Pino Ammendola, un’Intervista ed un Mare…
Com’è profondo un uomo.
Piove, piove continuo e sottile, tanto che cielo e terra sono confusi in un velo d’acqua, e l’unico punto fermo è una tazzina di caffè. Pino Ammendola non sembra neanche sfiorato da quest’aria negativa.
Elegante, con una bella cravatta, alla prima domanda «Com’è approdato, dalla giurisprudenza, alle scene cinematografiche, teatrali, televisive?», Ammendola ci svela che già da bambino aveva la ferma volontà di essere attore: «Forse è perché io sono napoletano, ed a Napoli, città che ha visto regni, grandi uomini e civiltà, il teatro è di casa.»
«Ma i tuoi – chiedo – non hanno mai fatto opposizioni?»
«Altroché! – replica – Mio padre, commercialista, voleva che seguissi i suoi passi, gli zii mi offrivano la loro professione… ma a me piaceva recitare, avevo deciso…»
Sorride, poi si appoggia allo schienale, e aggiunge: «Napoli è la città forse più antica d’Italia, e fino a quattrocento anni dopo Cristo si parlava greco e si adoravano gli dei. La cultura greca e quella già più antica si erano fermate là, tutte le sapienze mediterranee si mescolavano a Napoli, tanto che i nobili romani ci mandavano i loro figli come ora si mandano a Cambridge i ragazzi delle famiglie bene. Il teatro era di casa, e sia per strada che nei palazzi si parlava comunemente greco.»
Chiedo se ha scritto molto, oltre a “Scarpediem”, libro che vuol essere d’evasione, ma invece induce a meditare. Pino ci rivela che ha scritto una trentina di opere teatrali, ma che non le ha pubblicate perché la gente preferisce vederle recitare. Ci accenna anche alla prossima opera, sulle scene all‘Auditorium dall’8 Marzo, dedicato alla rinascita femminile, 50 Anni e Sono Ancora, Mia,con l’ottima protagonista Maria Letizia Gorga, ed a quella ancora successiva, dal titolo particolarissimo:
«È un acronimo, – mi spiega – si chiama A.N.I.M.A. e vuol dire Atassia Neuro Ipofisaria Monolaterale Acuta; è una composizione sull’aldilà, un aldilà che non è quello cattolico. Chi è morto rivive, su una sorta di aereo tipo dakota, la sua esistenza, e da un monitor alle sue spalle, è costretto a sperimentare le conseguenze del male che ha fatto agli altri. Continuamente, finché non cerca di fuggire. Viene portato davanti ad un “Lui” che non è Dio, ma è il suo sé bambino, altissimo su uno sgabello, che gli dice: “Che hai fatto di noi? Perché ci hai ridotti così orrendi quando eravamo belli?“»
La pioggia dà noia, anche a Pino Ammendola che guarda fuori contrariato, e che dice di preferire il mare, da buon ufficiale di Marina e da ottimo viaggiatore che scopre in barca isole e coste fino all’Indonesia.
«Napoli è il Mare, –mi spiega – è la Sirena Bicaudata che l’ha fondata, e che veniva appunto dal mare. Venere sulla conchiglia? Secondo i greci, ma sono arrivati dopo. D’altro canto, leggendo ed informandomi, ho scoperto che la storia va riscritta: tredicimila anni fa c’erano altre civiltà e sono stati trovati i loro resti. È stato fotografato da un satellite un numero di insediamenti antichissimi qua e là per il mondo. Le civiltà credevano alla Dea Madre, creatrice e ri-creatrice, perché non mettevano in relazione l’atto sessuale con la fecondazione, e pensavano che una donna partoriva quando le sembrava giusto.»
«Ho visto Napoli recentemente – gli rivelo – e non l’ho riconosciuta, quasi, per quanto è pulita ed ordinata.»
Assentisce, sorridendo, ed il paragone con la mia Roma, martoriata da sindaci per modo di dire, è inevitabile: «Perfino la mia strada è così buia che la gente, la sera, deve farsi luce con la pila!»
Pino ritorna sulla sua città, e mi dice che il modo di pensare partenopeo è una cosa a sé, quando, riferendosi ad A.N.I.M.A., ci rileva che a Napoli si dà molta importanza ai fantasmi, all’aldilà, al legame con il mondo ctonio: «È perché siamo antichi, – ci spiega – la spiritualità, questa, ce la portiamo dentro da infiniti secoli, forse dall’origine.»
Mi viene da pensare, pur senza dirlo, che il legame con gli uomini, il dialogo, l’amicizia, hanno luogo solo se coloro che entrano in relazione hanno profondità di spirito, altrimenti ogni filo affettivo, ogni comunicazione, si spezza. Ma una parola mi sfugge: «In principio era il Logos.»
«Proprio così, – mi risponde prontamente – e la comunicazione, la parola, erano importanti, e quanto più il soggetto era colto, tanto più essa valeva. È per questo che vogliono soffocare la cultura, così la gente è annullata, asservita. E per questo, quando erano le donne a detenere la cultura, l’uomo era in soggezione, sentiva potente la sua parola, fino a che non le ha oppresse. Quante streghe sono state bruciate?»
Il discorso tocca appena il disagio familiare che Pino liquida dicendo che l’uomo deve accettare l’attività lavorativa delle donne: «Se vai in Europa, tutte le alte cariche sono tenute da donne, e sono a gran livello. Per ciò che riguarda la famiglia, e dunque la società e la politica, io sono fermamente convinto che ci vuole cultura, ma quella vera, la storia va riscritta; e poi, bisogna limitare l’uso dei cellulari, dei computer: ad esempio, se i miei figli li adoperano per un’ora, poi per un’ora devono leggere, e, fino all’adolescenza, perché dopo si apprezzano meno, devono leggere le grandi opere epiche: l’Odissea, ad esempio, gli altri, dopo. Ma i figli devono farsi una cultura, altrimenti non hanno una meta; l’epica ed i grandi romanzi danno loro suggerimenti, stimoli, voglia di lavorare, voglia di conoscenza.»
Parliamo ancora un poco di libri ed autori, soprattutto di teatro, Pirandello e De Filippo, e Pino ci svela che, secondo il suo punto di vista, “Questi fantasmi” non sia stato mai realmente ben recitato, almeno sino ad ora.
Lo ascolto con vivo piacere; apre come gli spicchi di un ventaglio tutti i colori di quella sua particolare cultura ancora in cammino nonostante acquisita: la gentilezza di un uomo e la voglia di scoprire di un giovane, la signorilità di un napoletano e la radice profonda di un’umanità di fonte misteriosa, la stessa che si percepisce nella Favola goethiana.
Marilù Giannone