Ministero a “PORTE GIREVOLI” Staffetta Franceschini-Bonisoli-Franceschini
MINISTERO A “PORTE GIREVOLI”,
con la staffetta Franceschini-Bonisoli-Franceschini
e l’interconnessione tra Cultura/Economia
“Pillole di economia” a cura di GIUSEPPE PINO
Che il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, ospitato nello splendido palazzo del “Collegio Romano”, non abbia mai suscitato (con o senza annessa delega al “Turismo”) particolari appetiti era, ed è rimasta, cosa ben risaputa. Dicastero di “serie B”. Basta leggere anche le recenti e stringate note dedicate in materia e contenute nelle linee programmatiche del Governo Conte bis, quanto aver ascoltato il discorso per la richiesta di fiducia a Camera e Senato.
Eppure, e nonostante ciò, siamo il “Paese della cultura” per eccellenza, senza necessità (ogni volta a piè sospinto) di sciorinare dati statistici inconfutabili ed incontrovertibili, analisi impeccabili ed irreprensibili. Vi risparmio, almeno per una volta e come si fa nelle dichiarazioni ufficiali, l’elencazione delle medaglie da appuntarsi al petto! E, questo, la dice lunga di che strano Paese siamo: bravi a celebrare (spesso e volentieri autocelebrarci) per merito e valore che passato e storia ci hanno lasciato, meno bravi a custodire e tramandare memoria. Se l’istituzione di un ministero dedicato alla cultura nacque nel 1974 per espressa volontà e richiesta di Giovanni Spadolini (uomo di cultura a tutto tondo, ancor prima che storico, giornalista e politico), che fortemente lo volle, pretese e tenne a battesimo (fu il primo titolare del dicastero nel Governo Moro IV) a seguire non sempre è stato appannaggio di personalità con adeguate e riconosciute sensibilità e competenze. Fatta eccezione, nel 1995, per il Prof. Antonio Paolucci (personalità che non solo “di bello” professionalmente se ne intende per davvero, ma con altrettante capacità divulgative e conoscenza dell’organizzazione della complessa “macchina” dei beni culturali) in un Governo Dini.
Ma veniamo al presente, all’oggi: il nuovo titolare del MIBACT, con la “T” finale (essendo stata riaccorpata la delega al “Turismo” ceduta nel precedente Governo al dicastero dell’Agricoltura; anche qui ci sarebbe tanto da scrivere) è Dario Franceschini. Anzi un ritrovato Dario Franceschini, fatto abbastanza insolito per questo ministero, non si era mai assistito al recupero di un “cavallo di ritorno”. Ha sorpreso tanti, non solo una “riconferma” (dopo aver ceduto il passo ad un giro di boa) ma per le identiche parole che ha pronunciato, anche questa volta, dopo aver giurato nel Governo Conte bis. Dichiarando di sedersi al “ministero economico più importante del Paese!”. Lo disse già all’insediamento nel Governo Renzi (2014) e nel “passaggio” (2016) al Governo Gentiloni. Verrebbe da dire un mantra! Una fissa!
Qualcuno, un po’ civettuolo sostiene che, le ambizioni del ministro Franceschini in pectore fossero, già nelle precedenti esperienze di governo, per un ministero di peso (Economia, nel palazzo di via XX settembre?); a questo giro, addirittura, di un “vicepremierato”. Consolarsi così? Sappiamo come sono andate le cose! Ed anche, come a “pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina” di andreottiana e democristiana memoria, che Franceschini dovrebbe ben conoscere.
Ma riprendiamo come di buon auspicio la sua volontà (volente o semplicemente per circostanza) di affiancare – ancora una volta – la parola “cultura” alla parola “economia” (*1). Forse è stato il primo ministro della cultura a farlo così spudoratamente in chiaro. Si aspetti già qualche bella rimostranza da parte di qualche accademico e benpensante puro e casto (che, magari, passato ai “raggi X”, lo è solo a parole; ce ne sono tanti) ai primi incontri istituzionali con il variegato mondo della cultura, fatto di tante realtà: teatri, musei, cinema, spettacolo, etc.etc. Per certo, troverà al suo rientro, più o meno gli stessi problemi irrisolti (anche a livello finanziario). Nei teatri, ad esempio, la grave situazione che ereditò (al primo giro) dal bravo Massimo Bray, che riuscì a disinnescare una mina (il default di alcune Fondazioni Liriche) prima che potesse scoppiare anche nelle mani di chi sarebbe venuto dopo di lui.
Anche il recente “Decreto Cultura” di Bonisoli, una foglia di fico, sul precariato risolve poco o nulla. Come, altresì la recente decisione, sempre di Bonisoli ed a governo dimissionario, in ordine alla revisione di autonomie ed accorpamenti di alcuni musei e poli museali. Una follia! E qui, per una volta, la voce si è alzata forte ed all’unisono da più ambiti culturali e spesso con visioni diametralmente opposte. Forse non è un caso!
Non è stata solo messa in discussione, come qualcuno frettolosamente ha scritto, la sua precedente riforma (quella, per l’appunto, delle autonomie e dei direttori/manager), ma si è fatta ritornare e concepire la “vision” complessiva dell’organizzazione museale indietro di decenni e decenni. Francamente non se ne comprende il perché. Tra l’altro, a firma di un ministro Bonisoli proveniente dal “privato”, molto dialogante nella prima parte del mandato, successivamente irrigiditosi in uno “statalismo” (preoccupante e fuorviante) della gestione culturale che ha sollevato non pochi dubbi e perplessità.
Caro ministro Franceschini, certamente si armi di pazienza e coraggio, quanto di “saggezza” economica e finanziaria, perché ne avrà veramente bisogno anche a questo secondo giro!
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Note a Margine – (*1) affiancare la parola “cultura” alla parola “economia” e, quindi, ipotizzare una continuativa interconnessione tra loro dovrebbe essere senz’altro auspicabile. Tra l’altro come sostenuto dal Prof. Valerio Malvezzi – più volte illustre “Ospite” sulla Consul Press con suoi interventi ed interviste – risulterebbe che antiche Civiltà Classiche gli Economisti fossero anche Filosofi e viceversa ! (G.M.)