‘Oppenheimer’ di Nolan: il coraggioso biopic concettuale di Nolan
Tre piani narrativi che si incastrano per formare un rompicapo concettuale, morale e storico; al centro lo sguardo ambizioso e ambiguo del fisico Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Questo è Oppenheimer, l’ultimo film del regista visionario Christopher Nolan, amante della quiete apparente, dell’azione, dell’indagine, cultore del tempo, che sia fasullo, relativo o sospeso. E di personalità controverse, come quella di Oppenheimer, non esattamente l’inventore della penicillina. Sfida ardua che il botteghino sta premiando; cosa non consueta per un biopic.
Girato con telecamere Imax 65mm e suddiviso in tre periodi lungo circa tre decenni, “Oppenheimer” è un complesso, originalissimo ipertrofico esemplare di blockbuster al contempo storico, biografico e processuale, uno psicodramma d’autore pieno di strappi e ricuciture che affascinano lo spettatore, e lo sfidano a vivere un’esperienza visiva e intellettiva non di poco conto.
Oppenheimer non è un film per tutti, non è un thriller, non è un film d’azione che fa divertire, ma soprattutto non è il classico biopic. Nolan, basandosi sulla dettagliatissima biografia di Kai Bird e Martin J. Sherwin, American Prometheus, (Premio Pulitzer nel 2006), ha applicato le proprie regole concettuali anche al biopic ed è riuscito a vincere in gran parte la scommessa: i personaggi infatti più che esseri umani in carne ed ossa, sembrano dei veri e proprio concetti viventi tramite i quali Nolan parla allo spettatore della formazione accademica del grande fisico tedesco, del potere della scienza, di ambiguità morale, di necessità storica, di ambizione che anima l’uomo come un flusso di atomi.
Oppenheimer è un Prometeo moderno, punito per aver osato offrire il fuoco nucleare all’umanità? Si chiede questo Nolan che struttura le tre ore di durata come una sorta di oratorio laico incentrato sui punti cruciali della biografia del direttore del progetto top secret Manhattan che stroncò con le fatali distruzioni di Hiroshima e Nagasaki, il Giappone filo hitleriano alla fine della guerra mondiale, ma poi finì imputato all’acme della nevrosi patriottica fomentata dal maccartismo.
Difatti nei successivi anni 50, in piena Guerra fredda, Oppenheimer venne ingiustamente accusato di contiguità col nemico perché in passato era stato un simpatizzante comunista e si ritrovò alle prese con le udienze dell’inchiesta che doveva decidere se potesse o meno continuare a lavorare nella nella Commissione per l’energia atomica.
Il film di Nolan sembra ribadire, sottolineando l’inevitabilità dello sgancio della bomba, la celebre frase di E. L. Doctorow, “La bomba è stata la nostra arma, poi la nostra diplomazia e adesso è la nostra economia“. La bomba infatti non è una nuova arma, ma un nuovo mondo fissato prima ancora della sua comparsa nella Storia, nello sguardo di ghiaccio di Oppy, magistralmente interpretato da Cillian Murphy.
La strada scelta da Nolan è forse tortuosa, ma congeniale alla sua idea di narrazione: scomporre la linearità degli eventi, dei fatti, un topos del suo cinema, in sequenze che si giustappongono, invitando così lo spettatore a confrontarsi con il loro significato, più che con il loro effettivo sviluppo. Il punto di vista da cui guardare, per la parte del film coincidente con le sequenze a colori, è quella del fisico stesso, il suo sguardo enigmatico, agitato dalla materia stessa e dal mondo quantico che sanno di profezia, o meglio di futuro.
La parata di star hollywoodiane è stata relegata in alcuni casi a poco più di camei, come quelli Casey Affeck, Rami Malek, Matthew Modine e Gary Oldman, accanto al protagonista Cillian Murphy attore-feticcio del regista, al pari di Christian Bale e Michael Caine, si trovano l’ottimo Robert Downey Jr., quasi al livello del protagonista principale, il generale Leslie Grovese (Matt Damon) le due donne di Oppy, la moglie Kitty interpretata da Emily Blunt e l’amante Gina (Florence Pugh).
Nolan mostra la personalità complessa del moderno Prometeo, già da studente, la sua nostalgia di casa e la scarsa attitudine per gli esperimenti in laboratorio che mutano in depressione e attacchi di insonnia, sfociati nell’episodio, che pare accertato, in cui attenta alla vita di un docente servendosi di una mela, che simboleggia la dannazione biblica, dopo che i fisici hanno conosciuto il peccato.
Una volta raggiunto il suo obiettivo, Oppenheimer sembra esserne sopraffatto ed inizia a nutrire dei dubbi: può un’intera comunità scientifica mettersi al servizio dei militari e assicurare loro un’arma che è strumento di morte? E tale arma riguarda ancora la scienza, o è l’esercito a dover decidere, nello specifico il Presidente Harry Truman (Gary Oldman)? Sono domande che scuotono il protagonista pervaso dal senso di colpa per aver reso possibile una potenza distruttiva che prima apparteneva solo alla teoria. Oppenheimer è diventato morte, distruttore di mondi e ne è consapevole, ma Nolan ha tenuto a sottolineare come lui e molti scienziati, fossero ebrei e vedessero nella costruzione della bomba atomica una corsa contro il tempo, in chiave di mera sopravvivenza, per anticipare il progetto di Hitler (il quale considerava la fisica quantistica la scienza dei Giudei) affidato oltreoceano ad Heisenberg (<<Io so cosa vuol dire per i Nazisti avere la bomba>>, dice Oppy), senza contare che è stato storicamente accertato che il Giappone non aveva alcuna intenzione di arrendersi, come dimostrò la conquista di Okinawa e il rifiuto della dichiarazione di Postdam.
Isolato e poi venerato, osannato e ostacolato, sostenuto e rinnegato, Robert Oppenheimer è avvolto da una leggenda maledetta. L’esploratore ciclotimico dei buchi neri dell’universo e dell’anima, non sa quale siano i buchi più profondi e insondabili, ma riesce a trasmettere tutta la complessità da un uomo di mente, di scienza, un visionario che cerca se stesso nelle donne, nelle quali spera di trovare pace, ambito dalla politica, dal potere, che sa di essersi reso complice di una catastrofe.
Pur rappresentando i personaggi come concetti, Nolan è riuscito a non far venire meno il coinvolgimento emotivo grazie a: un linguaggio ben esplicato nella primissima parte, all’utilizzo del racconto politico condito da elementi di spy story e di investigazione nella parte centrale, al rifarsi al filone emotivo e psicologico che caratterizza tutto il film, ad una ricca sceneggiatura, al montaggio alternato, alla vibrante colonna sonora, a forti stacchi che delineato in modo ancora più preciso il protagonista che deve fare i conti con le conseguenze della propria conquista.
Protagonista e spettatore della Storia, Robert Oppenheimer è l’uomo il cui genio individuale è stato valorizzato dagli americani, per poi essere messo sotto inchiesta, perché ritroso alla sperimentazione della bomba ad idrogeno; è l’uomo il cui sguardo è concepito da Nolan per essere oltre la materia, lasciandosi ispirare da Picasso, T.S. Eliot (La terra desolata) epifanie proustiane. Uno sguardo complesso sul mondo, necessariamente complesso, che diventerà il nuovo campo di percezione del Secolo breve: l’immagine in movimento, il cinema, appunto.
Un film importante che pone domande al nostro presente, molto pensato e dialogato, prolisso, ma che indubbiamente sa cogliere il tragico avvento della bomba nella storia come rottura del tempo lineare e creazione di un nuovi spazi, nuovi confini del mondo tra utopie e distopie, fusioni e fissioni rivelatrici che necessitano di sguardi acuti e complessi, liberi da ideologie.
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