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Masaniello: caporione, popolano ma prima di tutto vittima.

Aspetta: Masaniello non è solo un modo di condire la pasta

Tommaso Aniello d’Amalfi, conosciuto con il nome di Masaniello (Napoli,1620-1647)è stato un protagonista della vasta rivolta che vide la popolazione napoletana insorgere contro la pressione fiscale imposta dal governo vicereale spagnolo. Nella vita di questo personaggio non è sempre facile distinguere gli avvenimenti realmente accaduti da quelli elaborati dal mito. 

«Era un giovine di ventisette anni, d’aspetto bello e grazioso, il viso l’aveva bruno ed alquanto arso dal sole: l’occhio nero, i capelli biondi, i quali disposti in vago zazzerino gli scendevano giù per lo collo. Vestiva alla marinaresca; ma d’una foggia sua propria, la quale, alla mezzana, ma svelta sua persona molto di gaio e di pellegrino aggiungeva» così era descritto Masaniello.

La sollevazione di cui Masaniello si fece capofila scaturì dall’esasperazione delle classi più umili per le imposte (gabelle) imposte dai governanti sugli alimenti di primo consumo, misura questa rientrante nel più ampio ventaglio di politiche economiche della Corona degli Asburgo di Spagna nella logorante Guerra dei trent’anni: la sua non fu mai una rivolta patriota o antispagnola come voleva farci credere la storiografia risorgimentale del 1800.

Non a caso il grido con cui Masaniello sollevò il popolo il 7 luglio fu: «Viva ‘o Re ‘e Spagna, mora ‘o malgoverno», secondo la consuetudine popolare tipica di quei tempi di cercare nel sovrano la difesa dalle prevaricazioni sulla plebe dei suoi diretti sottoposti. Sarà soltanto dopo la sua morte che la rivolta assunse delle esplicite connotazioni politiche e socialidal carattere antifeudale e antispagnolo ( come fu in quel periodo nei Paesi Bassi, nel Portogallo e in Catalogna.

Dopo dieci giorni di rivolta che costrinsero gli spagnoli a prestare più attenzione alle loro politiche sociali, Masaniello fu accusato ufficialmente di pazzia e ucciso per volere del viceré, di alcuni capi popolari e di una piccola parte della plebe. Nonostante la breve durata, la ribellione da lui guidata indebolì il secolare dominio spagnolo sulla città, aprendo la strada per la proclamazione dell’effimera Real Repubblica Napoletana, avvenuta cinque mesi dopo la sua morte.

                               Nome e luogo di nascita

Per molto tempo si è creduto che Masaniello fosse originario di Amalfi (che era solo il cognome) mentre in realtà nacque a Vico Rotto al Mercato una via vicino al mercato di Napoli. Altra cosa che comunque lo legava ad Amalfi fu l’amicizia collaborazione con l’abate Pirone, un bandito che uccideva dietro compenso e che poi sarebbe stato anche suo collaboratore nei giorni della rivolta, costui era così chiamato perché usava abusivamente la tonaca per sfuggire alla giustizia.

Secondo lo storico Giuseppe Galasso l’equivoco sulla nascita fu favorito dal governo spagnolo a Napoli perché “ Nella fedelissima città non si doveva e non si poteva ammettere la presenza di un infedele, di un ribelle come colui che aveva messo in questione il governo spagnolo a Napoli»

La famiglia di Masaniello era umile, ma non poverissima. Il padre, Francesco (Cicco) d’Amalfi, era un pescatore e venditore al minuto. La madre, Antonia Gargano, incinta di Masaniello prima del matrimonio, era una massaia, qui va detto che secondo lo storico Alessandro Barbero madre sorella e moglie di Masaniello erano delle prostitute, ma all’aumentare dei dazi non era cosa strana nemmeno nel ceto medio dell’epoca esercitare talvolta il mestiere. La casa dove visse si trovava tra la pietra del pesce, nel quartiere Pendino dove avveniva la riscossione della gabella sui prodotti ittici, e Porta Nolana dove invece avveniva quella del dazio sulla farina.

                    La situazione a Napoli in quell’epoca

Con i suoi circa 250.000 abitanti, Napoli era all’epoca una delle metropoli più popolose dell’impero spagnolo e piazza del Mercato ne era il centro nevralgico. Ospitava bancarelle che vendevano ogni sorta di merce, palchi da cui i saltimbanchi si esibivano per i popolani ed era il luogo preposto alle esecuzioni capitali. Essendo il principale centro di commercio della città, in piazza aveva luogo la riscossione delle imposte al servizio del governo spagnolo(arrendatori si chiamavano allora).

Il regno iberico impose una forte pressione fiscale al Vicereame di Napoli allo scopo di risanare le casse del suo enorme impero, in cui il cosiddetto Siglo de Oro volgeva al termine.

Come andarono i fatti e il grande sdegno per il riscatto della moglie

Spesso, per evadere la gabella, Masaniello portava il pesce direttamente nelle case dei notabili, ma veniva quasi sempre ripagato male o colto sul fatto dai gabellieri e imprigionato. La sua principale attività era però il contrabbando, tanto che nel 1646 la sua fama di abile contrabbandiere era già ampiamente consolidata nell’ambiente del Mercato. Anche la moglie Bernardina, arrestata per aver introdotto in città una calza piena di farina evadendo il dazio, fu imprigionata per otto giorni. Per ottenerne il rilascio, Masaniello fu costretto a pagare un riscatto di cento scudi,che racimolò indebitandosi. Secondo la tradizione, fu proprio questo episodio a scatenare in lui il desiderio di vendicare la popolazione dagli oppressori.

Durante uno dei soggiorni in prigione incontrò, nel carcere del Grande Ammiraglio, il dottore in legge Marco Vitale, figlio illegittimo di un noto avvocato, che lo mise in contatto con alcuni esponenti del ceto medio stanchi dei continui soprusi dei gabellieri e dei privilegi della nobiltà. Masaniello divenne allievo del letterato don Giulio Genoino, prete ultraottantenne con un passato da difensore del popolo, nel 1619 Genoino era stato chiamato due volte a rappresentare gli interessi del popolo contro la nobiltà, svolgendo in sostanza la funzione di un antico tribuno della plebe.

Rientrato in città nel 1639, tornò subito a combattere per i diritti del popolo e formò intorno a sé un nutrito gruppo di agitatori, composto da Francesco Antonio Arpaja, suo vecchio e fidato collaboratore, il frate carmelitano Savino Boccardo, il già citato Marco Vitale, i vari capitani delle ottine (i vari antichi quartieri di Napoli) della città e una numerosa schiera dei cosiddetti lazzari, ovvero i giovani dei ceti popolari. Il vecchio ecclesiastico, logorato nel fisico, ma non negli intenti rivoluzionari, trovò nel giovane e ignorante Masaniello il suo braccio armato.

          La rivolta e i voltafaccia delle autorità

Il peso delle tasse era diminuìto a quel tempo sotto il viceré Juan Alfonso Enrìquez de Cabrera, che chiese però di essere destituito quando il re Filippo IV gli chiese un milione di ducati, ricambiò chiedendo di essere sostituito. La situazione si aggravò quando il suo successore, Rodrigo Ponce de Leòn, descritto dai contemporanei come un uomo dedito alla vita mondana, frivolo e senza esperienza di governo, reintrodusse nel 1646 una gravosa gabella sulla frutta, all’epoca l’alimento più consumato dai ceti umili.

La vigilia di Natale, uscendo dalla Basilica del Carmineil duca d’Arcos fu circondato da un gruppo di lazzari che gli estorse la promessa di abolire le tasse sugli alimenti di necessario consumo. Tornato a Palazzo Reale, il viceré fu però convinto dai nobili, ai quali era stata affidata la riscossione delle tasse, a non abolire la gabella sulla frutta (secondo il vecchio principio del chi amministra amminestra). Il popolo, sempre più provato dalla prepotenza dei gabellieri, attese invano per sei mesi l’abolizione dell’imposta.

Rispetto alle altre province dell’impero fu l’esempio della Sicilia a fare insorgere i napoletani dopo questi innumerevoli balzelli. Il 6 giugno 1647, alcuni popolani guidati da Masaniello e dal fratello Giovanni bruciarono i banchi del dazio a Piazza del Mercato. Domenica 30 giugno, il giovane pescatore radunò un gruppo di lazzari, vestiti da arabi e armati di canne come lance, i cosiddetti alarbi, che durante la sfilata davanti al Palazzo Reale rivolsero ogni genere di imprecazione ai notabili spagnoli affacciati al balcone.

La domenica seguente, il 7 luglio, dopo essere stati incoraggiati da Genoino, un gruppo di lazzari si riunì nei pressi di Sant’Eligio per sostenere il cognato di Masaniello che capeggiava un gruppo di fruttivendoli decisi a non pagare la gabella sulla frutta. Per calmare gli animi fu chiamato l’eletto del popolo Andrea Naclerio, un ricco mercante, che, nonostante il suo ruolo, si schierò dalla parte dei gabellieri. Ci fu quindi una zuffa tra il mercante e Carrese, che si concluse con la morte di quest’ultimo. Questa fu la scintilla che scatenò la ribellione, e Masaniello e i suoi alarbi sollevarono la popolazione, e al grido di: «Viva ‘o Rre ‘e Spagna, mora ‘o malgoverno» la guidarono fino alla reggia dove, sbaragliati i soldati spagnoli e i lanzichenecchi di guardia, giunsero fino alle stanze della viceregina.

Il duca d’Arcos, riuscito miracolosamente a salvarsi dall’aggressione di un popolano, fece recapitare all’arcivescovo di Napoli, il cardinale Filomarino, un messaggio in cui prometteva l’abolizione di tutte le imposte più gravose.

Ottenuta l’abolizione di tutte le gabelle come voleva Masaniello, Genoino, che perseguiva un progetto rivoluzionario più ambizioso, chiese il riconoscimento di un vecchio privilegio concesso da Carlo V al popolo napoletano. Il privilegio avrebbe dovuto sancire per il popolo una rappresentanza uguale a quella dei nobili, oltre alla riduzione ed equa ripartizione delle tasse tra le classi sociali. Il cardinale Filomarino, da sempre amico della plebe e inviso alla nobiltà, si propose come mediatore per il riconoscimento del documento appoggiando apertamente le rivendicazioni dei rivoltosi.

Nella notte tra il 7 e l’8 luglio furono puniti tutti coloro che erano ritenuti responsabili delle gabelle, primo fra tutti Girolamo Letizia, il colpevole dell’arresto della moglie di Masaniello, a cui fu bruciata la casa nei pressi di Portanova. Seguirono la stessa sorte diversi palazzi nobiliari, le case di ricchi mercanti e quelle di altri influenti oppressori, tra cui quella di Andrea Naclerio, che fu in seguito fucilato. Furono poi dati alle fiamme tutti i registri delle imposte e liberati dalle prigioni tutti coloro che erano stati incarcerati per evasione o contrabbando.

Ottenere i documenti chiesti da Genoino fu molto difficile: gli vennero presentati molti documenti falsi. Il 9 luglio, mentre si aspettava la consegna del documento autentico, il giovane pescivendolo organizzò con successo la presa della Basilica di S.Lorenzo e si impossessò di alcuni cannoni che erano custoditi nel chiostro. Finalmente una copia del privilegio autentico fu consegnata dagli spagnoli al cardinale Filomarino, che la consegnò a Masaniello.

Il 10 luglio, la quarta giornata di rivolta, Masaniello si era procurato già molti nemici. Il duca di Maddaloni allo scopo di attentare alla sua vita fece introdurre trecento banditi nella Basilica del Carmine, ritrovo dei rivoltosi. I banditi in realtà, servendo la nobiltà ai danni dei più umili, erano molto più simili ai bravi poi raccontati da Manzoni che a semplici fuorilegge. Dopo la lettura in pubblico dei capitoli del privilegio, i sicari si avventarono contro il capopopolo, ma l’attentato fallì. La folla inferocita catturò e uccise il noto bandito Domenico Perrone, e anche altri furono rincorsi e linciati, tra cui un certo Antimo Grasso che prima di morire confessò di essere al soldo del duca di Maddaloni. La plebe allora si vendicò sul fratello del duca,che dopo essere stato ucciso fu decapitato, affinché si potesse portare la sua testa in trionfo da Masaniello.

Lo stesso giorno si addentrarono nel golfo di Napoli le galee spagnole di stanza a Genova agli ordini dell’ammiraglio Giannetto Doria . Temendo uno sbarco, Masaniello ordinò che la flotta stesse lontana almeno un miglio dalla terra ferma, costringendo l’ammiraglio Doria a inviargli un messaggero per ottenere almeno la possibilità di fare scorta di viveri per gli equipaggi. Il messaggero supplicò il pescatore di Vico Rotto, a cui si rivolse chiamandolo «Sua Signoria illustrissima», di concedere vettovaglie alla flotta e Masaniello accettò ordinando di provvedere alla richiesta con quattrocento palate (pezzi) di pane.

Il brevissimo “regno” di Masaniello, gloria e calunnie.

Giovedì 11 luglio, dopo la ratifica dei capitoli del privilegio nella Basilica del Carmineda parte di un’assemblea popolare, Masaniello cavalcò tra le acclamazioni e i festeggiamenti dei popolani, insieme al cardinale Filomarino e al nuovo eletto del popolo Francesco Antonio Arpaja, fino a Palazzo Reale per incontrare il viceré. Alla presenza del duca d’Arcos, a causa di un improvviso malore, perse i sensi e svenne iniziando a manifestare i primi sintomi di quell’instabilità mentale che gli avrebbe poi procurato l’accusa di pazzia. Il pescatore fu comunque nominato Capitano generale del fedelissimo popolo napoletano.

Iniziò da questo momento a frequentare la corte spagnola e fu coperto di onori dai nobili e dallo stesso duca d’Arcos. I suoi abiti non erano più quelli di un pescivendolo ma quelli di un nobiluomo, e sotto la sua casa a Vico Rotto venne eretto un palco dal quale poteva legiferare a suo piacimento in nome del re di Spagna. Fu più volte ricevuto a Palazzo Reale con la moglie Bernardina, che si presentò come “viceregina delle popolane” alla duchessa d’Arcos,e la sorella Grazia.

La tradizione vuole che la presunta pazzia di Masaniello sia stata causata dalla reserpina, un potente allucinogeno somministratogli durante un banchetto nella reggia. Probabilmente il comportamento di Masaniello era improvvisamente mutato a causa dell’improvvisa ascesa al potere, e gli “atti di follia” che commise erano in realtà causati dall’incapacità di gestire grandi responsabilità di comando. Al culmine del potere i segni di squilibrio che manifestò furono numerosi: il lancio del coltello tra la folla; le interminabili galoppate; i tuffi notturni nel mare; e l’insistere nel progetto strampalato di trasformare piazza del Mercato in un porto, e di costruirvi un ponte per meglio collegare Napoli alla Spagna.

Ormai il vecchio prete Genoino era consapevole di aver perso ogni influenza sul capopopolo e sulla rivoluzione. La popolazione cominciò a non vedere di buon occhio il fatto che un popolano pretendesse simile obbedienza e rispetto, e iniziò a credere alle voci sulla pazzia del suo protettore. Cominciò anche a diffondersi la voce che Masaniello fosse un pederasta e che intrattenesse una relazione omosessuale con il sedicenne Marco Vitale, suo amico e segretario.

Il 13 luglio il viceré giurò solennemente sui capitoli del privilegio nel Duomo di Napoli: il popolo era alla fine riuscito a imporre le proprie rivendicazioni al governo spagnolo. Questo successo, a cui Masaniello aveva contribuito più di tutti, non lo risparmiò dall’ostilità di alcuni suoi ex-compagni di lotta, tra cui Genoino che di nascosto tramava la sua eliminazione.

                             Il tradimento e la morte

Il 16 luglio, ricorrenza dell’evento della Madonna del Carmine, affacciato da una finestra di casa sua, cercò inutilmente di difendersi dalle accuse di pazzia e tradimento che provenivano dalla strada. Il capopopolo, il cui fisico era ormai debilitato dalla malattia, accusò i suoi detrattori di ingratitudine e ricordandogli le condizioni in cui versavano prima della rivolta, pronunciò la frase rimasta proverbiale: «tu ti ricordi, popolo mio, come eri ridotto?». Sentendosi braccato cercò rifugio nella Basilica del Carmine e qui, interrompendo la celebrazione della messa, pregò l’arcivescovo Filomarino di poter partecipare prima di morire, insieme a lui, al viceré e alle altre autorità della città, alla tradizionale cavalcata in onore della Vergine. Poi salì sul pulpito e tenne un ultimo discorso. Dopo essersi spogliato ed essere stato deriso dai presenti fu invitato a calmarsi dall’arcivescovo e fatto accompagnare in una delle celle del convento. Qui venne raggiunto da alcuni capitani delle ottine corrotti dagli spagnoli: Carlo e Salvatore Catania, Andrea Rama, Andrea Cocozza e Michelangelo Ardizzone. Sentita la voce amica di quest’ultimo, Masaniello aprì la porta della cella e fu freddato con una serie di colpi di archibugio. Il corpo fu decapitato, trascinato per le strade del Lavinaio, mentre la testa fu portata al viceré come prova della sua morte.

I capitani delle ottine coinvolti nell’assassinio furono ampiamente ricompensati dalla Corona di Spagna. Giulio Genoino fu invece premiato con alcune nomine ma di nuovo in contrasto con le autorità spagnole fu in seguito deportato alla prigione di Malaga morendo durante il viaggio.

                                Dannazione e riabilitazione

Il giorno dopo il popolo si accorse che con la morte del pescatore i tanto sofferti miglioramenti ottenuti durante la rivolta erano svaniti. La mattina, le donne del Mercato che si recarono a comprare la palata di pane, trovarono che essendo stata reintrodotta la gabella sulla farina, la palata, il cui peso era stato fissato da Masaniello a trentadue once, era tornata a pesare trenta once. Ben presto si incominciò a sentire la mancanza di colui che era riuscito, anche se per pochissimo tempo, a migliorare le condizioni di vita della popolazione, finché un gruppo di persone ne recuperò pietosamente il corpo e la testa, che dopo essere stati lavati con l’acqua del Sebeto (antico fiume di Napoli, ridotto a misere dimensioni già alla fine del medioevo) furono ricuciti insieme.

Le autorità spagnole, temendo l’infuriare di una nuova sommossa, ordinarono di assecondare tutte le manifestazioni di devozione verso il capopopolo assassinato e il corpo del capopopolo fu oggetto di una forma di venerazione.

Con la fine di Masaniello la rivolta tuttavia non si spense e anzi assunse, sotto la guida del nuovo capopopolo Gennaro Annese, un marcato carattere antispagnolo. Gli scontri con la nobiltà e i soldati si susseguirono violentissimi nei mesi successivi, fino alla cacciata degli spagnoli dalla città. Il 17 dicembre fu infine proclamata la Real Repubblica napoletana sotto la guida del duca francese Enrico II di Guisa. La parentesi rivoluzionaria si concluse solo il 6 aprile 1648, quando don Giovanni D’Austria, figlio naturale di Filippo IV, alla guida di una flotta proveniente dalla Spagna riprese il controllo della città.

                          Influenza storica e culturale

Durante il Risorgimento gli storici interpretavano gli eventi della storia italiana preunitaria alla luce del processo di unificazione in corso, caricandoli spesso di valori patriottici che in realtà non possedevano: Masaniello incarnò l’ideale indipendentista diventando un eroe che combatteva contro la dominazione straniera.

Al termine della stagione risorgimentale il mito del capopopolo decadde progressivamente fino alla provincializzazione del personaggio. Michelangelo Schipa e Benedetto Croce contribuirono enormemente al ridimensionamento dei moti del 1647, e al ridimensionamento della figura del pescatore-rivoluzionario. Schipa descrisse Masaniello come «strumento d’altri» che «divenne presto d’impaccio», mettendo invece in risalto il ruolo del giurista Giulio Genoino, che secondo lo storico pugliese fu la «vera mente» dei moti.

Lo storico medievista Alessandro Barbero attribuisce a Masaniello la figura del prototipo del camorrista ricavandola dalla già citata opera di Silvana D’Alessio la quale da parte sua ha smentito decisamente questa attribuzione.

foto wikipedia Vesuvio live                           © Francesco Spuntarelli