L’Italia sorride con Giorgia Meloni
La Sorella d’Italia de La Pucelle d’Orléans
______________di FRANCO D’EMILIO
Davvero memorabile la scoppola, colpo secco e deciso, inflitta da Giorgia Meloni alla politica italiana con l’odierno successo elettorale del suo partito, Fratelli d’Italia.
Una scoppola duplice perché sconfigge sonoramente il centrosinistra e perché annichilisce, umilia la spocchia del Partito Democratico, guidato dalla segreteria del saccente professorino Enrico Letta: in entrambe le scoppole è, infatti, innegabile il contributo essenziale a due cifre di Fratelli d’Italia, il 26% dei voti, nell’ambito della coesa e vincente coalizione di centrodestra con la Lega e Forza Italia.
Così, il partito della Meloni segna davvero la storia del nostro paese, quale forza politica che oggi ha costretto la sinistra italiana alla peggiore sconfitta dopo quella alle elezioni del lontano e fatale 1948, rivelando soprattutto l’inconsistenza politica strutturale del Partito Democratico, informe mescolanza di frattaglie residue da trascorsi, scomparsi partiti politici.
Alla conta dei voti lo “sguardo di tigre” della campagna elettorale di Letta si è rivelato soltanto un misero bluff: sino all’ultimo ha intimidito gli avversari; ha ridotto queste elezioni politiche all’esclusivo confronto tra la sua persona e la Meloni; infine, ha illuso con un’improbabile rimonta la credulità dei “compagnucci”, quasi fossero quelli della divertente parrocchietta di Alberto Sordi.
Oggi, la verità inconfutabile è che la Ragazza della Garbatella ha stracciato clamorosamente il saputo professore parigino, quindi Giorgia Meloni sarà prossimo capo del governo e Letta, invece, bagagli in mano, sarà messo alla porta fuori dagli zebedei del Partito Democratico, da lui dissanguato ad un misero ed opaco risultato elettorale, poco sopra il 19%.
Hanno ceduto, persino, le regioni rosse dell’Emilia-Romagna e della Toscana; in Lombardia, a Sesto S. Giovanni, il fazioso candidato piddino Emanuele Fiano, maestro di coriaceo antifascismo militante, si vede superato da Isabella Rauti di Fratelli d’Italia: insomma, per il PD una vera disfatta elettorale e politica, amara come il fiele, quasi una nemesi storica!
Povera Debora Serracchiani, costretta con poche parole di circostanza a presentarsi ai gioSrnalisti per ammettere la sconfitta piddina, sostituendo un nascosto Letta, rosicone dopo tanta magra figura.
Ma l’affermazione elettorale di Giorgia Meloni si rivela pure un benevolo scappellotto alla Lega e Forza Italia, il cui cumulativo consenso di voti, prossimo al 17%, è ben lontano dal 26% di Fratelli d’Italia: tutto questo, dunque, muterà profondamente ruoli, rapporti e finalità dell’alleanza di centrodestra, rimuovendo ogni ipoteca berlusconiana e contenendo l’eccessivo protagonismo salviniano. Complessivamente, Meloni e Fratelli d’Italia segnano un terremoto politico, assicurando al centrodestra una sicura maggioranza di seggi sia al Senato che alla Camera, presupposto questo di sicuro, stabile prossimo governo. Giorgia Meloni ha vinto alla faccia di tanti menagramo tra politici, giornalisti e fiancheggiatori vari, tutti a libro paga della sinistra; Giorgia Meloni ha vinto sulla vergognosa, pretestuosa accusa di neofascismo e, quindi, di continuità con un passato tanto discusso e ingombrante.
Tempo fa recensii proprio sulla Consul Press il libro della Meloni “Io sono Giorgia”, sottolineando la tenacia della donna politicamente impegnata sin da giovanissima, spesso controcorrente e con il peso della contrarietà altrui. Ebbene, adesso quella giovane diventerà la prima donna italiana capo di governo, sostenuta da tante altre donne, come lei elette nelle liste di Fratelli d’Italia nella piena stima e rispetto degli uomini del partito: una concreta lezione al femminismo parolaio e inconcludente della sinistra.
Ora occorre che Giorgia Meloni vada al Governo col buonsenso dell’opportunità e delle priorità delle cose da fare: nell’attuale momento politico, nazionale e internazionale, i problemi degli italiani reclamano soluzioni tempestive ed efficaci, utili ad evitare il grande gelo di una maggiore e più pericolosa avversione alla politica.