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Palazzo Barolo, la Divina Commedia nel cuore dell’Argentina

La migrazione è un fenomeno che soprattutto in un periodo storico come quello in cui stiamo vivendo rappresenta una problematica sempre più complessa: chi fugge da un Paese in guerra, chi per cercare migliori condizioni di vita o un lavoro. E non è una cosa nuova.

Mol­ti no­stri con­na­zio­na­li all’inizio del secolo scorso, sia per po­ver­tà che, so­prat­tut­to per mo­ti­vi po­li­ti­ci, la­scia­ro­no le loro case, i loro pa­ren­ti e, ab­ban­do­na­ro­no le pro­prie ra­di­ci per cercare di realizzare e costrurie altrove la propria for­tu­na.
Spes­so vi riu­sci­ro­no e bene, ma tal­vol­ta, so­praf­fat­ti da­gli even­ti, fi­ni­ro­no per con­flui­re nelle organizzazioni criminali molto radicate in Ame­ri­ca­ por­tan­do, con­se­guen­te­men­te, di­scre­di­to al­l’I­ta­lia.
Tra co­lo­ro che eb­be­ro suc­ces­so in Ar­gen­ti­na ri­cor­dia­mo due per­so­nag­gi che tro­va­ro­no for­tu­na pro­prio nei pri­mi de­cen­ni del se­co­lo tra­scor­so e pre­ci­sa­men­te Lui­gi Ba­ro­lo e Ma­rio Pa­lan­ti.
Quan­do udia­mo la pa­ro­la Ba­ro­lo, ol­tre al pic­co­lo pae­se del cu­nee­se, la no­stra men­te va su­bi­to al fa­mo­so ed omo­ni­mo vino ben co­no­sciu­to, ap­prez­za­to ed espor­ta­to ovun­que. Non è così per gli abi­tan­ti di Bue­nos Ai­res.
Gran­de è sta­ta in­fat­ti l’e­mi­gra­zio­ne ita­lia­na in Ar­gen­ti­na e tra co­lo­ro che si trasferirono nel Paese in cer­ca di for­tu­na alla fine del­la pri­ma Gran­de guer­ra, quan­do l’Ar­gen­ti­na era la set­ti­ma po­ten­za mon­dia­le, con una aspet­ta­ti­va di pro­gres­so ine­gua­glia­bi­le men­tre l’Eu­ro­pa era in de­ca­di­men­to e l’I­ta­lia non of­fri­va più al­cu­na ga­ran­zia sia ai pro­pri cit­ta­di­ni che alle pro­prie bel­lez­ze ed ope­re ed alla sua stes­sa lin­gua, si fece stra­da un pie­mon­te­se.
Lui­gi Ba­ro­lo di Biel­la che, giun­to in Ar­gen­ti­na nel 1890, poco più che ven­ten­ne, riu­scì a far for­tu­na av­vian­do un co­to­ni­fi­cio a Va­len­tin Al­si­na poco più a sud di Bue­nos Ai­res.
Or­mai be­ne­stan­te ebbe modo di co­no­sce­re l’ar­chi­tet­to mi­la­ne­se Ma­rio Pa­lan­ti giun­to in Ar­gen­ti­na nel 1909 per col­la­bo­ra­re alla co­stru­zio­ne del Pa­di­glio­ne Ita­lia­no al­l’E­spo­si­zio­ne del Cen­te­na­rio del­l’in­di­pen­den­za del­lo Sta­to la­ti­noa­me­ri­ca­no dopo aver col­la­bo­ra­to alla pro­get­ta­zio­ne e co­stru­zio­ne di vari al­tri im­por­tan­ti edi­fi­ci cit­ta­di­ni.
Come so­pra ac­cen­na­to l’I­ta­lia era in cri­si ed oc­cor­re­va sal­va­guar­da­re la cul­tu­ra ita­lia­na e gli ar­gen­ti­ni, aven­do in gran par­te ori­gi­ni ita­lia­ne, ave­va­no il sa­cro­san­to do­ve­re di sal­va­re e di­fen­de­re il sa­pe­re per le ge­ne­ra­zio­ni fu­tu­re sal­va­guar­dan­do il pa­dre del­la lin­gua ita­lia­na: Dan­te Ali­ghie­ri. Lui­gi Ba­ro­lo, così, an­che per pro­pria va­na­glo­ria, spo­sò in pie­no l’i­dea del­l’ar­chi­tet­to Pa­lan­ti che, ac­ca­ni­to stu­dio­so di Dan­te, vo­le­va sal­va­guar­da­re non solo la sua ope­ra ben­sì an­che le sue spo­glie mor­ta­li.
Il Ba­ro­lo de­si­de­ro­so di por­ta­re le ce­ne­ri di Dan­te a Bue­nos Ai­res, dove le Mas­so­ne­rie ita­lo-ar­gen­ti­ne d’ac­cor­do fra loro ne avreb­be­ro ga­ran­ti­to la pace non es­sen­do al­l’e­po­ca ben si­cu­re nel mau­so­leo di Ra­ven­na, vo­le­va co­strui­re un vero e pro­prio san­tua­rio che nel­la sua ar­chi­tet­tu­ra do­ve­va ri­cor­da­re ed ave­re le chia­vi del­la Di­vi­na Com­me­dia.
I due pen­sa­ro­no in gran­de ed unen­do le fi­nan­ze l’u­no e la com­pe­ten­za tec­ni­ca l’al­tro, dal­le loro con­si­de­ra­zio­ni, nac­que un so­gno, un’o­pe­ra ar­chi­tet­to­ni­ca ar­di­ta, in­cre­di­bi­le ed ine­gua­glia­bi­le.
Na­sce così Pa­la­cio Ba­ro­lo (Pa­sa­je Ba­ro­lo o Ga­le­ría Ba­ro­lo), un edi­fi­cio oggi adi­bi­to ad uf­fi­ci, al­lo­ra il più alto non solo del­la cit­tà ma di tut­to il sud Ame­ri­ca.
L’e­di­fi­cio, co­strui­to in Ave­ni­da de Mayo, la prin­ci­pa­le ar­te­ria del­la ca­pi­ta­le fe­de­ra­le che por­ta dal Pa­laz­zo del Con­gres­so alla fa­mo­sa Casa Ro­sa­da, di­mo­ra dove Pa­lan­ti ave­va fis­sa­to il pro­prio stu­dio (Palanti stesso era un grandissimo estimatore delle opere dantesche), è ubi­ca­to al civ. 1300, cor­ri­spon­den­te al se­co­lo in cui ven­ne scrit­ta la Di­vi­na Com­me­dia. Esso è alto cen­to me­tri in ri­cor­do dei no­van­ta­no­ve can­ti del­l’O­pe­ra, che ben sap­pia­mo es­se­re sud­di­vi­si nei tre can­ti­ci In­fer­no, Pur­ga­to­rio e Pa­ra­di­so ol­tre al pri­mo can­to in­tro­dut­ti­vo.
Le au­to­ri­tà di Bue­nos Ai­res, in con­si­de­ra­zio­ne del­le ca­pa­ci­tà po­li­ti­co-eco­no­mi­che del Ba­ro­lo e per­ché l’e­di­fi­cio do­ve­va “rag­giun­ge­re il Pa­ra­di­so”, an­che per dare lu­stro alla cit­tà, ave­va­no con­ces­so un per­mes­so spe­cia­le per l’al­tez­za per­met­ten­do che su­pe­ras­se di ben quat­tro vol­te quel­la nor­mal­men­te per­mes­sa.
L’In­fer­no è al pri­mo pia­no del pa­laz­zo con sta­tue di ani­ma­li spa­ven­to­si, il Pur­ga­to­rio dal quar­to e quin­di il Pa­ra­di­so dal ven­ti­quat­tre­si­mo pia­no.
La som­mi­tà del­l’e­di­fi­cio, do­mi­na­ta da una cu­po­la che rap­pre­sen­ta l’u­nio­ne tra Dan­te e Bea­tri­ce, si ispi­ra al tem­pio in­dui­sta Ra­ja­ra­ni Bhu­da­ne­sh­var de­di­ca­to alla re­li­gio­ne Tan­tra.
Tale cu­po­la è sor­mon­ta­ta da un gran­de faro a rap­pre­sen­ta­re l’Em­pi­reo che, riat­ti­va­to gra­zie al con­tri­bu­to del­lo Sta­to ita­lia­no per ce­le­bra­re il Bi­cen­te­na­rio del­l’In­di­pen­den­za ar­gen­ti­na del 25 Mayo 1810, il­lu­mi­na la not­te di Bue­nos Ai­res ogni ven­ti-cin­que del mese.
Nel cen­tro del­l’e­di­fi­cio, inau­gu­ra­to il 7 lu­glio 1923 per il com­plean­no del poe­ta fio­ren­ti­no e ad un anno dal­la mor­te del Ba­ro­lo, si nota an­co­ra oggi uno spa­zio che do­ve­va con­te­ne­re i re­sti di Dan­te in un’ur­na pro­tet­ta da un’a­qui­la che avreb­be in­nal­za­to Dan­te ver­so Bea­tri­ce e il Pa­ra­di­so.
L’I­ta­lia sta­va cam­bian­do e si av­via­va ver­so il Re­gi­me Fa­sci­sta, si co­min­cia­va a par­la­re di na­zio­na­li­smo e del­la gran­dez­za del­la pa­tria e si ini­zia­va ad esal­ta­re le pro­prie ra­di­ci.
Dan­te ri­ma­se dove era sem­pre sta­to e le sue ce­ne­ri non han­no mai la­scia­to il tem­piet­to in sti­le neo­clas­si­co di Ra­ven­na co­strui­to dal­l’ar­chi­tet­to Ca­mil­lo Mo­ri­gia nel 1780. A Bue­nos Ai­res re­sta Pa­laz­zo Ba­ro­lo, con la sua Gal­le­ria, a ri­cor­dar­ci il paz­ze­sco so­gno dei due ita­lia­ni che non vo­le­va­no di­men­ti­ca­re le loro ori­gi­ni.
Nel 1997 Pa­laz­zo Ba­ro­lo, che a giu­di­zio del­lo sto­ri­co del­l’ar­chi­tet­tu­ra ar­gen­ti­na Car­los Hil­ger è il mi­glior esem­pio del­l’ar­chi­tet­tu­ra eso­te­ri­ca de­gli ini­zi del se­co­lo XX, è sta­to di­chia­ra­to mo­nu­men­to sto­ri­co na­zio­na­le.

Gianfranco Cannarozzo

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