Obbedire a sé stessi
Prima il dovere e poi il piacere ci veniva detto dai nostri genitori quando ai compiti volevamo anteporre la partitella a pallone con i compagni di scuola. Veniva così definita una scala di priorità che una volta assorbita, avrebbe costituito una gerarchia di valori preziosa per le successive tempeste della vita. La figura paterna, l’autorità per definizione, ha perso oggi molta della sua importanza. Molte sono le cause di questa situazione. Possiamo pensare che questo avvenga perché i padri interpretino in modo diverso il loro ruolo rispetto a quelli della precedente generazione. Ad esempio, perché non ritengano opportuno formare il carattere dei figli concedendo poco alle loro distrazioni e soltanto dopo aver dimostrato impegno e responsabilità nei loro doveri. Forse il mainstream televisivo e dei media indugia su evitare ai figli i traumi derivanti da dire troppi no e magari stigmatizzano dei possibili occasionali ceffoni. Alla fine, i figli sono spesso difesi persino dai loro insegnanti e rischiano di diventare dei piccoli re e imperatori cui non si può più dire nulla. In questo contesto è chiaro che il concetto di obbedienza diventa sempre più sfumato e perde di importanza. D’altra parte, l’obbedienza nella società o nelle strutture organizzate, come le organizzazioni sociali o aziendali, è “obbligata” da un sistema di regole o leggi che prevedono sanzioni alle contravvenzioni. Ma la situazione più interessante è quella in cui l’individuo è libero di scegliere tra più opzioni, nessuna delle quali rappresenta una contravvenzione a regole costituite. Questo è la “libera scelta” che ciascuno di noi compie in tutti quei casi nei quali dobbiamo esercitare il nostro libero arbitrio e dirigere la nostra storia individuale attraverso i complicati intrecci della giungla della vita per arrivare alla destinazione che desideriamo raggiungere. È qui che viene esercitata la nostra libertà ed è proprio in questo semplice e fondamentale esercizio che sorge la fatidica domanda: a chi o cosa dobbiamo obbedire se non abbiamo regole esterne cui riferirci?
Molti a questo punto non ce la fanno a portare il peso della Libertà e allora ricorrono a “un aiutino”, cioè a qualcuno che li aiuti a discernere e a capire meglio, se non addirittura a scegliere al loro posto. Cambiare lavoro, fidanzarsi, votare un partito, gestire la crisi matrimoniale, acquistare un bene o altro viene spesso delegato a un amico di fiducia, un confessore o uno psicologo. Intendiamoci bene: niente di male a prendere consigli da chiunque, ma altro è riferirsi per farsi una idea, altro è delegare una scelta. È ovvio che questo è un lavoro difficile e stressante e molte dittature si avvantaggiano nel togliere la libertà individuale a volte vista come rilassante semplificazione. Tuttavia, lo specifico della dignità dell’uomo sta proprio nell’esercizio della sua libertà.
E allora a chi obbedire quando non devo obbedire a nessuno?
Molti ritengono che la regola sia quella di confermare azioni coerenti con il ruolo che si occupa. Un prete deve fare cose che siano coerenti col suo stato. Stesso dicasi per gli sposati, gli studenti, i lavoratori ecc. I comportamenti sono in tal modo determinati dall’ appartenenza al tuo ruolo o alla tua organizzazione. Quelli che vivono con radicalità una fede ritengono che sia buono esercitare la propria libertà cedendola deliberatamente a qualcuno che ritengono inviato da Dio per loro e cui intendono obbedire come strumento di salvezza e di progressione spirituale. Il voto di obbedienza monastico, insieme a quello di castità e povertà, costituisce un perno fondamentale della vita consacrata.
Altri ritengono che la radice del comportamento etico stia nel formare dentro la nostra coscienza una sorta di controllore in grado di agire quando nessuno ci controlla da fuori. Se il semaforo è rosso e c’è un vigile non passo, ma se il vigile non c’è scatta la tentazione. Costruirsi un vigile interno consente di osservare le regole sempre. La coscienza diventa in fondo una autorità che mi controlla sempre. Ma non passerò mai col semaforo rosso? E se fosse necessario farlo per causa di forza maggiore o per semplice capriccio? La vita non può diventare una pura routine di osservanza di regole ma occorre che le regole siano rese valide o invalide continuamente in base alla situazione che si sta vivendo, sia ambientale che interiore. La capacità di sapersi mettere in gioco anche in modo trasgressivo, se necessario, è anche questo esercizio della libertà. L’obiezione di coscienza costituisce un caso evidente di questo aspetto. Se una regola costringe a compiere un’azione impossibile per la coscienza individuale tale azione non viene eseguita, costi quel che costi. Un soldato può rifiutarsi di compiere un ordine mostruoso o un medico può rifiutarsi di provocare un aborto. Negli Atti degli Apostoli Pietro e Giovanni, arrestati dal sommo sacerdote, dissero: “giudicate voi stessi se è giusto, davanti a Dio, obbedire a voi anziché a Dio” (At 4,19). La scala delle priorità esistente può essere infranta da una “fedeltà a se stessi” che conta più del resto.
In fondo la parola obbedire deriva dal latino audire cioè ascoltare. Naturalmente, in ogni modo intendiamo vedere la cosa, obbedire significa sottomettersi ad una autorità o a una volontà, sia essa esterna e istituzionalizzata, piuttosto che a una coscienza interiore che chiamiamo fedeltà a sé stessi. La seconda è più difficile da esercitare e necessita di quella maturità che ci ricorda quel “conosci te stesso” iscritto sul tempio di Apollo a Delfi che fa riferimento a conoscere i propri limiti da una parte ma anche a ricordarti a quali valori profondi fa riferimento la tua vita. Essere fedeli a sé stessi implica coraggio, perché può capitare che si debba passar sopra alle scelte fatte per una vita, a lasciare abitudini o comodità acquisite. Obbedienza è anche sinonimo di qualcosa che funziona bene, “una automobile che obbedisce perfettamente ai comandi” rappresenta anche quella consapevolezza di aver fatto la cosa giusta e di occupare finalmente il posto a te assegnato nell’ordine generale delle cose.
Nicola Sparvieri
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