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Lo Stile Littorio. L’Ora Capitale

IL PRINCIPIO MONARCHIO
L’ORIGINE METAPOLITICA

Lo Stile Littorio è un determinato stile artistico e architettonico, che trova una sua corrispondenza nella visione del mondo e nello stile di vita, che il Fascismo voleva imprimere all’Italia e infondere negli Italiani. Questo stile, codificato a livello estetico, durante il Regime Fascista, aveva come obiettivo la volontà di tenere insieme tradizione e modernità, e quindi l’elemento simbolico, monumentale e celebrativo, in armonia con l’elemento sintetico, organico e funzionale.
Si dava avvio a una frenetica ricerca in ambito urbanistico e visivo nel tentativo di realizzare una sintesi tra il monumentalismo celebrativo e il razionalismo funzionale. Un ruolo di prim’ordine in questo sforzo titanico fu svolto dall’Architetto Marcello Piacentini, grande mediatore nella difficile tensione che si andava creando, nel dare un nuovo volto alla Capitale, tra gli architetti tradizionalisti e quelli modernisti. Questo dibattito coinvolgeva non solo architetti e urbanisti, ma chiamava in  causa anche archeologi e storici dell’arte.  Il “Mito di Roma” indicava la direzione del rinnovamento, insieme monumentale e funzionale. La Romanitas, elemento di coesione Nazionale per tutto il Risorgimento, veniva a costituire ancora una volta una salda radice per il nuovo assetto post bellico. L’Italia di Vittorio Veneto si metteva all’Opera attuando una Rivoluzione all’insegna della Tradizione.

L’atto di nascita del Partito Nazionale Fascista infatti avveniva al Teatro Augusteo, sito sul Mausoleo di Augusto, pochi giorni dopo la Solenne Cerimonia della traslazione all’Altare della Patria del Milite Ignoto. Dopo un anno esatto si verificava la simbolica Marcia su Roma e Benito Mussolini veniva nominato Presidente del Consiglio. Questa scelta del Mausoleo di Augusto richiamava un altro luogo augusteo, il Pantheon, individuato come degna sepoltura del Padre della Patria.
In un articolo pubblicato il 21 Aprile 1922 su “Il Popolo d’Italia”, dal titolo “Passato e Avvenire”, Mussolini scriveva “Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento; è il nostro simbolo o se si vuole il nostro Mito. Noi sogniamo l’Italia Romana cioè saggia e forte disciplinata e Imperiale. Molto di quel che fu lo spirito immortale di Roma risorge nel Fascismo: romano è il Littorio, romana è la nostra organizzazione di combattimento, romano è il nostro orgoglio e il nostro coraggio: «Civis romanus sum»”
E per sancire con determinazione la continuità con il Mito di Roma, come elemento di coesione Nazionale, il Governo Mussolini istituì nel 1923, con Regio Decreto Legge, come sua prima Festività Nazionale il 21 Aprile, con la denominazione di “Natale di Roma – Festa del Lavoro”. Simbolicamente richiamando la nascita del Regno d’Italia, che dopo la proclamazione del 17 Marzo 1861, promulgava la sua prima Legge  il 21 Aprile, giorno del Natale di Roma.  In questo nesso tra il Natale di Roma e la Festa del Lavoro si sottolineava il legame indissolubile tra il Mito e il Rito, l’elemento spirituale a fondamento dell’elemento materiale, la “Grandezza” a fondamento della “Necessita’”, il richiamo alla Tradizione a sostegno della Modernità, i valori spirituali alla base del lavoro, inteso come ritualità.
L’Italia di Vittorio Veneto, individuata la via italiana alla modernità, si mise all’Opera nel segno del Fascio Littorio, che divenne emblema dello Stato nel 1926 e fu inserito nello Stemma di Stato dal 1929, sostituendo i due leoni che erano a sostegno dello Scudo crociato, simbolo di Casa Savoia.
Nel 1923 l’archeologo Giacomo Boni individuò dopo un’attenta ricerca filologica la forma originaria del Fascio romano, composto da un’ascia di bronzo, da lacci di cuoio rossi e da dodici verghe di betulla bianca (arbusto ritrovato sulle rive dell’Aniene). Nel rispetto di questa millenaria tradizione, Marcello Piacentini mise in atto una vera e propria macchina bellica coinvolgendo intellettuali e artisti. L’architetto pur sostenendo il primato dell’architettura riconosceva il valore delle tecniche antiche, come il mosaico, l’affresco e la statuaria, capaci di esaltare la monumentalità degli edifici.

In particolare Mario Sironi, insieme ad altri pittori del movimento Novecentista, come Campigli, Carrà e Funi, pubblicarono nel Dicembre 1933 sulla rivista “Colonna”, il Manifesto della pittura murale dove si potevano individuare le caratteristiche dell’arte dell’avvenire “Il Fascismo è stile di vita  […] Nello Stato Fascista l’arte viene ad avere una funzione educatrice. […] La funzione educatrice della pittura è soprattutto una questione di stile. […] Per essere consono allo spirito della Rivoluzione, lo stile della Pittura Fascista dovrà essere antico e a un tempo novissimo. L’artista riprendeva le parole che Mussolini aveva pronunciato in un discorso tenuto all’Accademia di Belle Arti di Perugia nel 1926 “Ora sopra un terreno così preparato può rinascere una grande arte che può essere tradizionalista ed al tempo stesso moderna”.
Laboratori di stile furono i nuovi ampi cantieri quali il Foro Mussolini (1927-33), diretto da Enrico Del Debbio, la Città Universitaria (1932-1935) di Marcello Piacentini, la risistemazione dell’area intorno al Mausoleo di Augusto sotto la guida di Vittorio Ballio Morpurgo (1934-1940), fino ad approdare all’ambizioso Progetto dell’E42. In parallelo rispetto a questi importanti interventi urbanistici nella Capitale in nome della “Grandezza”, si realizzavano anche le opere legate alla “Necessità”.

Alcuni esempi. Durante la costruzione del Foro Mussolini, oggi Foro Italico, sotto la supervisione dell’architetto Del Debbio e la direzione dell’Opera Nazionale Balilla, vennero realizzati a Roma tra il 1926 e il 1930 circa 10 palestre e 14 strutture scolastiche. Opere architettoniche monumentali ispirate alla classicità e al tempo stesso realizzate secondo i più innovativi principi del razionalismo funzionale. Le scuole intese come luoghi di studio e di formazione,  e le palestre come luoghi di preparazione morale, fisica e militare, al fine di temprare la Gioventù Italiana del Littorio. Educare i giovani italiani allo “scontro armato” per farne dei buoni soldati, e le giovani italiane “alla femminilità e alla dolcezza” per renderle delle ottime spose e madri.

Nel 1935, anno di inaugurazione della Città UniversitariaLa Sapienza”, parallelamente   venivano inaugurati i 4 monumentali e avveniristici Palazzi delle Poste, siti nei 4 luoghi cardinali della città, Viale Mazzini, Piazza Bologna, Via Taranto e Via Marmorata, iniziati e ultimati contemporaneamente.
Il 24 Maggio 1935 venivano inaugurati anche gli interni del Vittoriano, il Sacrario delle Bandiere delle Forze Armate, il Museo del Risorgimento e la Cripta del Milite Ignoto. A Ottobre cominciava l’impresa Etiopica che si concludeva con la proclamazione dell’Impero.
Mentre si combatteva in Etiopia, si procedeva alla risistemazione di piazza Augusto Imperatore e all’organizzazione dell’evento dedicato al Bimillenario di Augusto, la Mostra Augustea della Romanità. Allestita a Palazzo delle Esposizioni, aperta al pubblico il 23 Settembre 1937, nel giorno di nascita dell’imperatore, e chiusa il 4 Novembre 1938, anniversario del Ventennale della Vittoria della Grande Guerra. Prima della chiusura della mostra il 23 Settembre venne inaugurata l’area intorno al Mausoleo di Augusto, riportato al suo aspetto originario, con accanto il riposizionamento dell’Ara Pacis.

Intorno i funzionali palazzi dell’INFPS, Istituto Nazionale Fascista di Previdenza Sociale, monumentalizzati dall’inserimento di alcune epigrafi altamente simboliche e da prestigiose decorazioni artistiche, in particolare il mosaico dedicato al “Mito dell’Origine di Roma”. Contemporaneamente alla Mostra Augustea venne riallestita la Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932. L’intento propagandistico era di creare un parallelo tra la Roma di Mussolini e la Roma Augustea. Il senso di continuità veniva sottolineato dall’epigrafe posta sulla facciata del Palazzo delle Esposizioni “Italiani fate che le glorie del passato siano superate dalle glorie dell’avvenire”.

L’ultimo esempio che riportiamo riguarda lo straordinario Progetto dell’E42, l’Esposizione Universale che si sarebbe dovuta svolgere a Roma nel 1942. Il progetto prevedeva edifici provvisori finalizzati all’esposizione, ed edifici monumentali stabili, che avrebbero dovuto costituire il primo nucleo della Roma Nuova, al fine di collegare l’Urbe con il mare. Questo progetto veniva a compimento di un lungo percorso riguardante la nascita delle cosiddette città di fondazione, strettamente connesse alla Bonifica Integrale. Le prime due città a essere inaugurate nell’Agro Pontino portano nomi altamente simbolici, la prima è Littoria, la seconda Sabaudia.
Questa bonifica intesa come “Redenzione dell’Agro Pontino”, immortalata dalle opere di Duilio Cambellotti, fu promossa dall’Opera Nazionale Combattenti, al fine di mantenere la promessa di dare la terra ai soldati-contadini, e nel tentativo di risolvere la questione urbanesimo-ruralità. Tema centrale di un dibattito molto acceso sussistente tra i movimenti di “Strapaese” e “Stracittà”.

L’obiettivo era di “deurbanizzare le città e urbanizzare le campagne”, ossia “ruralizzare i costumi dei cittadini e urbanizzare quelli dei contadini”. La metropoli moderna, nei suoi caratteri alienanti, fu ritratta da Mario Sironi, illustratore del giornale fondato da Mussolini “Il Popolo d’Italia”, e stigmatizzata da una poesia di Luigi Bartolini, autore anche del romanzo Ladri di bicicletta,  dal titolo Città

“OGNI INCONTRO 
NELLE CITTA’ E’ UN GUARDARSI 
GIRARE GLI OCCHI 
E DIMENTICARSI”

Historia Magistra Vitae. La storia si deve conoscere, ma non si può cambiare, a Noi il compito presente, di progettare il Nostro Futuro. Noi portatori sani di una Millenaria Civiltà, incisa nella pietra e nel bronzo delle nostre città, evitiamo che ci accada quel che profetizzava Mino Maccari nelle pagine della rivista “Il Selvaggio” in un articolo dal titolo Il cemento disarmato

“E’ COME SE AVVEZZATI ALL’USO DELLO CHEWING-GUM
CI FOSSIMO RIDOTTI A DISPREZZARE IL SAPORE DEL PANE.
UN POLVERIFICIO, DI QUESTO PASSO,
    CI PIACERA’ DI PIU’ DEL PALAZZO FARNESE” 

                      Massimo Fulvio Finucci e Clarissa Emilia Bafaro

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