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RACCONTO V.S. ROMANZO – A RUMBLE IN THE JUNGLE

Scritto da Danilo Pette il . Pubblicato in .

Apriamo oggi la rubrica “Aggressioni e scorrettezze tra diversi generi letterari”, rubrica molto attesa da voi cari lettori, che proprio non vedevate l’ora di leggere un pezzo sullo scontro all’ultimo sangue tra due dei maggiori mezzi letterari messi a disposizione degli scrittori negli ultimi secoli: il racconto v.s il romanzo. E’ una baruffa tutta moderna, figlia del mercato editoriale. Ma è uno scontro epico, che è andato in scena su questa terra al suo apice tra ‘800 e ‘900, quando l’editoria era ormai capace di gestire l’opera letteraria come fenomeno di massa, attraverso la nascente pubblicità, le iniziative ardite al limite della legalità di alcuni personaggi aurorali dell’editoria moderna che a quei tempi si costruiva.

Al di là dei classici, che venivano insegnati nelle scuole e dai precettori privati; al di là dei libri religiosi e dei breviari, che venivano letti nelle chiese e in tutti gli istituti religiosi possibili gli uni, e gli altri recitati in famiglia ogni giorno; al di là dei quotidiani che si occupavano di cronaca, politica, spettacolo e sports; la fantasia dei lettori veniva stimolata dai grandi scrittori, che erano la radio, la tv e il web di oggi. Erano l’evasione, la possibilità di trovarsi, un giorno, su un isola sperduta dell’oceano indiano, mentre te ne stai comodamente a casa tua con un Salgari in mano.

E così passano le ore, con te che te ne stai lì nella foresta, in spedizione pericolosa, con tutta la marmaglia degli sgherri di Sandokan. Poi alzi lo sguardo, si sono fatte le otto e mezza e ti metti su un cordon-bleah per cena.

Il rapimento dell’abracadabra.

Nei secoli citati la maggiore attrazione era quella, a parte il circo quando passava, la giostra quando c’era, le mostre d’arte per chi se le poteva permettere… era rara l’evasione, non come ora che usufruiamo di apparecchiature elettroniche pensate per le masse, tanto sofisticate da permetterci l’inaudito fino a qualche decennio fa. Ero vivo negli anni ’90, e bisognava come minimo comprare una kodak usa e getta se si voleva immortalare qualche evento di significativa importanza. Una scatola di cartone con dentro un meccanismo minimo e un rullino. Dopo 16 o 24 foto, mi pare, era finita la festa, il rullino si riavvolgeva e amen. Infatti bisognava studiarsela bene la faccenda, stare alleprati, riuscire a individuare quei 16 o 24, mi pare, momenti migliori dell’evento, andare a naso, col fiuto del veggente, e capire per cosa valeva la pena concedere una foto. Un lavoraccio, mica no. Oggi abbiamo l’anteprima e lo scatto facile, e ognuno di noi lascerà ai posteri cartelle e cartelle piene di files e files di immagini di feste, cibi, vacanze, eventi particolari, vita di tutti i giorni, scarpe, auto, passioni, figli, genitori, migliori amici, casa nuova, gatto, Natali, tramonti, incidenti in tangenziale.

Prima del cinema, della TV e ancora prima della radio, i romanzi e i racconti erano tutto questo, le loro parole e, a volte, le loro illustrazioni, aiutavano i lettori a evadere dal quotidiano, che offriva molto poco in quanto a distrazioni, confessiamocelo amici, mi prendo io la responsabilità. Ed ecco allora generazioni di magnifici autori, che hanno colmato con la loro opere quel vuoto di fantasia, quel raro momento di emancipazione dalla realtà del quotidiano. Inutile fare l’elenco dei magnifici autori di cui sopra, vi basti sapere che parlo dei grandi campioni che hanno riempito pagine bianche di idee immortali. Idee, non concetti, dogmi, manuali per l’uso. Idee, affidate alla fantasia per entrare in modo sottile nelle anime dei lettori, nella parte del loro io che brama l’evasione. La chiave della cella, nelle passate epoche, erano solo i romanzi o i racconti.

Direte voi, ma questo è scemo? E il teatro, che si scarrozza in giro dalle epoche più antiche? E la musica, i concertisti, financo i zampognari nelle piazze? La danza? E poi i poeti, suvvia, la poesia!

Vi do ragione su tutto, soprattutto sul fatto che sono scemo. Però vi invito alla calma, e vi ricordo che per la diatriba Teatro – Letteratura / Opera Concertistica – Madrigale Zampognaro ci riserviamo di trattarlo in altre puntate della rubrica “Aggressioni e scorrettezze tra diversi generi Letterari”. Detto ciò vi chiedo di riflettere su un fatto: il teatro, per quanto rimasto sempre istituzione popolare, necessitava di recarsi a teatro, uscire di casa, prendere una qualche vettura e arrivare lì per tutto lo spettacolo e poi ritorno. Stessa cosa si può dire per le sale da concerto. Non era facile per un giovane avido di evasione poter accedere a certi divertimenti, soprattutto perché sprovvisto di denaro, vetture, eccetera. Quando parlo di libri parlo del minimo indispensabile per saziare la fame di sapere. Estrai un libro dalla tasca e ti immergi come in un lago. Semplice, facile, alla portata di tutti sempre. Come lo sono oggi le apparecchiature elettroniche di cui sopra.

Per quanto riguarda l’appunto sulla poesia, anche qui mi trovo d’accordo con voi e in torto con me, ma lasciatemi dire che la poesia è altra cosa. La poesia non è intrattenimento letterario, per quanto valido e “poetico”, non è la prosa. La poesia è l’abracadabra che apre le porte, viene dalla magia e appartiene agli dei. Passa per l’uomo in scariche elettriche direttamente connesse al Congegno Magnetico Universale. E’ altra cosa, datemi retta, non insistete…

Quindi, come vedete, torniamo al romanzo e il racconto, a rumble in the jungle, il vecchio leone sfidato dal giovane. Non si fanno prigionieri, ci si schiera e basta in questa battaglia.

Lo so, ci sono teorie pacifiste in merito, molti vedono nei racconti un banco di prova dei grandi scrittori prima di passare al romanzo. Ma io di queste teorie neanche parlo, tanto per non fare pubblicità agli stolti che non vedono la trave nel loro occhio.

Il romanzo è visto come più nobile? Più aulico? Più difficile da realizzare? E perché? Di solito il discorso tende a incentrarsi sul numero di pagine. Come a dire, più pagine ha più l’opera è importante. Mmh. Suona un po’ strano, sa di spirito Antico Testamento. Dunque l’elenco del telefono (ahimè quando c’era, ma di che hanno è quest’articolo?) sarebbe da considerare un grande romanzo. Ok, dai, era una provocazione, non intendevo semplificare così. I grandi romanzi sono 300 – 400 pagine di grande letteratura, è vero. E io poi li amo tutti, figuratevi, anche Dumas con quel “Conte di Monte Cristo” o Musil con quel “L’uomo senza qualità” che sbancano tutti i record di alberi tagliati.

Ma nonostante tutto non può essere il numero di pagine una discriminante per l’importanza di un opera. Sarebbe come dire che un uomo basso non può essere considerato un uomo. Eppure il romanzo è rimasto, nel pensiero comune, un’opera di maggiore importanza rispetto a un racconto.

La moglie di John Fante, autore enorme che ha scritto magnifici racconti e magnifici romanzi, diceva che John non ti prendeva neanche in considerazione, come scrittore, se non avevi fatto un romanzo. La calunnia serpeggia allora anche nei salotti dei grandi. Fatto sta però che Heminway ti spara un 400 pagine di “Per chi suona la campana” e poi si becca il Nobel per “Il Vecchio e il Mare” che, insomma, è una specie di racconto lungo, confessiamocelo, come sopra me ne assumo io. Ma delle miniature sulle corride e la guerra del buon Ernest, dei racconti sulla guerra in Spagna, con l’omicidio nella locanda di uno spagnolo e i colpevoli che scappano seguendo una strategia del football, che solo lui, americano, ha riconosciuto come strategia del football e quindi gli permette di conoscere la provenienza degli assassini.

Gli autori più grandi si sono cimentati in entrambi i campi, e questo ci fa dedurre che sia il romanzo che il racconto, hanno di fatto la stessa importanza. Burroughs ha scritto “Pasto Nudo”, e ovunque vedete la parole Burroughs prima o poi spunta “Pasto Nudo” da qualche parte, ma nella raccolta di racconti “Sterminatore!” ha lasciato una perla che si chiama “Elettrici” e che è uno degli incubi allucinatori migliori che Sir. William S. ha lasciato a noi poveri idioti; Guy de Maupassant, certo certo, quello di Bel-Ami (che bello Bel-Ami!) ma avete mai letto la raccolta di racconti del Guy? Il Manzoni, che ci ha donato “I Promessi Sposi”, e di cui però ancora è uso stampare quel capitolo della “Storia della Colonna Infame”, che essendo appunto capitolo può essere equiparato a racconto. E che capitolo/racconto! Salgari, il povero, povero Salgari, finito a rasoiarsi la gola dopo aver scritto un treno di romanzi e racconti su tutti i misteri dei luoghi più misteriosi. E Bukowski? Quasi ricuciva i suoi racconti per acconciare i romanzi (“Factotum”, “Donne”). E che racconti ha lasciato pure lui, che follie da poche pagine, secche, dritte allo scopo, come quelle nel “Taccuino di un vecchio sporcaccione”. Mark Twain, con i suoi ragazzi discoli come Finn e Sawyer, che hanno fatto e possono fare ancora simpatia, certo, ma non ti fanno piegare in due dalle risate come la sua raccolta di racconti “Racconti comici”. Pirandello, o mio Dio, il Pirandello Redentor dove me lo mettete? Romanzi come “Il Fu Mattia Pascal” o “Uno nessuno centomila” hanno rivoluzionato il concetto stesso di narrazione, ma al loro fianco non stonano neanche un poco le “Novelle per un anno”. E Verga? Un po’ macabro i “Malavoglia”, ma quando ti parla degli occhi indemoniati del brigante che combatte gli sbirri ne “L’amante di Gramigna” o nei giorni e notti oscuri nelle miniere di “Rosso Malpelo”, sembra anticipare i western alla Sergio Leone tanta è la suspense, la cattiveria, il verso brutale. Non scordatevi di Jack London poi, che va bene Zanna Bianca, tutto bello, commovente, i cani, i lupi… ma vuoi mettere i racconti di “La sfida e altre storie di boxe”? E diamo spazio anche a un cubano tanto che ci siamo, quel Gutiérrez la cui opera maggiore passa sotto il nome di “Trilogia sporca dell’Avana” e che, di fatto, si tratta di una raccolta di racconti. Racconti magnifici. Chiudete ‘sta ciofeca e andate a leggere tutto quello che ho citato…

I grandi romanzi sono grandi romanzi e nessuno li tocca, per carità., ma con l’epoca il pubblico e gli autori stessi si sono portati verso una sintesi, come hanno fatto tutte le arti dagli scorsi secoli a oggi. L’introduzione di una comunicazione quotidiana che rasenta la comunicazione aumentativa che si usa per i bambini, come gli short message, le emoticons eccetera, ha portato a un disinteressamento delle grandi e lunghe storie, se si fa eccezione per i Best Seller che continuano a mantenere una velocità di crociera di 400 pagine a copia. Ma io sono come Fante in questo: se i Best sono Seller, non li prendo neanche in considerazione.

Su una cosa sono in disaccordo con Fante però, e cioè sulla discriminazione, tema a lui caro per altro. Non c’è meglio o peggio, naturalmente. Io personalmente preferisco i racconti, in generale, perché è un modo per lo scrittore di darsi diverse chance, di parlare di più cose, creare più vite, e non insistere su un unica storia nella quale spesso viene inserito a forza materiale altro per toccare più tematiche, più corde. Il racconto è la poesia della prosa, ti permette di parlare di qualcosa in breve termine per poi passare ad altro, assumendo la fantasia a partita iva piuttosto che a contratto a tempo indeterminato. E questo permette a noi lettori di godere di più storie.

Facciamoci furbi noi lettori.

Ma non c’è una vera risposta alla domanda cosa è meglio, il racconto o il romanzo, cosa è nato prima, cosa è un banco di prova per cosa… quisquilie, amici, nient’altro che quisquilie. Io dico, purché sia buono. Poi, a me personalmente, non va di impelagarmi in un 400 pagine se non è proprio necessario, lo faccio ormai giusto per Céline. Per mia fortuna, l’ho fatto al tempo dovuto della gioventù, la cara gioventù e le sue perfette diottrie. Oggi, quando mi capita, leggo più volentieri dei racconti, e conoscere più situazioni.

Quindi diciamo che la rubrica “Aggressioni e scorrettezze tra diversi generi letterari” ci ha portato a convenire (e stavolta mi sento di condividere con voi la responsabilità di quello che dico) che dipende non solo dai gusto personale di ogni lettore, come era ovvio fin dall’inizio di questa interessante analisi, ma anche dallo stato d’animo e concentrazione del lettore stesso, che a volte può preferire il racconto e a volte il romanzo, a volte il giallo, a volte il fantescienza. Come vedere tutti gli elementi che abbiamo in mano per stilare una vera conclusione del concetto di questo articolo, sono validi come buste della spesa bucate e sospinte in strada dal vento. Questo mi vede costretto a chiudere la rubrica dopo il solo primo numero.

Il Vostro affezionatissimo si è divertito e spero così di voi

I miei saluti

Danilo Pette

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