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L’invecchiamento nell’uomo

Quando nasciamo siamo circondati da persone più vecchie di noi, i genitori, i nonni, gli zii e le zie e a volte fratelli e sorelle più grandi. Queste persone diventano le nostre guide, la nostra famiglia e i nostri amici. Le nostre relazioni con queste persone care ci stanno a cuore. È difficile accettare il fatto che un giorno le perderemo, ma naturalmente la vita ha un termine e la vecchiaia è seguita dalla morte. È un destino a cui prima o poi andiamo incontro tutti.

Come i membri di ogni altra specie al mondo, noi esseri umani abbiamo una speranza di vita che è una caratteristica del ciclo vitale della nostra specie, homo sapiens. La speranza di vita è l’espressione usata per descrivere quanto a lungo, in media, un membro di una data specie può aspettarsi di vivere. I fattori che influenzano la speranza di vita sono molti. Per gli esseri umani, il luogo in cui si vive è un fattore fondamentale. In paesi diversi si possono avere aspettative di vita diverse, a seconda della qualità del cibo e dell’acqua e delle cure mediche disponibili. Nei paesi occidentali la speranza di vita degli adulti si aggira oggi intorno a 76 anni per gli uomini e a quasi 81 anni per le donne, mentre ben pochi di noi sopravvivranno fino a 100 anni.

Perché è così facile vivere fino a 80 anni, così difficile vivere 100 anni e quasi impossibile sopravvivere fino a 120? Perché esseri umani che hanno accesso alle migliori cure mediche e con abbondanza di cibo e mancanza di predatori, finiscono inevitabilmente per ammalarsi e morire? La morte è una delle caratteristiche più ovvie del nostro ciclo vitale, ma non c’è niente di ovvio nelle sue cause. Per quanto ne sappiamo, nessun individuo di nessuna specie di antropomorfe è mai vissuto più di 50 anni. Pochi neandertaliani vissero più di 40 anni, mentre tra i Cro-Magnon che li rimpiazzarono non era raro superare i 60 anni.

L’invecchiamento lento è fondamentale per lo stile di vita umano, che dipende dalla condivisione delle informazioni riguardanti le esperienze tramandate dalle precedenti generazioni. Con l’evolversi del linguaggio, diventammo capaci di trasmettere molte più informazioni. Oggi possiamo trasmetterle in forma scritta o registrata, ma la scrittura è uno sviluppo relativamente recente nella nostra storia. Per decine di migliaia di anni prima dell’introduzione della scrittura, i vecchi sono stati le nostre librerie. Erano i depositari delle informazioni e dell’esperienza di un gruppo, come avviene ancora oggi nelle società tribali. Nelle popolazioni di cacciatori-raccoglitori, la conoscenza posseduta anche da una sola persona di 70 anni poteva fare la differenza tra la morte per fame e la sopravvivenza di un intero clan.

La nostra capacità di sopravvivere fino alla vecchiaia fu legata in qualche modo ai progressi culturali e tecnologici. È più facile difendersi da un leone con una lancia che non impugnando una pietra e se si dispone di un fucile potente è ancora più facile. Questi progressi, tuttavia, non sarebbero stati sufficienti ad allungarci la vita se il corpo umano non fosse stato riprogettato per durare più a lungo. I nostri meccanismi biologici furono modificati per adeguarli alla maggiore speranza di vita resa possibile dai progressi culturali e tecnologici.

L’invecchiamento può essere considerato semplicemente come un danno o un deterioramento che non viene riparato. Tutti noi siamo inconsciamente ma costantemente impegnati a ripararci a ogni livello, da quello delle molecole a quello dei tessuti o di interi organi. In maniera simile, spendiamo denaro per le riparazioni della nostra auto. I meccanismi di autoriparazione del nostro corpo sono di due tipi: controllo dei danni e sostituzione regolare di alcune parti. Nel caso di un’auto, il controllo dei danni può essere la riparazione di uno pneumatico o la sostituzione di un paraurti ammaccato. Nel caso del corpo umano, l’esempio più evidente di controllo dei danni è la guarigione delle ferite, che ripara i danni subiti dai nostri tessuti. Alcuni animali riescono a conseguire risultati spettacolari: le lucertole rigenerano la coda tagliata, le stelle di mare gli arti persi e i cetrioli di mare persino l’intestino. Al livello invisibile delle molecole, abbiamo enzimi che riconoscono e riparano i siti danneggiati nel nostro materiale genetico, il DNA.

L’altro tipo di riparazione è la sostituzione regolare delle parti, anch’essa ben nota a chi possiede un’auto. L’olio, il filtro dell’aria e altre parti sono da sostituire periodicamente, senza aspettare che la macchina abbia un guasto. Nel mondo animale, i denti vengono sostituiti a scadenze prestabilite: nel corso della vita gli esseri umani hanno due dentizioni, gli elefanti ne hanno sei e gli squali un numero indefinito. Le aragoste e altri artropodi sostituiscono regolarmente l’esoscheletro, il duro scheletro esterno, liberandosene e generandone uno nuovo. La crescita dei capelli è un altro esempio di sostituzione regolare: per quanto corti li tagliamo, i capelli continuano sempre a crescere.

La sostituzione regolare avviene anche al nostro interno. Noi sostituiamo costantemente molte cellule: a distanza di pochi giorni le cellule che rivestono l’intestino, per esempio, e una volta ogni quattro mesi i globuli rossi del sangue. Per evitare l’accumulo di molecole danneggiate, le nostre molecole proteiche sono soggette a un ricambio continuo. Guardandovi allo specchio, vi può sembrare di essere identici a come eravate in una foto scattata un mese fa, ma molte delle singole molecole che formano il vostro corpo sono diverse.

Una gran parte del corpo di un animale può essere riparata se necessario, o comunque sostituita regolarmente. Quali parti del corpo sono riparabili o sostituibili, e in quale misura, è qualcosa che varia da specie a specie, ma non vi è nulla di inevitabile nei limiti umani. Se le stelle di mare possono rigenerare arti amputati, perché noi non possiamo? Per proteggerci dall’artrite basterebbe rigenerare periodicamente le articolazioni, come fanno i granchi. Si può immaginare che la selezione naturale favorisca non gli uomini e le donne che muoiono vecchissimi, ma quelli che continuano a vivere e a mettere al mondo figli fino all’età di 200 anni almeno. Perché dunque non siamo in grado di riparare o sostituire naturalmente qualsiasi parte del nostro corpo?

La risposta ha senza dubbio a che fare con il costo delle riparazioni. Torniamo all’analogia con le auto. Se comprate un’auto molto costosa che probabilmente durerà a lungo, come una Mercedes, è ragionevole che provvediate a una manutenzione regolare, che costa molto meno dell’acquisto di un’auto nuova ogni qualche anno. Se però vivete in Nuova Guinea, che è il luogo con il record mondiale di incidenti d’auto, qualsiasi macchina ha una buona probabilità di finire distrutta entro un anno, indipendentemente da quante volte avete cambiato l’olio e il filtro dell’aria. Laggiù molti proprietari di auto non si preoccupano della manutenzione e impiegano il denaro così risparmiato per l’acquisto dell’auto successiva. Nello stesso modo, la quantità di energia che un animale dovrebbe investire nella manutenzione biologica dipende dai costi relativi e da quanto l’animale può aspettarsi di vivere con e senza riparazioni. Queste considerazioni ci portano nel dominio della biologia evoluzionistica. L’azione della selezione naturale massimizza il ritmo di generazione di prole che sopravvive per riprodursi a sua volta.

Basta pensare all’evoluzione come a un gioco di strategia, in cui vince il giocatore la cui strategia lascia il maggior numero di discendenti. Questo modo di considerare l’evoluzione ci aiuta a capire diverse questioni biologiche, tra cui la durata della vita e la necessità che la vita stessa abbia un termine.

Nicola Sparvieri

Foto © Agenzia Impresse

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Aspettativa di vita, Fine vita, Invecchiamento