Skip to main content

MARAMALDO vs FERRUCCI

LA STORIA INSEGNA CHE MARAMALDO E’ SEMPRE VIVO

Giorni fa ho acquistato da un rigattiere, più per curiosità che per un’esigenza filatelica, una busta di vecchi francobolli per pochi euro, perché aveva attirato la mia attenzione un francobollo del 1930, del valore facciale di 25 centesimi, emesso dalle poste del Regno d’Italia. Si tratta del francobollo commemorativo del IV centenario della morte del capitano fiorentino Francesco Ferrucci, passato alla storia insieme all’altro capitano di ventura, suo assassino, il napoletano Fabrizio Maramaldo.

Sugli eventi che portarono Ferrucci alla morte è fiorita una leggenda, che sa tanto di agiografia costruita ad hoc per esaltare la retorica patriottica, e che val la pena di essere raccontata per le analogie che si riscontrano con alcuni personaggi della vita politica dei giorni nostri.

Dunque Ferrucci, che combatteva in difesa della repubblica fiorentina contro i Medici che erano stati cacciati, respinse sdegnosamente l’ambasciatore inviatogli per una trattativa di pace da Fabrizio Maramaldo, condottiero dell’esercito mediceo che combatteva con il sostegno dell’imperatore Carlo V. Nello scacciarlo dal suo accampamento gli impose di non ripresentarsi più al suo cospetto se teneva alla vita.

Ma il messo di Maramaldo, eseguendo le istruzioni del suo comandante, dopo qualche tempo si ripresentò una seconda volta nella fortezza di Ferrucci per intimargli perentoriamente la resa.

Ferrucci, ritenendosi offeso da questa pretesa e dal fatto che un semplice trombettiere e quindi di rango non adeguato si fosse spacciato per ambasciatore, conscio di violare le regole sull’intangibilità del latore del messaggio, ne ordinò l’impiccagione. Quindi per mostrare il suo coraggio a Maramaldo decise di spezzare l’assedio posto a Firenze e affrontarlo in una battaglia campale. Nello scontro Ferrucci fu catturato e portato in catene di fronte a Maramaldo.

Anche in questo caso il condottiero vincitore infranse ogni regola di cavalleria sul rispetto dovuto al comandante nemico fatto prigioniero: lo ferì a sangue freddo per poi abbandonarlo allo scempio da parte della sua soldataglia con il sinistro comando, enfatizzato dalla leggenda, di ammazzarlo per vendicare l’anima del trombettiere impiccato. Al che, sempre secondo la leggenda, Ferrucci reagì dandogli del vigliacco, perché uccideva un uomo morto.

E’ su questa presunta prova di coraggio che il regime negli anni trenta intese celebrare le virtù guerriere del popolo italiano, dandone ampia citazione nei manuali di storia rinascimentale, da allora distribuiti nelle scuole.

Quanto a Maramaldo, che era stato onorato in vita come un valoroso e imbattibile guerriero, fu invece rappresentato dalla stessa impostazione storico–letteraria sotto una luce sinistra di chi è pronto ad infierire con i deboli ed incline alla vile sopraffazione dell’avversario incapace di difendersi. Per questo fu coniato il verbo maramaldeggiare che sta ad indicare il compiere un’azione vigliacca.

Similmente alla glorificazione di Ferrucci potremmo dire che l’Italia democratica degli anni 2000, quasi volesse farsi perdonare dall’opinione pubblica la ingiustificata partecipazione alla guerra americana imposta da Bush figlio contro l’Iraq di Saddam Hussein, ha sfruttato il brutale episodio dell’assassinio di un nostro contractor militare (mercenario) per esaltarne il coraggio e la prova di sprezzo della morte. Nel 2004, a Fabrizio Quattrocchi catturato da un gruppo di miliziani dell’Isis insieme ad altri tre italiani fu ordinato, mentre era legato e inginocchiato, di trasmettere un messaggio video al Governo italiano con la richiesta di ritiro dall’Iraq pena la sua uccisione e quella dei suoi compagni ostaggi. Quattrocchi avrebbe risposto ai suoi aguzzini che il Governo italiano non si sarebbe piegato ad un simile scambio. Avendo intuito quale sarebbe stata di lì a poco la sua fine avrebbe chiesto di potersi levare la benda e dimostrare che un italiano era capace di morire guardando in faccia il proprio carnefice. La richiesta fu respinta e un miliziano alle spalle del prigioniero lo uccideva sparandogli a bruciapelo due proiettili, uno alla schiena e l’altro alla testa.

Al Governo c’era la destra di Berlusconi, con Alleanza Nazionale e con la Lega che elevarono la figura del mercenario Quattrocchi a simbolo della fierezza e dell’eroismo e chiesero che gli fosse conferita alla memoria la medaglia d’oro al valore civile. Cosa che avvenne: il ministro dell’interno Pisanu fece la proposta e il Presidente Ciampi firmò il decreto di concessione con una motivazione grondante retorica sull’eroismo di Quattrocchi “vittima di un brutale atto terroristico rivolto contro l’Italia, con eccezionale coraggio ed esemplare amor di Patria, affrontava la barbara esecuzione, tenendo alto il prestigio e l’onore del suo Paese “

Se questa può essere una similitudine con Ferrucci, dobbiamo ricordarne anche altre con Maramaldo in aggiunta agli assassini dell’Isis. Per farlo dobbiamo uscire ancora dai confini nazionali e volare oltre Atlantico. Come tutti sanno l’attentato terroristico contro le torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001 aveva accecato d’odio l’amministrazione americana che non reagì lucidamente, ma si mosse con l’irruenza del bisonte impazzito attaccando a casaccio qualunque paese potesse avere avuto una qualche, presunta o dimostrata, vicinanza con i terroristi. Per gli enormi interessi finanziari fu risparmiata l’Arabia Saudita (ben undici attentatori di New York erano cittadini di quel paese) e fu individuato in Osama Bin Laden (anch’egli saudita ma privato della cittadinanza) l’obbiettivo della vendetta. Ne fecero le spese oltre all’Afghanistan (i Talebani non c’entravano nulla con al Qaida e con il terrorismo internazionale) che propugnava un integralismo feudale, anche il Sudan dove fu cannoneggiata brutalmente e senza preavviso una fabbrica di medicinali vicino a Khartum, la Somalia che subì vari raid inefficaci a sconfiggere gli Shabab e l’Iraq completamente distrutto pur di farla finita con Saddam Hussein, dittatore sanguinario che però non aveva alcun legame con i terroristi.

Più che l’esecuzione sommaria di Bin Laden, scovato in Pakistan (paese alleato degli USA) e non in Afghanistan, l’opinione pubblica fu scossa dalla vergognosa esibizione della cattura di Saddan Hussein e dalla sua macabra impiccagione.

Ma il Maramaldo moderno aveva anche altri nemici nel mirino. Senza ponderare i costi umani di vite innocenti sacrificate, quelli etici, economici, sociali e politici eliminò, con la complicità anglo-francese e la proditoria acquiescenza italiana, Gheddafi distruggendone il sistema di potere in Libia con le conseguenze a tutti note.

Ora il Maramaldo della Casa Bianca, dopo aver fatto il gradasso con il leader della Corea del Nord, ha puntato il laser contro altri due nemici con cui regolare i conti in sospeso: l’Iran degli ayatollah, come vendetta postuma per l’affronto della cattura dei diplomatici americani a Teheran del 1979, e il Venezuela di Maduro, definito il Gheddafi latino sull’uscio di casa.

Contro l’Iran ha stracciato il trattato sul nucleare sottoscritto dal suo predecessore Obama e ha imposto durissime sanzioni estensibili a quanti osino fare affari con Teheran, mentre con Maduro non solo ha attuato una politica di strangolamento economico con sanzioni giugulatorie che in quasi due anni sono costate oltre 23 miliardi di dollari di minori introiti petroliferi (indirettamente affamando i venezuelani ed impedendo loro di avere le medicine necessarie), ma ha sobillato una rivoluzione interna appoggiandosi al Quisling di turno. L’ingegnere Juan Guaidò (con master post laurea negli Stati Uniti presso la George Washington University ) rientrato in patria con il sostegno finanziario USA fondò il partito di opposizione Voluntad Popular e raggiunse la carica di presidente del parlamento. Aggrappandosi ad una disposizione costituzionale relativa alla vacanza di potere, Guaidò non ha riconosciuto l’elezione a Presidente del Venezuela per il secondo mandato di Maduro, ha eseguito un golpe bianco e si è autoproclamato presidente ad interim.

A questo punto contro un capo di Stato metaforicamente morente come Maduro, Trump ha minacciato anche un ricorso alla forza, mentre i suoi alleati europei (con in testa i soliti Francia, Inghilterra, Germania più la Spagna con un rigurgito di hispanidad) hanno inviato un ultimatum: o elezioni immediate o riconoscimento di Guaidò. L’ultimatum è scaduto ed è difficile immaginare che qualcuno o più di qualcuno non perda la faccia.

Come finirà? Trump, che vuole imporre all’America Latina e al mondo la sua visione di potere, come un nuovo Maramaldo ucciderà metaforicamente un uomo morto, ma porterà sulla lapide della sua tomba l’esecrazione dei posteri.

Torquato Cardilli

 

Condividi: