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Lo Spettro della Fatturazione Elettronica

USCIRE DALLA GABBIA

Il COMMERCIALISTA tra EVOLUZIONE od ESTINZIONE

a cura di ALESSIO BINI*

Molti nostri Colleghi, o comunque di coloro che operano deontologicamente nel settore della Consulenza Aziendale, immaginano quanto potrà essere devastante per la categoria professionale dei Commercialisti il comma 909 della Legge 217/17, ovvero l’imposizione della fatturazione elettronica per tutte le partite Iva a partire dal 1° gennaio 2019. Il rischio è davvero l’estinzione di un’intera categoria professionale: 95.498 studi professionali + 13.519 tirocinanti per un totale, se si sommano anche i collaboratori, di 700.000 posti di lavoro.

Il solo fine dichiarato di questa legge è «evitare le frodi». Presupponendo un atteggiamento fraudolento di chi emette le fatture, il legislatore ha calato in un mondo orwelliano l’imprenditore, tagliando fuori dalla redazione del bilancio il Commercialista (1*).

Il comma 909, tuttavia, è molto più distruttivo per l’Imprenditore. Non tanto per la media impresa strutturata, con un reparto amministrativo al proprio interno, che per gli adempimenti contabili può operare autonomamente, ma per la micro-impresa, dove il reparto amministrativo è al massimo rappresentato da un impiegato sovraccaricato dalla necessità di recuperare i crediti, rispetto al tempo da dedicare all’emissione delle fatture e ad altri adempimenti e controlli. Queste imprese, con meno di 10 dipendenti, costituiscono il 98,5% del tessuto imprenditoriale italiano.

Spesso sarà proprio il titolare a doversi sovraccaricare di questo compito, accedendo al portale dell’Agenzia delle Entrate. A fine trimestre l’Agenzia incrocerà le fatture emesse con le fatture ricevute e comunicherà l’Iva da pagare, senza possibilità di appello. L’Ente Governativo – neo Grande Fratello – fuso con Equitalia ormai da tempo, è l’unico creditore che può pignorare i beni aziendali senza passaggi  o adempimenti giudiziari, senza emettere il decreto ingiuntivo, senza nessuna comunicazione: lo fa e basta! Se l’imprenditore può pagare l’Iva, può proseguire in questo labirinto infernale ed orwelliano per altri tre mesi. Altrimenti, potrà rateizzare l’importo, ma poi dovrà rispettare la rateizzazione, pena sanzioni usuraie.

Nessuno, però, si è chiesto perché tante aziende non pagano imposte e tasse. Si calcola che ci siano 500 miliardi di cartelle Equitalia ancora da riscuotere. È evasione? No, perché chi evade non dichiara di dover pagare tali tributi.

È una scelta? Nemmeno, perché altrimenti i conti correnti delle Imprese e degli Imprenditori sarebbero gonfi di risparmi o almeno sarebbero conservati in cassette di sicurezza, ma la totale illiquidità che affligge il sistema economico dall’inizio della crisi ne è la palese smentita (*2).

Le cause sono tre

  1. La forte discrasia tra il bilancio contabile e il bilancio fiscale. Molti, troppi costi realmente sostenuti non sono deducibili fiscalmente, perché lo Stato si arroga il diritto di decidere quali siano costi aziendali e quali no, come il più cerbero dei soci di maggioranza.
  2. La non proporzionalità dei tributi, come invece vorrebbe la Costituzione italiana, che di tanto in tanto – infatti – si prova a cambiare. Le imposte sono proporzionali ad un reddito che non è quello reale, come abbiamo visto al punto 1). Ma poi ci sono le altre voci, che non chiamandosi imposte possono vantare di una maggiore libertà di imposizione da parte del “cerbero”, sia esso Stato, Regione, Comune, ma comunque Ente Pubblico: accise, Iva, Ires, diritti di concessione, eccetera.
  3. L’elevata percentuale di insoluti. Questo è un riflesso che si ripercuote sul micro-imprenditore, ma è causato dalle condizioni macroeconomiche. La mancanza di liquidità del sistema unita ad un sistema fiscale non proporzionale al reddito realmente conseguito obbligano l’imprenditore a non poter fronteggiare tutti i pagamenti.

Per non essere strangolato, finora l’imprenditore beneficiava della consulenza del Commercialista, che poteva assisterlo nella utilizzazione degli strumenti contabili legittimi (ammortamenti accelerati, imputazione a costi del maggior numero possibile di fatture d’acquisto, ecc.) e dei tempi lunghi del recupero crediti da parte dello Stato. Per non restare ostaggio da questo sistema orwelliano, l’unica possibilità è uscirne veramente, ovvero lavorare da uno Stato estero comunitario, sfruttando la legislazione sulle triangolazioni intracomunitarie.

L’azienda si trasferisce all’estero, oppure si costituisce una start-up estera. Dopodiché l’azienda acquista prodotti in Italia e li rivende in Italia. La fatturazione sarà Italia-Estero e Estero-Italia. Il Ddt e la merce seguirà il tragitto più breve, quindi Italia-Italia. Il Commercialista italiano potrà continuare a tenere la contabilità, utilizzando programmi contabili direttamente collegati con l’estero.

Non è una soluzione per tutte le aziende, purtroppo. Ne sono escluse quelle piccole attività di prossimità, come bar, ristoranti e simili. Ne sono escluse, ma solo parzialmente, quelle attività che hanno una stabile organizzazione in Italia. Solo parzialmente, perché in questi casi è possibile fare qualcosa. Ovviamente, una volta trasferita o costituita una società all’estero è necessario rispettare la normativa contro l’estero vestizione: sugli utili prelevati “è doveroso” pagare le tasse in Italia. Non solo, ma in molti Stati europei non c’è proprio quella fastidiosa discrasia tra bilancio contabile e bilancio fiscale. Qualsiasi costo riconducibile all’attività aziendale è deducibile, perché molti Stati Esteri hanno una più elevata fiducia nell’attività di impresa, evitando di sindacare inappropriatamente sulle singole voci di costo.

Inoltre, la tassazione sulle imprese è realmente proporzionale al reddito oltreché molto più bassa di quella italiana. Infine, anche l’ultimo dei fattori che causano lo stallo dell’economia italiana è assente negli altri Paesi: le fatture vengono puntualmente saldate o all’emissione o a 30 giorni. Gli insoluti non esistono perché alla base ci sono sistemi economici dove la liquidità garantita dalla Banca Centrale è più che sufficiente a permettere gli scambi commerciali (*3).

In uno scenario del genere, il Commercialista tornerebbe ad essere quel consulente strategico d’impresa, in un ruolo che negli ultimi anni è stato progressivamente sempre più ridotto e marginalizzato dalla legislazione nazionale, fino al probabile futuro azzeramento di tale ruolo a decorrere  dal 1° gennaio 2019. Come realizzare tutto questo è possibile approfondirlo caso per caso nei singoli studi professionali o attraverso incontri di 4-5 professionisti, in modo che sia possibile scendere in profondità nell’argomento ed essere operativi fin da subito.

*3c BUILDING communities Sia

Per ulteriori notizie su prossimo evento visionare la locandina:

> commercialista tra evoluzione od estinzione (PDF)

Per ulteriori informazioni e documentazione fare richiesta a:

Note a margine

(1*) Va riscontrato che anche l’attività del Commercialista viene a volte considerata non indenne da comportamenti fraudolenti, grazie ad imprecisioni generiche e/o disinformazioni operate dai media. Vds. al riguardo la netta posizione presa dall’Associazione Co.Ne.Pro – Commercialisti Network Professionale a difesa della stessa Categoria, come da intervento pubblicato il 13.4 su questa stessa testata: https://www.consulpress.eu/la-stampa-di-torino-commercialisti-cialtroni/

(2*) Immuni da crisi di illiquidità risultano essere solo i “moloch” della finanza apolide ed internazionale, nonché gli Istituti di Credito. Se alcuni di questi hanno nell’ultimo decennio registrato “crisi bancarottiere”, ciò è stato solo frutto di una politica aziendale corrotta, collusa e clientelare per gli “Amici degli Amici” ed in ossequio ai “Potenti di Turno”.

(3*) Bisogna rilevare che in Italia è sempre lo Stato ad imporre tempi biblici, tramite la propria Amministrazione Finanziaria, nel pagamento dei crediti vantati dalle Imprese (e/o comunque dai contribuenti), così come dallo Stato non viene velocizzata entro standard accettabili l’Amministrazione della Giustizia che, otre provocare danni di “vera ingiustizia” ed enormi costi al sistema, costituisce uno dei maggiori disincentivi all’ingresso di capitali esteri nel nostro Paese. (G. M.)