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L’Italia, tra invasioni ed esodi

Gli Immigrati vanno via… ma anche gli Italiani

Anche Israele, dopo decenni di favorevole accoglienza dell’immigrazione da numerose regioni del mondo, si è visto costretto, per il sensibile aumento della criminalità, a trovare un accordo con Uganda e Ruanda, trasferendo nei due paesi africani, almeno quarantamila immigrati dei tanti che affollano il territorio israeliano. Una decisione, questa di Netanhiau, che ha saputo risolvere quelle problematiche dell’immigrazione, magari solo in parte, accantonando le polemiche, le ipocrisie, nonché i trattati internazionali che dovrebbero imporre l’aiuto umanitario, peraltro disatteso, a differenza di quanto avviene nel nostro Paese.

Tuttavia il tempo delle vacche grasse sembra giunto al tramonto: l’Italia non rappresenta quell’Eden decantato negli sconosciuti villaggi subsahariani, sempre infatti, che questo paradiso terrestre sia mai esistito. Ora, per chi arriva dal mare, il nostro Paese sembra sempre più un Purgatorio, quando non quell’Inferno rappresentato da lavoro nero nelle terre del caporalato.

Fino a poco tempo fa, era sufficiente che l’emigrato dal Niger o dal Ciad, piuttosto che dal Senegal o dalla Sierra Leone, inviava a casa una foto che ritraeva il fuggitivo accanto ad un’auto di lusso, per spingere verso un roseo ipotetico destino centinaia di individui, minacciati dalla fame e da un clima sempre più ostile, a raggiungere la Libia e di lì le nostre coste.

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Adesso l’aria è cambiata: l’Italia, con tutto il suo carico di problemi sociali (oltre cinque milioni di famiglie in una condizione di assoluta povertà), assediata da centinaia di migliaia di immigrati clandestini, malgrado le rassicuranti notizie diffuse dal governo, non offre quell’insieme di belle prospettive, neanche un semplice, saltuario sottolavoro, ma accoglie, comunque, tutto e di tutto in modo inadeguato, quando non finisce per favorire, attraverso alcuni organismi di accoglienza, l’incremento della criminalità. Non solo, le chiacchiere sulla ripresa economica contraddicono con la stabilità degli indicatori sull’occupazione: giovani e meno giovani continuano a rimanere nel limbo dei dimenticati, pensionati con vitalizi non certo congrui, continuano a pagare la sopravvivenza, i figli e nipoti e quei ceti medi, così importanti nella nostra storia sociale ed economica, non esistono più. Sono stati fagocitati dalla miserevole entità del reddito familiare e dalla erosione di quella forte morale basata sull’onestà del lavoro e dell’efficienza dell’impresa. In poche parole, quella spina dorsale della nostra terra, è stata spazzata via, lasciando il campo ad una mansueta mandria di consumatori a basso costo, vigilata dall’alto della piramide dal superpotere finanziario, tetragono ad ogni progetto che non sia sfruttamento ad ogni costo.

In questo quadro nient’affatto rassicurante, come i topi sulla nave prossima al naufragio, gli stranieri stanno abbandonando la barca: per la prima volta, da decenni, gli immigrati in particolare quelli presenti in Italia da tempo, quelli che comunemente ed impropriamente vengono definiti “integrati” stanno prendendo la via di casa o quella di paesi con una stabile economia.

Si attendono i dati Istat per confermare l’inizio di questa diaspora all’incontrario, dati che giungeranno all’inizio di quest’anno e che dovrebbero confermare la tendenza: un numero inferiore ai cinque milioni e passa di presenze, tra comunitari ed extracomunitari. È finito, dunque, quel flusso che portava da noi, in media, cinquecentomila individui nell’arco di un solo anno. Andare via, dicevamo, primi fra tutti, sono quei cittadini romeni che, al momento, rappresentano la più nutrita comunità straniera: hanno imboccato la strada di casa, dove, al contrario dell’Italia, il PIL continua a crescere e la richiesta di lavoratori, tecnici specializzati, è in costante aumento. È la stessa situazione del ritorno, che vissero alcune centinaia di migliaia di polacchi, scesi in Italia con il Pontificato di Giovanni Paolo II e poi, quando Varsavia fu libera dal giogo comunista, rientrarono in una Nazione animata da un nuovo, libero sviluppo.

Certo, nel calcolo delle partenze, dobbiamo, comunque, conteggiare i ben 184.000 residenti non europei cui è stata concessa la cittadinanza nel corso del 2016: un dato, quest’ultimo, che va ad incidere sul reale numero di coloro che sono partiti e che, considerando la quantità non si può fare a meno di chiederci a cosa servirebbe lo ius soli. Insomma una fetta consistente però, è andata via; ed a partire sono essenzialmente quegli immigrati che, giunti in Italia per trovare fortuna hanno constatato la difficile situazione, hanno fatto fagotto per dirigersi altrove. Da un’indagine di stampa nell’ex ricchissimo Nordest è risultato come tante famiglie di immigrati, pur lavorando regolarmente, non arrivino più alla ormai famigerata fine del mese. Tra prezzi degli affitti e costi in aumento in ogni settore della vita quotidiana, a cominciare dalle imposte, anche quelle regioni considerate zone di benessere, non sono più così accoglienti. Partono, dunque, per altri lidi, spesso senza risparmi, proprio quelli che, in qualche modo qui avevano messo radici.

130024576-7079c5ec-c0c3-4d7c-af79-012dd341caddRimangono, naturalmente, immigrati e profughi subsahariani, il numeroso popolo dei barconi e dei gommoni che, pur in minor quantità, continuano a raggiungere le nostre coste. Una moltitudine di persone che hanno, in breve, preso cognizione delle reali condizioni dell’Italia che, mentre altri membri dell’Unione Europea e no, come la Cina, in Africa già sono presenti, lasciando il nostro paese, ad occuparsi in totale solitudine, di salvataggi ed accoglienza. In Africa, e lo dimostra la presenza cinese, francese e tedesca, si gioca il futuro del vecchio continente, dove gli aiuti inviati saranno ben ricompensati dalle migliori opportunità che quelle ricche ed abbandonate regioni possono offrire.

L’Italia, invece, è nell’immobilità di penose trattative con le centinaia di tribù e milizie libiche e non saranno le veloci visite in Angola e Ghana del nostro Premier a cambiare la situazione. Tutto accade mentre la mediocrità della politica estera nostrana mostra la sua scarsa incisività. Sembrano non contare molto, oltre chiacchiere e promesse, quei centomila italiani, tutti giovani, molti i laureati, partiti nell’ultimo anno, verso Germania ed Inghilterra, alla ricerca di un lavoro il più delle volte deludente. Anche questa nuova emigrazione rende il nostro Paese più debole e lo avvia ad un futuro, come dicono all’estero, in cui l’integrazione sarà un obbligo; dovremmo, infatti, adeguarci ad assimilare usi e costumi di coloro che hanno abbandonato i villaggi di fango, canne e sterco. Sono qui per civilizzarci.

Alessandro  P. Benini (*) 

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(*) Questo articolo risulta pubblicato anche su “Il Borghese”, diretto da Claudio Tedeschi e presente in edicola nel mese di gennaio


Alessandro P. Benini

Esperto di Finanza e di Storia dell'Economia.