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L’inquinamento chimico

Pesticidi, scorie radioattive, metalli pesanti, gas di scarico e fertilizzanti in eccesso sono solo alcune delle numerose sostanze tossiche che scarichiamo nei fiumi, negli oceani e nell’aria. Se abbiamo potuto chiudere un occhio sugli effetti di tutto questo inquinamento, è stato solo grazie alle dimensioni della Terra: le nubi di gas si disperdono nell’atmosfera, fogne e fanghi industriali vengono smaltiti dai fiumi, i pesticidi vengono assorbiti nel terreno dopo aver svolto la loro funzione. Ma quando le quantità di inquinanti superano una soglia critica gli effetti possono essere irreversibili.

Alcune sostanze si degradano naturalmente diventando innocue. Molte tuttavia permangono ed entrano nella catena alimentare, nelle fonti d’acqua potabile e nelle piante mangiate dagli erbivori, dove si concentrano via via. A un certo punto piante, pesci e uccelli inizieranno a morire e gli ecosistemi a collassare. Gli uomini avranno meno da mangiare e il cibo a disposizione sarà dannoso per il DNA e ci farà ammalare. Forse sarà un avvelenamento lento, ma avrà comunque effetti letali sulla nostra vita. Tutto questo è il rovescio della medaglia dello standard di vita di cui godiamo.

L’uomo ha inventato e prodotto un numero sbalorditivo di sostanze chimiche: tra il 1930 e il 2000 la produzione annuale del settore è passata da un milione a quattrocento milioni di tonnellate l’anno. Negli ultimi decenni abbiamo creato ottantamila nuove sostanze chimiche, e per quanto siano d’uso quotidiano, in molti casi non le vediamo. Prendiamo il bisfenolo A, sospettato di alterare il sistema endocrino: nella sola Unione Europea se ne producono settecentomila tonnellate l’anno. Viene utilizzato un po’ per tutto, dalla pulizia dei metalli alla produzione dei biberon. Ogni giorno applichiamo prodotti chimici alla nostra pelle, come ftalati e parabeni, contenuti nelle creme per uso cosmetico. E molti altri si trovano negli oggetti che ci circondano, come i ritardanti bromati, presenti nei divani. Una volta utilizzate, tutte queste sostanze finiscono per riversarsi nell’ambiente.

Molto più gravi sono gli effetti a lungo termine dei composti industriali e agricoli. Prendiamo ad esempio il DDT, una sostanza persistente e bioaccumulante che può restare nell’ambiente per lunghi periodi e non si scompone facilmente. Può inoltre accumularsi nel tessuto animale ed essere trasmessa con la catena alimentare o da una generazione all’altra, attraverso la placenta o l’allattamento. Il DDT fu introdotto ai tempi della Seconda guerra mondiale e divenne rapidamente un’arma universale in campo agricolo e sanitario per combattere gli organismi portatori di malattie, come le zanzare. Alcuni decenni dopo, però, venne ritrovato dappertutto, diffuso dai venti e dalle correnti d’acqua, trasportato per migliaia di chilometri dagli uccelli migratori e dai pesci. Fu individuato nell’aria delle città, nella flora e la fauna selvatica, persino nei pinguini in Antartide. E aveva anche iniziato ad accumularsi nei tessuti grassi dell’uomo. Oggi è bandito a causa della sua tossicità per numerosi esseri viventi.

I fertilizzanti sono un’altra fonte importante di inquinamento. Contengono notevoli quantità di azoto e fosforo per favorire la crescita delle colture, ma in una fattoria standard una percentuale significativa di questi prodotti non viene utilizzata dalle piante: finisce nei fiumi e nel mare, dove l’improvvisa abbondanza di nutrienti può stimolare la fioritura di alghe. Queste possono diffondersi in fretta sull’acqua e creare una zona morta povera di ossigeno, causando la morte di altre piante e allontanando pesci e mammiferi marini. Se i pesticidi e gli inquinanti si accumulano negli animali in concentrazioni sufficientemente elevate, possono ucciderli. Quantità più piccole ne riducono la fertilità o ne bloccano la crescita.

Dal punto di vista fisiologico i sistemi biologici di un animale non distinguono, per esempio, una molecola di un inquinante da una di un loro ormone. Di conseguenza, i meccanismi naturali di difesa dalle molecole estranee potrebbero reagire in modo eccessivo e annientare non solo gli inquinanti. Ne consegue uno squilibrio, e dato che gli ormoni regolano processi quali la crescita e lo sviluppo fisico, è quasi inevitabile che si formino anomalie.

In molte specie di uccelli carnivori, come i falchi e le aquile, i pesticidi si sono accumulati a livelli critici. Essi sono anche responsabili del crollo della popolazione di api nel mondo, un fenomeno di per sé disastroso che potrebbe compromettere per sempre la produzione di cibo. La distruzione delle reti alimentari ad opera degli inquinanti aggrava i problemi di un ecosistema. Se le piante di uno specchio d’acqua inquinato non vengono mangiate perché la popolazione animale è calata, alla fine moriranno e si depositeranno sul fondo, decomponendosi e liberando solfuro di idrogeno e altri gas, che provocano un ulteriore degrado ambientale.

In questa dinamica globale l’uomo non è che l’ennesimo animale, pur al vertice della piramide alimentare. Numerose delle trecento sostanze chimiche sintetiche o poco più ritrovate nell’uomo sono bandite da decenni, i PCB e altri pesticidi come il DDT, ma non è possibile bloccare di colpo l’esposizione e negli anni futuri si potrebbero rilevare nuovi effetti sulla salute. Gli scienziati hanno già trovato riscontro, per esempio, di un nesso tra il morbo di Parkinson e l’esposizione elevata e prolungata ai pesticidi: l’associazione più marcata è stata rilevata nei malati esposti a diserbanti e insetticidi quali gli organoclorati e gli organofosfati.

Le sostanze chimiche ci hanno regalato il mondo in cui viviamo: rammaricarsi di usarle non ha senso. Come per molti altri ritrovati del XX secolo, dobbiamo solo adottare un comportamento più intelligente e sostenibile, decidendo quali utilizzare. Gli agricoltori, ad esempio, potrebbero ridurre la quantità di fertilizzanti senza vedere i propri raccolti ridotti di molto. Un’altra strategia può essere impiegare meno composti duraturi, in modo che quelli che finiscono nell’ambiente vengano scomposti rapidamente in prodotti innocui.

Nicola Sparvieri

Foto © Il Giornale dell’Ambiente