Nuovi possibili scenari sul voto giovanile
PER UNA ITALIA CHE VERRA’
una riflessione di EDOARDO MARIA FRANZA
In questi giorni si parla molto di abbassare l’età per l’elettorato attivo. Le ragioni? Dare diritto ai più giovani di esprimere le proprie idee, di votare i propri rappresentanti. In linea di principio è giusto.
La società è cambiata e diverse sono le ambizioni, gli obiettivi e i sentimenti che i ragazzi provano e che spesso vanno a scontrarsi con le opinioni degli “adulti”. Uso il virgolettato perché non si diventa adulti in automatico per il raggiungimento di una età; sulla carta è così, è vero, ma talvolta accade che un sedicenne sia più maturo di un diciottenne, più informato della politica, più aperto al dialogo e all’inclusione.
Allo stesso modo ci sono maggiorenni che sono completamente disinteressati alla politica a tal punto da astenersi dal votare. La domanda quindi è: aumentare il bacino elettorale ricomprendendo anche i minori di 18 anni innalzerebbe davvero le percentuali di soggetti attivi politicamente?
Darebbe davvero i risultati sperati?
Proviamo a vederla dal punto di vista dell’elettorato passivo. I deputati per essere votati devono avere almeno 25 anni, i senatori 50, il gap generazionale rimarrebbe lo stesso. Senza contare i limiti costituzionali al Senato per l’elettorato attivo, che restringe la possibilità di voto ai soli maggiori di 25 anni.
Forse ciò che dobbiamo ripensare è il tipo di bicameralismo che contraddistingue il nostro sistema elettorale. Un bicameralismo che appare zoppo, non poi così tanto perfetto come i libri di diritto costituzionale vogliono farci credere. Un sistema dove il Senato, camera di riflessione, di ripensamento, vede tra i suoi membri parlamentari over 40, Senatori che inevitabilmente inseriscono all’interno delle leggi idee e pensieri che il più delle volte non appartengo all’Italia che verrà.