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Re Artù tra storia e leggenda

Il mito cresciuto intorno alla figura di re Artù è nato in Irlanda, in Normandia, dove il suo nome compare circa nel 1050, e addirittura in Italia tra la fine dell’Impero romano e l’alto medioevo. Esiste infatti un bassorilievo sulla “Porta della Pescheria” del duomo di Modena, datato tra il 1099 e il 1120, raffigurante il re e i suoi cavalieri che salvano Ginevra da alcuni malfattori. Si tratta della prima rappresentazione artistica esistente di Artù.

Fu però nel 1136, con l’Historia Regum Britanniae del monaco gallese Goffredo di Monmouth, che vennero delineate sia la figura di Artù che quella del mago Merlino. Quest’ultimo, sembra, fu ispirato da un tale Myrddin Wyllt, soldato che, impazzito dopo una battaglia nel 573 d.C., si ritirò a vivere da eremita nei boschi dedicandosi alla magia.

La storia di Artù prende comunque la sua forma definitiva nel 1485. In quell’anno fu pubblicato “La morte di Artù”, un compendio di tutti i testi inglesi e francesi esistenti all’epoca su Artù compilato da Sir Thomas Malory, cavaliere inglese. Vi fanno la loro comparsa Lancillotto, la Tavola Rotonda, il regno di Camelot e il Santo Graal.

Ci sono poi altri testi che citano Artù nel corso della storia e cominciarono a comparire anche una serie di oggetti: un pezzo di cera rossa recante l’impronta del sigillo reale di re Artù, che lo descriveva come imperatore di Britannia, di Gallia, di Germania e di Dacia, conservato nell’abbazia di Westminster; il teschio di Sir Gawain nel castello di Dover; la Tavola Rotonda a Winchester. Venne anche rinvenuta una spada attribuita a Lancillotto.

Oggi, però si è appurato che molti degli oggetti citati, come del resto tante reliquie religiose in quel periodo, furono creati deliberatamente per attirare pellegrini e turisti, oppure furono semplicemente fraintesi. La Tavola Rotonda conservata nel castello di Winchester, per esempio, fu costruita probabilmente per Enrico III nel XIII secolo, ed era già allora considerata un tentativo simbolico di ravvivare lo spirito cavalleresco dell’epopea arturiana.

Fiorirono anche leggende e florilegi di oggetti relativi ai cavalieri di Artù. Sicuramente c’era Lancillotto, il più valoroso e celebre dei cavalieri, anche se non compare nelle prime versioni della storia. Fu Chrétien de Troyes nel XII secolo a introdurre la figura del cavaliere tragicamente innamorato di Ginevra, moglie di Artù. Forse ispirato a un eroe del folklore gallese, Llwch Llenlleawg, la sua storia possiede elementi classici delle fiabe e probabilmente non ha riferimenti storici reali. Anche Parsifal o Percival, il cavaliere dal cuore puro che riuscì a vedere il Santo Graal ma non a prenderlo, sarebbe un’invenzione di Chrétien de Troyes. Galvano, nipote di Artù, potrebbe invece trarre ispirazione dalla figura autentica di san Galgano, cavaliere medievale che dopo una vita dissipata piantò la sua spada nella roccia (altro riferimento arturiano, ancora visibile nella Rotonda di Montesiepi, in provincia di Siena, e datata intorno al XII secolo) e si fece monaco. E, infine, anche Tristano, protagonista del celebre amore clandestino con Isotta, prende forse ispirazione da un vero re dei Pitti, in quella che era anticamente la Scozia, di nome Drust o Drustan, che avrebbe liberato un paese lontano venendo ricompensato con la mano della principessa.

Sulla base dei resoconti scritti, delle tradizioni orali e dei pochi elementi archeologici raccolti, gli storici moderni hanno dunque cercato di costruire il ritratto di un capo ipotetico, ultimo paladino della Britannia romanizzata, che respinse con successo gli attacchi degli invasori sassoni per molti anni. Poco tempo dopo il periodo in cui si suppone Artù sia vissuto, questo nome iniziò a godere di una popolarità significativa. «Tra la fine del V e l’inizio del VI secolo» dicono gli studiosi Peter James e Nick Thorpe «non meno di sei principi britannici furono battezzati “Arthur”, cioè Artù. Tuttavia, nessuno di essi sembra essere stato abbastanza importante da avere dato origine alla leggenda. La popolarità di Artù sul continente è stata a lungo considerata dagli studiosi come casuale e poco importante; si pensava infatti che le campagne oltremare di Artù, raccontate per la prima volta da Goffredo di Monmouth, rappresentassero la parte meno credibile di tutta la saga. Goffredo dice che la campagna continentale di Artù ebbe luogo quando l’imperatore dell’Impero romano d’Oriente si chiamava Leone. Ebbene, Leone I è proprio il nome dell’imperatore che regnò tra il 457 e il 474 d.C.

Forse sono fin troppe le ipotesi, al punto che un vero Artù potrebbe non essere mai esistito ed essere invece derivato da tutte o alcune di queste figure leggendarie o storiche. Del resto, è forse proprio la mancanza di una prova certa sull’identità di re Artù il motivo per cui, ancora oggi, la sua figura rimane il più grande mistero della storia inglese e continua a ispirare sempre nuove rappresentazioni e versioni della sua magnifica avventura.

Nicola Sparvieri

Foto © CroniStoria

Lancillotto, Re Artù, Tavola rotonda