No Other Land (2024)
Scritto da Veronica Socionovo il . Pubblicato in Cinema, Musica e Teatro.
Recensione
Diretto dal collettivo di registi Basel Adra, Yuval Abraham, Hamdan Ballal e Rachel Szor, va ben oltre la semplice narrazione della tragedia geopolitica che segna la Palestina sotto occupazione israeliana. Il documentario esplora le implicazioni psicologiche, culturali e identitarie della lotta quotidiana del popolo palestinese, centrando la sua attenzione sul villaggio di Masafer Yatta, nel sud della Cisgiordania, una delle zone più segnate e devastate dall’occupazione israeliana. La pellicola racconta la realtà di una comunità che vive sotto la costante minaccia di demolizione delle proprie case, espulsioni forzate e deportazioni, dando voce a una lotta che non è solo per la sopravvivenza fisica, ma per preservare la memoria storica e l’identità culturale di un popolo che rischia di essere annientato dalle politiche israeliane di occupazione e distruzione sistematica.
Masafer Yatta non è solo un territorio da difendere, ma un simbolo di appartenenza, continuità storica e speranza per le generazioni future. Ogni demolizione e ogni atto di violenza inflitto dall’esercito israeliano non rappresentano solo una perdita materiale, ma un attacco diretto alla memoria collettiva del popolo palestinese, una ferita che minaccia di cancellare l’identità di una nazione. La lotta per la terra diventa, quindi, un atto di difesa culturale e psicologica, una resistenza contro un annientamento sistematico che non colpisce solo i corpi, ma mina anche i legami intergenerazionali, la lingua, le tradizioni e la storia della comunità. Ogni casa distrutta, ogni deportazione, ogni atto di violenza non solo ferisce fisicamente, ma indebolisce il legame tra le generazioni, rendendo ogni resistenza e ogni gesto quotidiano un atto di sfida contro un occupante che tenta di cancellare l’intera cultura palestinese.
Il documentario testimonia anni di violenza e soppressione, con l’esercito israeliano che ha compiuto il più grande sfollamento forzato della regione, abbattendo case, scuole e infrastrutture vitali. Le immagini crude e dirette, girate con telecamere portatili e telefoni cellulari, ci mostrano la sofferenza quotidiana, ma alternano anche momenti di speranza, in cui la comunità di Masafer Yatta resiste e cerca di non perdere ciò che la definisce come popolo: la lingua, le tradizioni e, soprattutto, la memoria storica. Ogni scena di No Other Land testimonia questa resistenza psicologica: bambini che continuano a studiare nonostante l’incertezza del futuro, ragazzi che praticano la loro cultura, anziani che preservano le tradizioni. La resilienza, quindi, emerge come un fenomeno collettivo che permette alla comunità di resistere all’annientamento della propria identità. In un contesto di violenza e distruzione, l’educazione diventa non solo un atto di sopravvivenza fisica, ma anche una forma di resistenza per proteggere la memoria storica e culturale che rischia di essere cancellata.
Il tema della resilienza emerge come centrale nel film, non solo come la capacità di sopportare la violenza, ma come una risposta psicologica e culturale profonda. La creazione di spazi educativi e culturali rappresenta, quindi, un atto radicale di resistenza. Le scuole palestinesi, le tradizioni musicali, la danza, le forme artistiche e la poesia non sono solo attività culturali, ma veri e propri strumenti di opposizione contro l’occupazione. La comunità palestinese lotta non solo per la propria esistenza fisica, ma per proteggere la propria autonomia culturale e storica, opponendosi a un sistema che intende cancellare la loro identità. La resistenza culturale diventa, dunque, un mezzo per salvaguardare la dignità di un popolo, proteggendo la memoria collettiva da un processo di disumanizzazione e distruzione psicologica.
Oltre alla violenza visibile, il film esplora anche le cicatrici invisibili lasciate dalla guerra, in particolare i traumi psicologici, come il Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD), che affliggono la popolazione palestinese. Le esperienze traumatiche, come le demolizioni, le minacce quotidiane e l’esproprio delle terre, espongono gli abitanti di Masafer Yatta a gravi traumi psicologici, con conseguenze devastanti sulle dinamiche familiari, sulle relazioni interpersonali e sulla capacità di immaginare un futuro migliore. Nonostante ciò, la comunità continua a mantenere un forte legame identitario, sviluppando forme di resistenza che vanno oltre la difesa fisica e mirano a proteggere la cultura, la memoria storica e la dignità.
Un aspetto cruciale di No Other Land è la collaborazione tra Yuval Abraham, israeliano, e Basel Adra, palestinese. Questo incontro di voci provenienti da contesti storici e culturali opposti diventa simbolo di solidarietà e resistenza civile. Questo legame, che non è solo simbolico, ma concreto, dimostra che anche nei contesti più difficili, la cooperazione può essere un potente strumento di cambiamento. Le dichiarazioni dei due registi durante la premiazione del Berlinale Documentary Award hanno fatto il giro del mondo, mostrando come la solidarietà tra persone di background culturale e politico diverso possa sfidare le narrazioni dominanti e diventare una forma di resistenza pacifica contro l’occupazione e per la giustizia.
Il film non si limita a raccontare le atrocità fisiche, ma esplora anche le implicazioni geopolitiche ed economiche dell’occupazione, rivelando come il conflitto non riguardi solo il controllo territoriale, ma anche un sistema economico che schiaccia le opportunità di sviluppo per la popolazione palestinese. La confisca delle terre, il controllo delle risorse naturali e le restrizioni sull’accesso ai mercati sono leve fondamentali per mantenere un sistema economico subordinato che limita la libertà e la capacità di autodeterminazione. In questo contesto, la resistenza economica diventa una parte cruciale della lotta per la dignità e la libertà del popolo palestinese.
Le immagini del documentario sono crude e intermittenti, creando un senso di urgenza e vulnerabilità. Il film utilizza telecamere portatili e telefoni cellulari per rendere la testimonianza visiva più immediata e autentica, costringendo lo spettatore a confrontarsi con la disumanizzazione del conflitto. L’uso di archivi familiari, come quelli di Basel Adra, aggiunge una dimensione intima alla narrazione, mostrando come la violenza e la distruzione siano eventi che si ripetono ciclicamente, infliggendo danni generazionali. Le immagini non sono solo testimonianze della sofferenza, ma diventano uno strumento di riflessione profonda: come reagisce un popolo a una sofferenza prolungata? Come si può trasformare il dolore in un atto di speranza e resistenza?
No Other Land diventa così un invito alla riflessione globale su temi universali come la giustizia, la dignità e la lotta per la libertà. Non si tratta solo di sensibilizzare il pubblico sulla brutalità di un conflitto, ma di stimolare una riflessione sulle cicatrici psicologiche e culturali lasciate dalla guerra e sulle loro implicazioni a lungo termine. Il film, quindi, non si limita a una denuncia, ma si propone come una proposta di cambiamento, un appello per costruire un futuro in cui la memoria, l’identità e la dignità dei popoli siano protette da ogni forma di oppressione.
La narrazione di No Other Land diventa quindi la testimonianza di un popolo che, attraverso la lotta per la propria terra, non sta solo difendendo il proprio territorio fisico, ma preservando una cultura, una storia e un’identità che sfidano i tentativi di distruzione sistematica. Il film non è solo un grido di speranza per la Palestina, ma per tutte le comunità che combattono per la propria dignità e libertà in un mondo che spesso le dimentica. Le immagini potenti, le testimonianze dirette e l’approccio visivo coinvolgente sono il cuore pulsante di un’opera che invita a non restare indifferenti di fronte alla sofferenza e alla violazione dei diritti umani, chiedendo una riflessione globale su come resistere a un’oppressione che sfida la dignità umana e il rispetto dei diritti fondamentali.
Questa lotta per la dignità e i diritti umani si estende anche a una lunga battaglia legale che ha avuto inizio nel 2000, quando parte delle famiglie di Masafer Yatta ha portato la questione in tribunale, contestando l’esproprio e l’occupazione delle terre. Nonostante le evidenti documentazioni storiche che attestano la presenza palestinese nella regione fin prima del 1967, la risposta delle autorità israeliane è stata costantemente quella di minare le legittime rivendicazioni territoriali palestinesi. Le famiglie hanno continuato a resistere, rifiutando qualsiasi compromesso e mantenendo la loro vita e le loro case nonostante la continua minaccia di demolizione.
Le difficoltà quotidiane per gli abitanti della zona, tra cui l’isolamento e le costanti restrizioni imposte dall’esercito israeliano, sono testimoniate anche da organizzazioni internazionali come Medici senza Frontiere e B’Tselem, che denunciano le condizioni disumane cui sono sottoposti i palestinesi di Masafer Yatta. Le difficoltà economiche, l’impossibilità di accesso ai servizi di base e le violazioni dei diritti umani sono solo alcune delle drammatiche conseguenze di un sistema occupazionale che ha raggiunto livelli insostenibili.
Nel contesto di un’oppressione crescente, anche la solidarietà internazionale gioca un ruolo cruciale. Organizzazioni nonviolente come Operazione Colomba e attivisti israeliani, come quelli di Machsom Watch, documentano la realtà quotidiana e offrono un supporto fondamentale alle comunità palestinesi, cercando di portare alla luce le ingiustizie e stimolare una riflessione globale sulla situazione. Questi gesti di solidarietà, sebbene piccoli, sono atti di resistenza contro un sistema che cerca di oscurare la verità e perpetuare l’occupazione.
La vicenda di Masafer Yatta e di tutto il popolo palestinese è una questione che ci interroga come esseri umani. La lotta per la terra, la cultura e la dignità non è solo una questione politica, ma una questione di diritti umani universali, di giustizia e di solidarietà umana. No Other Land non è solo un documentario, ma una testimonianza di resistenza che ci invita a non dimenticare, ma a impegnarci per un mondo più giusto.
Veronia Socionovo