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Prevenzione “dimenticata” e, quindi, oramai
in attesa del prossimo disastro da catastrofe ambientale

Qualcosa in tema d’emergenza non torna 

Torquato Cardilli

Autunno, è una novità forse, che si scatenino grandinate e piogge insistenti, più devastanti dei temporali estivi che, da parecchi anni, hanno assunto una virulenza ed una frequenza fuori dell’ordinario con conseguenze disastrose.
Insieme alle notizie delle lamentele degli albergatori, dei ristoratori, dei gestori di ricettività turistica, per la stagione fallita a causa del coronavirus, o degli sbarchi di disperati, Tv, radio e giornali, di qualsiasi tendenza, colore ed editore, oramai ripetono stancamente sempre gli stessi titoli: bomba d’acqua, condizioni meteorologiche imprevedibili, precipitazioni eccezionali di tot millimetri in pochissimo tempo, esondazioni e straripamenti, frane e raffiche da uragano, alberi sradicati, impianti devastati, agricoltura in ginocchio, ponti che cadono, caos del traffico, sottopassaggi invasi dall’acqua, ferrovie interrotte, interventi della protezione civile, vigili del fuoco, volontari ecc., tot vittime, tot dispersi, tot salvati, tot miliardi di danni.

 

Tutti numeri terribili che fanno parte di una ripetitiva ritualità di contabilizzazione delle perdite di vite umane, di devastazioni di attività economiche, di degrado del patrimonio culturale e del prestigio nazionale come se tutto questo fosse un’abituale e ineluttabile tassa da pagare alla natura. 
Le manifestazioni di solidarietà dalle alte cariche dello Stato verso i familiari delle vittime, le partecipazioni ai funerali o le visite ai luoghi disastrati grondano di ipocrisia perché le stesse autorità, garanti dell’amministrazione della cosa pubblica, sono responsabili di aver fatto poco o nulla negli anni precedenti per mettere il paese al riparo, quanto più possibile, dai flagelli climatici.                                                  

I vari politici che intervengono su tutti i mezzi di informazione per dibattere sul Mes si oppure Mes no, sul recovery fund, sui continui battibecchi tra Regioni e Stato centrale a proposito di misure contro l’epidemia, non arrossiscono di vergogna per la loro insipienza. Non hanno ancora capito che il clima nel mondo è definitivamente cambiato, che si stanno sciogliendo i ghiacci dell’Antartide, che si sta dissolvendo il permafrost della Siberia, che la Groenlandia (su cui aveva messo gli occhi Trump) subisce il peggior disgelo della storia perdendo 11 milioni di tonnellate di ghiacci al giorno, e che un paese fragile come l’Italia ne subisce già adesso le nefaste conseguenze. Nessuno che si preoccupi di mettere a bilancio la sicurezza dei fiumi, delle piante, delle strade, dei sottopassaggi, delle ferrovie, delle infrastrutture viarie di fronte alla devastazione della furia atmosferica.

Viceversa sono molto abili nello sport dello scarica barile rimpallandosi le responsabilità politiche ed amministrative. Ogni disastro resta sempre senza uno straccio di responsabile umano. La colpa, come due mila anni fa, è divina, di Giove pluvio! 
Mai un Ministro, un Presidente di Regione o un Sindaco, invischiati in una politica sorda alle esigenze della gente, che si dimetta per non aver dato priorità nella loro azione quotidiana al recupero dell’ambiente per fronteggiare il disastro, ormai non più imprevisto, con piani operativi concreti.

La ripetitività ciclica di tali fenomeni è un fatto talmente accertato e ricorrente che gli amministratori inetti non possono più nascondersi dietro il paravento dell’imprevedibilità. Una frana si può contenere, il fango può essere deviato, gli sbarramenti temporanei e gli argini possono essere monitorati e rinforzati, gli alvei dei fiumi e dei torrenti montani possono essere controllati e ripuliti dai tronchi, le strade (specialmente quelle cittadine) possono essere tenute sempre in ordine senza gli intralci del fogliame e della spazzatura negli scoli, i ponti possono essere sottoposti a una costante manutenzione, il territorio può essere reso geologicamente sicuro e protetto, le piante, le mura antiche e i ruderi storici possono essere curati: abbiamo tutta la tecnologia necessaria per progettare ed eseguire opere e misure di prevenzione. Allora cos’è che non funziona?

Non funziona la politica complice del dissesto del territorio che ha condonato la cementificazione laddove è proibita oltre che dalla legge anche dalla logica e dal buon senso, che si è mostrata indifferente al degrado continuo del patrimonio culturale e del paesaggio, che ha partecipato sistematicamente, e sempre con maggiore improntitudine e vigliaccheria, al banchetto degli affari imbandito dai costruttori a cui l’interesse pubblico fa venire l’orticaria e che anzi se la ride nel letto quando sentono la notizia di catastrofi che significano appalti milionari.

Mancano i soldi? No, manca la volontà e l’intelligenza di una classe dirigenziale autoreferenziale, interessata solo al proprio benessere.

Se la politica (il termine starebbe ad indicare la sana amministrazione della città) che ha tutti gli strumenti per intervenire fa le leggi che non servono a nulla, o che non possono essere applicate per mancanza dei decreti attuativi, o che restano sulla carta per assenza dei finanziamenti, o che vengono bloccate o bypassate per la resistenza delle lobby e della burocrazia non è colpa di Giove pluvio, ma degli uomini immeritatamente elevati al rango di amministratori pubblici mentre in realtà sono professionisti del nulla, maestri dei distinguo cavillosi, profittatori di prebende, sfruttatori di privilegi.

Anziché, intestardirsi sulla TAV o sull’acquisto dei bombardieri F35, il Governo pur alle prese con la recessione senza limiti per la pandemia, deve varare, in linea con le nuove direttive europee, un colossale piano di protezione ambientale da almeno 40 miliardi di euro. Cioè dare corso immediato ad un programma di recupero dei siti archeologici, di messa in sicurezza del territorio, del paesaggio, dei litorali, dei bacini idrografici e fluviali, radendo al suolo tutte le costruzioni abusive edificate in luoghi vietati dalla legge, nonché mettere in cantiere un piano di edilizia popolare. Con quali soldi? L’Europa è pronta a concedere 209 miliardi del “recovery fund” di cui 100 a fondo perduto.

Abbiamo esperti geologi che da anni predicono i guai che si verificano puntualmente come se predicassero al vento, archeologi e restauratori pronti a mettersi al servizio del bene comune per la protezione del patrimonio culturale, dipartimenti universitari che sfornano di continuo studi sui pericoli di disastri causati dall’inarrestabile innesco di eventi naturali, genio militare e della protezione civile che sanno benissimo quali sono i punti critici della tutela del territorio, ma il miracolo italiano consiste nella negazione della fisica galileiana con un ineffabile “eppur nessun si muove!” 

Dopo l’ennesima alluvione che dal Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto fino alla Campania, Calabria, Sicilia ha devastato città, case, negozi, raccolti, infrastrutture, ingoiato automobili macchinari e attrezzature, c’è da domandarsi perché gli elettori non abbiano cacciato a pedate i politici fanfaroni, incapaci di comprendere che la natura non fa sconti, che la natura stuprata ha memoria, che non dimentica le ferite inflittegli e che si riprende con violenza tutto insieme quello che era suo e che le è stato tolto poco alla volta con il saccheggio del territorio. 

Perché tutti aspettano il prossimo disastro?

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