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Referendum d’autore, …. ma quanto ci costi?

Per gli Italiani la riduzione dei parlamentari ha un vantaggio pari al costo
di una tazzina di caffè per ciascuno. E le spese della consultazione referendaria?  

Stelio W. Venceslai

         Comincia la campagna referendaria. Sullo schermo si alternano facce vecchie e altre sconosciute: chi vuole mantenere ciò che ha e chi vuole, invece, appropriarsene. E’  la solita storia: si condiscono con parole nuove pietanze vecchie, tanto l’elettore beve tutto. A settembre si vota. Il popolo sovrano può esprimersi ma, attenzione, non si tratta di uno dei soliti referendum. È solo consultivo.

Il Parlamento ha votato una legge di riduzione del numero dei parlamentari che è sottoposta al giudizio del popolo. Se il popolo dice SI’ e l’approva, tutto bene. Se dice NO, la legge non è attuabile e tutto resta come ora. Inoltre questo referendum non ha bisogno di un quorum. Se votiamo in cinque e tre votano No, la legge non passa. 
Andiamo, però, al fondo della questione. Non si fa una riforma costituzionale, perché di questo si tratta, senza una motivazione seria sulla quale un po’ tutti sono d’accordo: troppi deputati e troppi senatori. Inoltre, troppa discrezionalità nella nomina dei senatori a vita, aggiungo io.

Che il nostro Parlamento sia forse numericamente eccessivo, se comparato agli altri Parlamenti in Europa, è sostanzialmente vero. La preoccupazione dei nostri Padri costituenti, dopo la parentesi del fascismo, era di assicurare un’ampia partecipazione democratica alla vita politica della Repubblica. Che ci siano riusciti è indubbio. Che poi questo si sia prestato a giochetti e camarille, è un altro discorso, ma ciò fa parte della degenerazione della vita parlamentare.

Ovviamente, deputati e senatori costano, forse un po’ troppo, e qualcuno (si veda, 5 Stelle), sottolinea il risparmio derivante dalla riduzione proposta. In realtà, sono le retribuzioni che dovrebbero essere allineate alla media di quelle europee, e quindi ridotte, ma di questo si preferisce non parlare. Se per alcuni deputati la retribuzione è stata integrata dal bonus di 600 euro (poi portato a 1.000), evidentemente qualcuno dei nostri eletti non ce la fa a campare. Un piccolo scandalo di cui è meglio non parlare, anche se è una vergogna, in un momento di crisi come l’attuale. Perbacco, c’è la privacy, sempre in agguato anche per i cialtroni!

Dividendo, però, i vantaggi economici determinati dalla riduzione del numero dei parlamentari fra tutti gli abitanti del bel Paese, si tratta di un vantaggio pari al costo di una tazzina di caffè per ognuno. Un po’ poco, per giustificare le spese di una consultazione referendaria. Come sempre, però, la strada delle riforme è lastricata da cattive intenzioni. 
Un Parlamento numeroso si articola su circoscrizioni elettorali piuttosto piccole. Un Parlamento ristretto abbisognerà di circoscrizioni più grandi, da ridisegnare sul territorio. Ci vorrà un po’ di tempo, non molto, ma per chi vagheggia elezioni imminenti, è bene che se le scordi.

Una seconda argomentazione riguarda il potere di indicazione dei candidati e di controllo degli eletti da parte dei partiti politici. 
Indubbiamente, quanto minore è il numero dei candidati proposti, tanto maggiore è il potere di chi li propone. Ciò rafforza il potere dei Segretari di partito, indotti a scegliere candidati del loro stesso gruppo sanguigno e questo è male perché potrebbe portare a una radicalizzazione del confronto politico con gli altri gruppi parlamentari. Qui entra in gioco il sistema elettorale che, in Italia, cambia a ogni spirare del vento. Proporzionale o maggioritario? Con soglia di sbarramento o no? E, se del caso, al 3, al 4 o al 5%? Tutte cose ancora da decidere.

Infine, è veramente necessario modificare la nostra Costituzione repubblicana? Bene o male ha retto per quasi un secolo. Ma è un punto fermo del nostro sistema politico, uno dei pochi, anche se un po’ slabbrato. Quando si tocca la Costituzione è sempre un problema. Ne ha fatto le spese Renzi, miseramente finito dopo una consultazione decisiva. Gli Italiani sono attaccati alla loro Costituzione. E’ un fatto che non si deve sottovalutare. Il nuovo è sempre foriero di sgradevoli imprevisti nelle mani di maneggioni impreparati e riottosi al buon senso.

Ciò detto, gli schieramenti politici sono trasversali. Il sentimento comune d’indifferenza e di sottostima della funzione parlamentare è dilagante. Ciò porterebbe a pensare che la riforma potrebbe essere approvata a furor di popolo. Ma non è detto.

Il fatto che sia il Movimento 5Stelle il fermo propugnatore di questa riforma, di mala voglia seguito dagli altri partiti per ragioni di bottega elettorale, di per sé, è preoccupante. Aprire il Parlamento come una scatoletta di acciughe è stato uno degli slogan preferiti di 5-Stelle durante la campagna elettorale. Ma in questo caso non si apre il Parlamento, lo si restringe alle decisioni dei Partiti.

Il Movimento cerca una rivalsa politica alle molte sconfitte ideologiche che ha dovuto subire e all’umiliante calo dei consensi registrato negli ultimi anni. Presentatosi come sana e pura espressione di una democrazia trasparente, non fa congressi, le decisioni sono prese da Grillo e Casalegno, che sono due nessuno, i principi sono travolti dalle necessità politiche, la Raggi si ricandida ad onta dell’uno fa uno e del divieto di ricandidatura, le riunioni sono segrete, i vertici inesistenti.

Sarà questa la resurrezione politico-ideologica del Movimento? Una tazzina di caffè a ciascuno per ottenere consensi? È un prezzo troppo piccolo per far credere d’essere grandi.

 

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