O.N.U. – Organizzazione Nazioni Unite
governato da una “Banda di Cinque Bulli”
CINQUE “STATI BULLI“ DOMINANO L’ONU, SIN DAL MCMXLV
una analisi a cura di Guglielmo di Burra
Nel 1945, dopo la seconda guerra mondiale, quando i vincitori del conflitto fondarono le Nazioni Unite, a cui aderirono 51 Stati, decisero che solo cinque tra loro avrebbero potuto mettere un veto alle risoluzioni dell’ONU. Agli altri 46 sembrò assurdo, antidemocratico, e indubbiamente tale era, ma così fu e lo è tuttora.
Solo 5 Stati su 51, che in seguito sarebbero diventati addirittura 5 su 193.
Ma il motivo pratico che stava dietro questa scelta di realpolitik presto fu ben chiaro per quello che si apprestava ad essere il maggior Organismo internazionale, una strutturazione oligarchica che allora poteva apparire “temporanea”. Quei cinque Stati in poco tempo, infatti, avrebbero avuto tutti la disponibilità dell’arma atomica ed erano rispettivamente: Stati Uniti (1945), URSS (1949), Regno Unito (1952), Francia (1960), Cina (1964), tutti aderenti al Trattato di non proliferazione nucleare (TNP –*1)
E da allora la situazione si è cristallizzata, per sempre.
Il mondo, che sappiamo tondo, era divenuto la loro immensa arancia. Gli altri Stati, quelli “non allineati”, tutt’al più potevano effettuare le loro schermaglie sui bordi, contendersi attenzioni benevoli, giocare la difficile partita della neutralità come “vasi di coccio tra vasi di ferro”, ma i Paesi che si trovavano all’interno degli spicchi dell’arancia non potevano.
Di fatto, gli Stati interclusi entro quei confini imperiali erano destinati ad essere vassalli della ferrea logica dei blocchi. Da una parte la dottrina attribuita a James Monroe, che vedeva gli Usa liberi da ogni ingerenza europea negli affari interni del paese e ben sintetizzata nella frase “L’America agli americani “, il cui concetto, poi, ritroviamo applicato nella Nato; dall’altra parte, il cuscinetto sovietico strutturato nel Patto di Varsavia, nato nel 1955 come contrapposizione all’Alleanza del Patto Atlantico.
Nessun mutamento di governo sopravviveva ai conflitti a bassa intensità che ogni blocco impiegava in maniera egemonica entro la sua “sfera di influenza”. Per circa settant’anni queste potenze si sono fronteggiate, sfiorate, spartite e contese ogni frammento di terra del pianeta. Ma una vera guerra, direttamente tra loro, non l’hanno mai fatta.
Quel diritto di veto è così diventato di fatto la ratifica d’un divieto atomico, di un ostacolo invalicabile segnalato da un grosso semaforo rosso. Sono state le stesse terribili conseguenze autodistruttive, rappresentate dall’olocausto nucleare – che hanno fatto di Hiroshima e Nagasaki il simbolo del rischio di autodistruzione della specie umana – ad inanellare la catena che pone il freno ad ogni ipotizzabile escalation bellica tra le potenze: oggettivamente, il solo fattore di deterrenza che ha reso finora inattivi quegli arsenali bellici.
Questo è l’ordine mondiale che regge il pianeta da tre quarti di secolo. Attraversato, certamente, dai recenti 20 anni di profonda crisi del blocco imperialista russo. Per dovere di informazione bisogna tener conto che anche altri Stati posseggono armi nucleari: India, Pakistan, Corea del Nord, tutti non aderenti al TNP.
Ci sarebbe anche lo Stato di Israele, che possiede l’arma nucleare, sebbene non l’abbia mai dichiarato, assumendo così un’ambiguità strategica.
Per poter superare un bel giorno (nel nostro futuro) questo mondo lottizzato, soggiogato e oltraggiato, dobbiamo continuare ad aver sempre ben presente come stanno le cose, ad ogni passo. Capirne le ragioni, le dinamiche, confrontarci con la presenza ingombrante di quel “tasto rosso” d’autodistruzione che fece dire ad Einstein “che la quarta guerra mondiale, un giorno, sarebbe stata combattuta solo con pietre e bastoni”.
Un dramma che sposta ogni giorno le terribili lancette dell’orologio dell’apocalisse. Negli anni ottanta questo dato di fatto era ben chiaro in ogni parte di questo mondo, successivamente, dopo la caduta del Muro di Berlino (> clicca qui), invece, la crisi del blocco russo restituì la falsa sensazione d’un mondo indefinitamente unipolare, “un mondo senza storia”, per dirlo alla maniera del politologo statunitense Francis Fukuyama, abbastanza noto per essere l’autore del saggio politico “La fine della storia e l’ultimo uomo“.
L’arma nucleare è il limite razionale posto al dibattito. E la cultura occidentale, come sappiamo, pare molto attrezzata al razionale, ma assai meno al concetto di limite. Che siano limiti allo sfruttamento degli ultimi, ai consumi, al suo sviluppo, alle sue emissioni, il modello egemone non accetta alcuna ipotesi di finitezza, perché lo stesso capitalismo si fonda proprio sul mito dell’inesauribilità dei fattori.
Ed il modello occidentale è divenuto il modello universale. In fondo è questo il tema di questa fase, capire dove si trovi la linea di demarcazione dell’ipotizzabile, che viceversa ha mostrato, proprio in questi giorni, con la crisi Ucraina, i primi segnali allarmanti dell’insorgere di sinistre tentazioni che attraversano le Cancellerie degli Stati occidentali, di oltrepassare, invece, questo confine che finora è sempre stato ritenuto invalicabile. Di amoreggiare con l’apocalisse. Perfino un falco come lo storico ambasciatore statunitense George Kennan aveva avvisato che la disattenzione per gli equilibri consolidati avrebbe portato ad una instabilità senza sbocchi.
L’arma atomica pone un argine alla risposta razionale, rende non ipotizzabile l’idea stessa di un conflitto diretto tra le potenze nucleari e, in sostanza, stabilisce e legittima così, indirettamente, il regno del loro dominio e barbarie, dando, di fatto, sostegno alla sopraffazione internazionale che le potenze non smettono mai di affermare.
Mi viene in mente Winston Churchill e il suo celebre aforisma sulla democrazia “E’ il compromesso peggiore, eccezion fatta per tutti gli altri immaginabili, almeno finché esisteranno questi imperi”. Un precario sottile equilibrio tra “i bulli” vige quale dominus assoluto nell’era della disponibile presenza dell’arma nucleare e ha reso incerte le stesse sorti del nostro pianeta. Ogni bullo, volendo, può distruggere l’intero palazzo in cui tutti viviamo.
E’ da questo dato di realtà che bisogna partire. Dal dato di fatto – disarmante e radicale – che il mondo sia come una grossa arancia nelle mani di queste potenze nucleari. Che le nostre democrazie oligarchiche mantengono l’ordine in Medio Oriente con gli stessi terribili strumenti con cui le pseudo-democrazie lo mantengono in Ucraina, Kurdistan o in Georgia.
Le vittime innocenti di questa lottizzazione di imperi non badano certo ai sistemi di voto delle bombe che gli piovono addosso. Gli Stati Uniti d’America possono fare sostanzialmente tutto ciò che vogliono nella loro sfera d’influenza (e lo hanno fatto per oltre settant’anni), e possono continuare a farlo, come tuttora, nella massima impunità, e così stesso può fare la Russia, con buona pace dei nostri buoni sentimenti.
Se non siamo disponibili ad accettare questo limite imposto dagli stessi strumenti di sterminio di massa (ovviamente, l’aggredito ha l’inalienabile diritto di non accettarlo e resistere, come oggi sta facendo l’Ucraina, col sostegno degli Usa, nei confronti della Russia), dobbiamo allora porci la domanda se siamo disposti, per un riassestamento aggressivo delle “sfere d’influenza”, a mettere sul piatto della bilancia la fine della stessa vita sul pianeta.
Se riconosciamo, invece, questo come un limite oggettivo ed invalicabile, posto, non dalla volontà ma dalla realtà dei fatti, alla risoluzione dei conflitti tra le potenze, possiamo solo negoziare. Ce lo impone la razionalità. E perciò siamo in dovere, prima di tutto, di spingere le nostre Diplomazie a negoziare il più instancabilmente possibile, prima che il numero delle vittime aumenti, prima che l’instabilità possa degenerare in follia, prima che anche un futile incidente alla frontiera polacca possa trascinarci tutti nel suo abisso.
In Ucraina o nello Yemen (spesso dimenticato), bianchi, neri o gialli, castani, biondi, lisci o ricci, pseudodemocratici occidentali o sottoposti a tirannie, siamo tutti figli della stessa specie, quella umana. E va tenuto conto che l’uomo non è l’unico “abitante” del pianeta.
La nostra instancabile perenne lotta contro l’oligarchia, è tutta dentro quei blocchi, mai tra loro.
“L’umanità avrà la sorte che saprà meritarsi ” _____________Albert Einstein
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NOTE A MARGINE
(*1) La contestazione al T.N.P, a suo tempo è stata, a mio giudizio, una delle più qualificanti iniziative del Periodico “L’Orologio” in ambito Europeo. Non parlo ovviamente di questa Europa rappresentata dalle burocrazie finanziarie e iperliberiste di Bruxelles ma di quell’Europa ipotizzata da De Gaulle, libera ed unita dall’Atlantico agli Urali. (> clicca qui)
Tra le più importanti battaglie de “L’Orologio” (> clicca qui) debbono essere ricordate anche quelle per la riconquista delle chiavi della “nostra Casa”, per la Sovranità Nazionale, per la politica monetaria, la rivalorizzazione sociale dell’impresa, la riqualificazione della Comunità, il riammodernamento delle Istituzioni …..
..E così tante altre da rintracciare e da riscoprire, risfogliando o rileggendo le pagine della Rivista diretta da Luciano Lucci Chiarissi con, al suo fianco un gruppo di eccellenti collaboratori tra cui Giuseppe Ciammarugoni, Lorenzo De Angelis, Mario Bernardi Guardi, Gaetano Rasi, Luigi Tallarico, Giorgio Vitangeli, scusandomi con tutti gli altri qui non rammentati _______________________ Giuliano Marchetti