera è la principale attività che condiziona la vita interna di ogni nazione. 

Sono anni che, in politica estera, pur obbedendo, o forse perché troppo ubbidienti ai voleri di altri, non facciamo che perdere posizioni nella scala dei valori della rispettabilità, della credibilità e della difesa degli interessi nazionali.

Così è stato per la nostra imperdonabile sudditanza verso gli Stati Uniti, a prescindere dal colore politico dell’inquilino della Casa Bianca, che ci ha imposto per 15 anni la guerra in Iraq e in Afghanistan; così è stato per il tradimento commesso da Berlusconi, auspice Napolitano, nell’aggressione contro la Libia, imposta da Sarkozy e Cameron, che significava pure per i sempliciotti un immediato danno alle nostre esportazioni ed un impossibile argine al fenomeno immigratorio; così è stato nella nostra esclusione dal negoziato sul nucleare iraniano riservato ai membri permanenti del CdS delle NU più la sola Germania; così è stato nei confronti del Pinochet delle piramidi responsabile dell’assassinio del nostro giovane Regeni; così è stato nell’accettazione senza obiezioni delle sanzioni alla Russia decretate da Washington per l’Ucraina e la Crimea, che ci vedono vittime economiche le cui conseguenze non sarà facile superare negli anni; così è stato per anni nella questione immigratoria in cui tutti gli europei di fronte al piagnucolio di Renzi e di Alfano ci hanno detto chiaro e tondo “débrouillez-vous” senza muovere un dito per considerare la frontiera sud dell’Italia come frontiera d’Europa o per rivedere gli accordi di Dublino o per dividere gli immigrati pro quota; così è stato per l’umiliazione di aver dovuto abbandonare una battaglia durata dieci anni per il Consiglio di Sicurezza e condividere con l’Olanda il seggio non permanente in quel consesso; così è stato nell’abominevole firma del trattato di cessione di un pezzo di mare Ligure alla Francia voluto da Renzi e Gentiloni; così è stato nell’incredibile vicenda che ha visto soccombere Milano di fronte ad Amsterdam per l’assegnazione della sede dell’Agenzia del farmaco (vedi l’articolo del 24.11.17 “L’Italia in Europa vale uno zero”); così è stato nell’assurda vicenda delle espulsioni di diplomatici russi dall’Occidente e delle contro espulsioni di diplomatici occidentali da Mosca, gioco in cui siamo finiti triturati anche noi, con un Alfano desaparecido e un Gentiloni balbettante, senza aver nemmeno alzato un sopracciglio.

Tutto è nato dalla rigida posizione assunta dal Governo di Londra in merito all’avvelenamento dell’ex spia russa su territorio della Gran Bretagna, che presenta non pochi lati oscuri per la reticenza inglese nel disvelarne le prove.

Ad un paese che con arroganza ha voltato le spalle all’Europa e che non ci ha mostrato la minima solidarietà sulla questione Regeni, inviato al Cairo dall’Università di Cambridge, abbiamo invece concesso un appoggio incondizionato, come sempre in cambio di nulla.

La raffica di espulsioni di 23 diplomatici russi dalla Gran Bretagna è stata colta al volo da quel gran campione di lungimiranza politica di Trump che, intenzionato ad allontanare da sé i sospetti di essere stato appoggiato nelle elezioni da Putin,  non solo ha espulso più di 100 diplomatici russi, ma anche chiuso il consolato di Seattle esponendosi alla immediata ritorsione russa che ha chiuso il consolato americano di San Pietroburgo.

In questa battaglia di nervi e di spie siamo finiti in un vicolo cieco per l’ostinazione della Mogherini che per non essere da meno di fronte a Macron, alla Merkel e alla May ha dato l’impressione di fare la mosca cocchiera nel chiedere unità europea nella fermezza. Risultato: siamo stati coinvolti nostro malgrado nelle espulsioni – di per sé provocatrici di inasprimento dei rapporti e inefficaci sul piano dell’accertamento della verità – con un pizzico di umiliazione. Il numero dei diplomatici allontanati sotto imposizione ci vede classificati in sottordine con due espulsioni per parte alla pari con Danimarca e Olanda, rispetto alle quattro ciascuno del Canada, della Germania, della Francia e della Polonia, alle tre ciascuno della Repubblica Ceca e della Lituania. Come dire anche nell’ignominia valiamo meno degli altri.

A cosa servono queste espulsioni a catena? Solo a pagare in moneta sonante in termini di onore nazionale il tributo all’alleato più forte perché se gli espulsi dal nostro territorio svolgevano attività incompatibili con l’esercizio della missione diplomatica avrebbero dovuto essere allontanati molto prima. Se non hanno violato le nostre leggi e la convenzione di Vienna, allora la loro espulsione (che comporta l’incolpevole allontanamento di due nostri rappresentanti da Mosca) rappresenta un inutile sacrificio di cui non ci verrà certamente riconosciuta gratitudine da parte inglese o americana, mentre ci sarà riservata una buona dose di commiserazione da parte russa.

Oltre a tutti questi episodi rivelatori della nostra inconsistenza internazionale va ricordato l’ultimo affronto dell’irruzione armata e arrogante dei doganieri francesi nella stazione ferroviaria italiana di Bardonecchia che suscita sdegno e rabbia verso un paese che non ha mai abbandonato nei nostri confronti quell’aria di superiorità altezzosa, incoraggiata dalla remissività, per non dire connivenza, dei nostri imbelli governanti che hanno svenduto in violazione della costituzione una porzione del nostro mar Ligure, ma non è detta l’ultima parola perché il trattato non è stato ancora ratificato dal nostro Parlamento e mi auguro che non lo sia mai (“Tradimento” del 19.2.16; “Il prezzo del tradimento” del 21.2.16) e ceduto sulla questione dei cantieri navali (“Dallo schiaffo di Tunisi…” del 30.7.17).

Minniti e Alfano, ancora per poco ministri dell’Interno e degli Esteri, sono rimasti silenti in un vuoto di idee e di contromisure che invece avrebbero dovuto far fibrillare la Farnesina.

Non interessa qui disquisire sui passi diplomatici che l’Italia ha compiuto, o intenderà compiere, verso la Francia visto che non abbiamo un Ministro degli esteri all’altezza della situazione (lo stesso personaggio che da Ministro dell’interno si fece rapire sotto il naso dall’ambasciata del Kazakistan la Shalabayeva), né un Segretario generale della Farnesina che sappia ottenere soddisfazione dall’ambasciatore di Francia a Roma verso il quale ci si prepara alla processione di deferenza in occasione del 14 luglio. Si intende invece sottolineare che il ripetersi di affronti verso l’integrità e l’onore nazionale con la continuazione di una politica a noi ostile, manifestata in tutte le sedi bilaterali e multilaterali, dall’ONU alla UE, in tema di immigrazione, di sgarbi di frontiera, di votazioni contro i nostri interessi o di cancellazioni di intese con danni economici, è diventato intollerabile.

Al contrario gli agenti francesi, contro i quali la Procura della Repubblica ha aperto un platonico fascicolo, si sentono protetti dal loro Stato e dal loro Presidente che ci considera alla stregua di una propaggine coloniale pronta a ubbidire e fornire gli ascari come abbiamo fatto accettando supinamente di inviare un corpo italiano in Niger (“Quando diplomazia diventa una parola vuota” del 14.9.16).

Torquato Cardilli