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Paolo Borsellino e il libro sull’agenda rossa

Nel libro L’agenda rossa di Paolo Borsellino l’autore, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza ripercorrono gli ultimi giorni di vita di Borsellino e sui misteri che ancora oggi aleggiano su quell’efferato attentato.

Tra questi c’è proprio il dilemma sull’agenda rossa di Borsellino. Sulla quale, a detta di sua moglie, Agnese Piraino Leto, dei suoi figli, Lucia, Fiammetta, Manfredi e di alcuni colleghi annotava minuziosamente appuntamenti e intuizioni investigative e la portava sempre con sé in una valigetta. La borsa comparsa in alcuni scatti successivi al momento della strage in quel fatidico giorno sembra non contenesse proprio l’agenda rossa. E soprattutto, processualmente, comparirà per la prima volta in un verbale delle 18:30 di una domenica di 15 anni dopo.

La moglie, in una testimonianza a uno dei processi in risposta alla domanda del Pm Palma sull’effettività che Borsellino fosse in possesso della sua agenda il giorno della strage, risponde che scherzosamente lei gli diceva: «Guarda, mi sembri Giovanni Falcone», che ovunque andava portava con sé la borsa con le sue cosine. «Lui da un po’ di tempo faceva la stessa cosa».

Infatti, non è la sola ad essere scomparsa, anche degli appunti di Giovanni Falcone su un dischetto non si ha più nessuna traccia. Poi, a sorpresa, il 24 giugno del 1992 spunta il diario del magistrato. E da questo inizia a delinearsi un filo che conduce al coinvolgimento dello Stato nella sua morte attraverso l’allora procuratore di Palermo. Il quale mise in difficoltà, con vari accadimenti ben espressi all’interno del libro, Falcone prima e Borsellino dopo.

Una corsa contro il tempo quella di Borsellino per scoprire i mandanti dell’omicidio di Giovanni Falcone, sua moglie, Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Lui stesso sapeva e affermava che sarebbe accaduto anche a lui. «Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia (…) Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri».

«Ho capito tutto» ripeteva Borsellino negli ultimi giorni della sua vita, mentre lavorava disperatamente alla verità sulla strage di Capaci. Cinquantasei giorni dopo l’esecuzione di Falcone, arrivò la sua.

Pagina dopo pagina si entra nel vivo della storia che, se non fosse triste, reale e della quale si conosce la fine, la si potrebbe definire avvincente. Colpisce come il susseguirsi degli eventi, nonostante la drammaticità, sia fluido, scorrevole e particolarmente toccante.

Uno dei passaggi de “L’agenda rossa di Paolo Borsellino” più commoventi è “Una catena umana attraversa la città“. Il 23 giugno del 1992 migliaia di persone, soprattutto giovani, affollano le strade di Palermo per ricordare e onorare la Strage di Capaci. Ma ci furono cortei in tante altre città d’Italia. Ciò voleva dire solo una cosa: gli italiani erano con loro. Il corteo nella città siciliana si concluse in un raduno organizzato dai boyscout a piazza Mangione dove fu lo stesso Borsellino a fare il discorso in ricordo di Falcone. Parole che toccarono il cuore dei presenti.

Nei capitoli che descrivono il fatidico giorno, 19 luglio 1992, gli autori hanno fatto un lavoro eccellente. Leggendo le parole che narrano l’accaduto ci si commuove pur essendo preparati a ciò che sta per avvenire. Il susseguirsi degli eventi sono raccontanti entrando nelle emozioni di chi, purtroppo, stava vivendo la tragedia.

Alcune pagine sono dedicate al processo Borsellino ter con la trascrizione del colloquio della teste Agnese Piraino Leto, vedova Borsellino con il Pm. Il libro si chiude con gli sviluppi a cui hanno portato i vari processi a lui dedicati.

Quell’agenda di Borsellino qualcuno si affrettò a requisirla, ma perché? Troppo scottante ciò che il magistrato scriveva mentre cercava di venire a capo della Strage di Capaci? Chi intralciava il suo lavoro in procura? Quali verità aveva scoperto? Questi e altri sono gli interrogativi che non si sa se mai troveranno una risposta. Uno in particolare è oltremodo rilevante: Borsellino si sentiva più al sicuro quando era in altre città, italiane e non, che non a Palermo. Purtroppo, come viene scritto più volte, la sua sicurezza non era ritenuta così a rischio affinché la procura si impegnasse sul serio per proteggerlo. E lui nei suoi ultimi giorni si preoccupava, più che della sua incolumità, di quella dei suoi cari e della scorta.

Giuseppe Lo Bianco, cronista di giudiziaria, ha lavorato al giornale L’Ora di Palermo e all’agenzia Ansa. Ha collaborato con L’Espresso e oggi è corrispondente dalla Sicilia per Il Fatto Quotidiano. È autore di “The Truman Boss” (con Vincenzo Balli, Castelvecchi 2017) e “La Repubblica delle stragi” (a cura di Salvatore Borsellino, PaperFIRST 2018). Inoltre è tra i fondatori dell’associazione Memoria e Futuro.

Sandra Rizza ha imparato il mestiere di giornalista negli stanzoni de L’Ora di Palermo, negli anni caldi della guerra di mafia, passando presto alla cronaca nera e giudiziaria. Ha collaborato con Il Manifesto e con La Stampa, ed è stata corrispondente dalla Sicilia del settimanale Panorama negli anni delle stragi 1992-93. Per un decennio redattrice giudiziaria dell’Ansa di Palermo, oggi collabora con Il Fatto Quotidiano.

Lo Bianco e Rizza hanno raccontato, sempre a quattro mani, i retroscena dello stragismo eversivo nei libri “L’agenda rossa di Paolo Borsellino” (2007). “Profondo nero” (2009), “L’agenda nera della Seconda repubblica” (2010). “Antonio Ingroia. Io so” (2012), “DepiStato” (2019), “Il libro nero delle stragi di Stato” (2021), tutti pubblicati da Chiarelettere. “Ombre nere” (Rizzoli 2018) e “Dietro le stragi” (PaperFIRST 2021).

Giorgia Iacuele

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